La tutela del consumatore


La normativa di tutela del consumatore

La spinta all'elaborazione di una normativa di tutela del consumatore deriva dal diritto comunitario nella logica del contenimento degli effetti distorsivi del mercato prodotti dall'azione di imprese che approfittano della loro posizione di forza. Un primo intervento di recepimento della direttiva n 93/13/CEE in materia di clausole vessatorie è costituito dalla l. n. 52/1996 che ha introdotto il capo XIV bis nel corpo del codice civile. Successivamente, come noto, è stato emanato un testo normativo unico, recante il "Codice del Consumo" il D.Lgs. n. 206/2005 che ha, sostanzialmente, riscritto (cfr. gli artt. 33-36) le regole in materia di clausole abusive. Ad integrazione del codice del consumo, in via generale, permane l'applicabilità delle norme codicistiche di cui agli artt. 1341 e 1342 cc per le condizioni generali di contratto e per i contratti per adesione. Merita, poi, segnalarsi la particolare materia del credito al consumo disciplinata dalla direttiva 2008/48/CE in attesa di recepimento.

 

l'ambito soggettivo di efficacia della normativa di tutela del consumatore

L'art. 3 del Codice del Consumo limita l'applicazione delle norme di tutela del consumatore del codice medesimo alle persone fisiche che agiscono per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale o professionale eventualmente svolta. In giurisprudenza si sono poste numerose questioni; innanzitutto se, nella nozione di consumatore, potessero ricomprendersi solo le persone fisiche e se fosse legittima l'esclusione delle persone giuridiche. Ai dubbi di legittimità ha risposto la Corte Costituzionale con sentenza n. 469 del 2002, confermando la legittimità costituzionale della scelta di escludere le persone giuridiche dall'ambito di applicazione della normativa. Si è posta, poi, la questione se il Condominio dovesse essere escluso dalla tutela riconosciuta ai consumatori in quanto persone fisiche; al riguardo la Suprema Corte ha abbracciato la soluzione estensiva con la sentenza n 10086/2001.


l'ambito oggettivo di efficacia della normativa di tutela del consumatore

Anche sotto il profilo oggettivo è risultata problematica l'individuazione dei contratti cui avrebbe potuto applicarsi la normativa di tutela del consumatore. In particolare, si è posta in giurisprudenza la questione se il professionista possa essere considerato consumatore allorchè il contratto non costituisca atto tipico di esercizio della professione ma solo funzionalizzato a quest'utlima, quando il contratto abbia funzione promiscua o quando serva per avviare una professione non ancora iniziata. La giurisprudenza ha sempre accolto una concezione restrittiva in ordine all'ambito oggettivo di applicazione della normativa di tutela del consumatore.

Cass Civ n 13377/2007 sui contratti del consumatore - in particolare i requisiti del contratto affinchè lo stesso possa essere qualificato contratto del consumatore e come tale assoggettato all'applicazione della relativa normativa di tutela

Cassazione Civile  Sez. III del 05 giugno 2007 n. 13083
In tema di contratti del consumatore, ai fini dell'applicazione della disciplina di cui agli art. 1469 bis ss. c.c., la verifica se un contratto è stato concluso da un operatore giuridico come, consumatore" o "professionista" è rimessa al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo in caso di motivazione non adeguata e giuridicamente non corretta. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che ha ritenuto non qualificabile come consumatore il consulente legale che sottoscrive un contratto di fornitura di una banca dati giuridica in formato elettronico in presenza di elementi che comprovano che il contratto è stipulato nel quadro della sua attività professionale, avendo la parte dichiarato per iscritto che la stipula del contratto non era estranea alla sua attività professionale, e di conseguenza ha escluso l'applicazione del foro del consumatore previsto dall'art. 1469 bis, comma 3, n. 19 e della disciplina del recesso di cui all'art. 6 d.lg. 15 gennaio 1992 n. 50, non rilevando che egli non fosse competente quanto alle conoscenze informatiche della banca dati offerta né rilevando eventuali profili di inadempimento imputabili al venditore per essere il bene offerto non utilizzabile allo scopo pattuito) .


Cassazione Civile  Sez. I  del 25 luglio 2001 n. 10127

Al fine dell'applicazione della disciplina di cui agli art. 1469 bis ss. c.c. relativa ai contratti del consumatore, deve essere considerato "consumatore" la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi - secondo l'originaria formulazione del comma 1 dell'art. 1469 bis c.c. - e senza tale limitazione dopo la modifica di cui all'art. 25 l. 21 dicembre 1999 n. 526) per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività, mentre deve essere considerato "professionista" tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi e senza tale limitazione dopo l'entrata in vigore della citata l. n. 526 del 1999) nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del "professionista" non è necessario che il contratto sia posto in essere nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, essendo sufficiente che venga posto in essere per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale.

Le tecniche di tutela del consumatore - la nullità di protezione

L'individuazione delle calsuole abusive nei contratti del consumatore e la relativa disciplina sono contenute negli artt. 33-36 del D.Lgs. n. 206/2005. In via generale il codice definisce come abusive quelle clausole che determinano un notevole squilibrio dei diritti dei contraenti; non sono abusive, pertanto, le clasuole che producono iniquità di carattere meramente economico. La sorte delle clausole abusive è quella della nullità salvo che esse siano riproduttive di norme di legge o che siano state fatte oggetto di specifica trattativa con onere della relativa prova a carico del professionista. L'art. 36, poi, individua talune clausole la cui nullità non sarebbe sanata neppure dalla specifica trattativa. Sulla nullità delle clausole abusive v'è da aggiungere:

che essa è sempre parziale e non determina la nullità del contratto,

che si tratta di una nullità di protezione sicchè è solo il consumatore ad essere legittimato a sollevare la relativa eccezione,

che, per conseguenza, la rilevabilità d'ufficio è condizionata al fatto che la clausola sia ritenuta dal Giudice vessatoria per il consumatore.

