Diritto del lavoro
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Nella sezione si possono trovare articoli di approfondimento su diverse tematiche e, in particolare, su quelle che hanno avuto sviluppo in ambito giudiziale.
Con la recente pronuncia della Corte di Appello di Torino del 7 settembre 2021, qui sotto riportata, viene approfonditamente esaminata la tematica relativa alla prescrittibilità dei diritti riconosciuti alle vittime del dovere ed ai soggetti ad esse equiparati.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1 comma 563 della l. l. n. 266 del 2005 si intendono vittime del dovere “i soggetti di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidita' permanente in attivita' di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attivita' di tutela della pubblica incolumità…” e che, ai sensi del successivo comma 564: “…Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermita' permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative…”. A tale categoria di soggetti son riconosciuti, ex lege, numerosi benefici: la speciale elargizione ex art. 5 comma 1 l. 206/04, l’assegno vitalizio ex art. 5 commi 3 e 4 l. 206/04, l’assegno vitalizio ex art. 2 l. 407/98, il beneficio di cui all’articolo 1 l. 203/2000, n. 203 (esenzione dal pagamento dei medicinali fascia C) esteso alle vittime del dovere dall’art. 2 comma 106 l. 244/07, l’esenzione ticket, esteso alle vittime del dovere dall’art. 4 D.P.R. 243/2006, l’assistenza psicologica ex art. 6 comma 2 l. 206/04, esteso alle vittime del dovere dal D.P.R. 243/06, art. 4 comma 1 lett. C, n. 2. La Corte di Appello di Torino, confermando sul punto la sentenza di primo grado gravata, ha ritenuto applicabile il regime della prescrizione ordinaria non ravvisando elementi decisivi per ritenere l’imprescrittibilità dei benefici connessi al riconoscimento dello status.
La Corte muove il suo ragionamento dalla considerazione che la regola generale è quella relativa alla prescrittibilità delle situazioni soggettive di vantaggio e da quella conseguente che l’imprescrittibilità costituisce eccezione alla regola.
Ciò posto in evidenza, in primo luogo, secondo la Corte è fuorviante porre la tematica dell’imprescrittibilità dello status in quanto, nel caso di specie, al riconoscimento dello status sono collegati solo diritti e non doveri con la conseguenza che non può neppure riconoscersi esistente un interesse attuale al riconoscimento dello status una volta prescritti i diritti conseguenti.
In secondo luogo, ad avviso della Corte, non vale ad escludere la prescrittibilità dei diritti la qualificazione delle prestazioni quali forme di assistenza in quanto esse non sono volte a garantire il minimo vitale ex art. 38 Cost. 1° comma ed in quanto solo con riferimento a tale tipologia di forme d’assistenza, stante l’indisponibilità, è possibile affermare l’imprescrittibilità.
Corte di Appello Torino sent. 7 settembre 2021
Secondo il Tribunale, essendo decorsi oltre dieci anni dalla diagnosi della malattia alla presentazione della domanda, è maturata la prescrizione ex art. 2946 c.c., applicabile alla fattispecie, come ritenuto da pronunce di merito citate nella sentenza.
In particolare, secondo il Tribunale, non è fondata prospettazione attorea secondo cui lo status di vittima del dovere sarebbe imprescrittibile ex art. 2934 comma 2 c.c., non essendo la qualità di vittima del dovere uno status in senso tecnico bensì una situazione o qualifica giuridica utilizzata per riconnettere ad una definizione unitaria l’insieme di norme di tutela e di benefici riconosciuti dall’ordinamento. Né la natura (affermata dalla giurisprudenza di legittimità) prevalentemente assistenziale delle prestazioni economiche collegate al riconoscimento della condizione di vittima del dovere è sufficiente per affermarne indisponibilità e quindi l’imprescrittibilità ai sensi dell’art. 2934 comma 2 c.c., prevista invece dall’ordinamento per la pensione, volta a soddisfare primarie esigenze di vita, finalità non riscontrabile nella fattispecie in esame.
L’imprescrittibilità, secondo il Tribunale, non può neppure ricavarsi dalla riconoscibilità del diritto da parte dell’Amministrazione anche d’ufficio, prevista dall’art. 3 del D.P.R. 243/2006, essendo, tra l’altro, essa rimessa alla valutazione discrezionale della P.A..
Pertanto, trattandosi di evento che si è verificato dopo l’entrata in vigore della l. 266/05, il dies a quo, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dev’essere individuato nel giorno in cui la patologia è stata diagnosticata, essendo infondata la tesi attorea secondo cui il dies a quo andrebbe individuato nel giorno 9.10.2010, di entrata in vigore del N.C.O.M., poiché con quest’ultimo è stato soltanto ampliato l’ambito oggettivo della l. 266/2005, mentre già in base a detta legge e al richiamo, in essa contenuto, all’art. 3 l. 466/1980, gli appartenenti alle forze armate dello Stato potevano accedere ai benefici previsti dalla normativa sulle vittime del dovere.
L’appellante, con un articolato motivo di gravame, contesta la sentenza sostenendo l’imprescrittibilità del diritto in quanto:
-si tratta di un’azione dichiarativa dei requisiti di legge, come tale non soggetta a prescrizione;
-la condizione di vittima del dovere è uno status, cui fanno capo non soltanto diritti ma anche doveri;
-non vi è alcuna discrezionalità nel riconoscimento dello status di vittima del dovere (allo stesso modo che per il riconoscimento della condizione di invalido, di cieco, ecc.), tanto che le Sezioni Unite della Cassazione affermano che sulla materia la giurisdizione è del giudice ordinario e non del giudice amministrativo;
-l’art. 3 comma 2 D.P.R. 243/06 prevede la possibilità di riconoscimento della condizione di vittima del dovere anche d’ufficio, e pertanto se l’Amministrazione non provvede l’inadempimento si rinnova giorno per giorno, con conseguente impossibilità di individuare un dies a quo per la decorrenza della prescrizione;
-si tratta di una prestazione assistenziale e, secondo la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 13429/19), non esistono prestazioni assistenziali prescrittibili, non potendo neppure essere operata una distinzione tra prestazioni assistenziali volte a soddisfare esigenze primarie di vita e prestazioni assistenziali senza simili finalità e come tali non rientranti in quelle previste dall’art. 38 Cost.;
-in ogni caso, considerata la natura innovativa del N.C.O.M. (d. lgs. 66/2010 ), il dies a quo dovrebbe essere individuato nel