Artt. 33-36 Codice Consumo

 

le tecniche di tutela del consumatore - l'inibitoria

L'art. 37 del Codice del Consumo individua i sogetti legittimati alla tutela collettiva degli interessi dei consumatori e degli utenti nelle associazioni di consumatori ed utenti rappresentative e riconosciute ai sensi della setssa normativa. La tutela collettiva si avavle di due tipologie di tutela: l'inibitoria e la c.d. class action. Con l'inibitoria, le associazione dei consumatori (o gli altri sogetti legittimati individuati dalla norma) agiscono per la tutela di interessi di natura collettiva non azionabili individualmente dal singolo consumatore. Si tratta dia zioni volte a prevenire condotte contrarie agli interessi dei consumatori, tra cui rientra l'utilizzo in via sistematica di condizioni generali di contratto aventi carattere gravemente iniquo.

Cass Civ n 13051/2008 in materia di legittimazione passiva dell'ABI con riferimento ad azioni inibitorie ex art. 37 codice consumo e sull'efficacia dell'inibitoria sui contratti in corso

 

le tecniche di tutela del consumatore - la class action

Con tale tipologia di azione le associazioni consumeristiche promuovono l'esercizio in forma collettiva di azioni spettanti ai singoli consumatori in quanto tali. L'estensione degli effetti della decisione nei riguardi dei singoli consumatori è, tuttavia, rimessa alla scelta del singolo consumatore che deve esplicitamente optare per la partecipazione al giudizio.

 

Il foro del consumatore

Con l'ordinanza n. 24262/2008, che ha confermato, le SSUU n. 14669/2003, la Suprema Corte ha definitivamente confermato che il Foro competente per le controversie che vedono coinvolti i consumatori è quello del luogo di residenza o domicilio del consumatore. In precedenza si erano, nella giurisprudenza di legittimità, affacciati orientamenti diversi.
 
Cass Civ n 14669/2003 (estesa) in materia di foro del consumatore, individua il foro nel luogo di residenza o domicilio del consumatore

Cassazione Civile  Sez. I del 28 agosto 2001 n. 11282
L'art. 1469 bis, comma 3, n. 19, c.c. ha in sostanza introdotto, per le controversie relative ai contratti stipulati da consumatori con professionisti, un foro speciale rispetto a quelli previsti dagli art. 18 e 20 c.p.c., che esclude ogni altro foro previsto dalla legge, opera a prescindere dalla posizione processuale assunta dal consumatore, e può essere derogato soltanto con una pattuizione che costituisca il frutto di una trattativa individuale.
 
Cassazione civile  sez. III del 26 settembre 2008 n. 24262
Il foro del consumatore è esclusivo e speciale e, quindi, la postilla che stabilisce come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore è presuntivamente vessatoria e, pertanto, nulla, allorché non risulti essere stata oggetto di idonea trattativa tra le parti contrattuali. Per essere tale la trattativa deve essere caratterizzata dai requisiti dell’individualità, serietà e effettività. Spetta al professionista, e non al consumatore, l’onere di provare che la clausola con cui è stato pattuito un foro non coincidente con quello della parte contrattualmente debole è stata oggetto della libera autodeterminazione dei contraenti.L’eventuale clausola derogatoria aggiunta a penna nel contratto concluso mediante moduli o formulari, oppure la mera approvazione per iscritto di una tale clausola, non sono idonee ai fini della prova positiva della trattativa, sia quale fatto storico che della relativa effettività, e pertanto dell’idoneità della medesima a precludere l’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore posta dal codice del consumo.


 
Cassazione civile  sez. III del 24 luglio 2001 n. 10086
Non può condividersi l'assunto secondo cui l'art. 1469 bis comma 3 n. 19 c.c. abbia introdotto un foro esclusivo a vantaggio del consumatore, da un lato non potendosi ravvisare un intento del legislatore a ciò diretto nel dato testuale della predetta norma, dall'altro dovendosi ritenere che un'eventuale clausola contrattuale relativa al foro competente reiterativa del dettato dell'art. 20 c.p.c., in tema di foro facoltativo, non potrebbe qualificarsi vessatoria, indipendentemente dalla circostanza che essa sia stata oggetto di trattativa individuale, poiché comunque norma riproduttiva di disposizioni di legge.
 
La tutela del consumatore nell'ambito del credito al consumo
 
Una particolare questione che si è posta all'attenzione dei giudici nazionali e comunitari è stata poi quella relativa al collegamento negoziale tra il contratto di fornitura di beni e servizi con il consumatore ed il relativo contratto di finanziamento che abbia realizzato la fattispecie nota con il nome di credito al consumo. Ove il consumatore eserciti il proprio diritto di recesso , infatti, ovvero se il fornitore sia inadempiente o non esattamente adempiente, si è posta la questione della sorte del contratto di finanziamento e se il finanziatore sia obbligato a restituire quanto eventualmente già percepito. La giurisprudenza comunitaria così come la recente direttiva n  2008/48/CE hanno affermato sussistere tale colegamento negoziale con la conseguente inefficacia derivata del contratto di finanziamento collegato ad un contratto di fornitura di beni e servizi risolto per inadempimento.
 
 
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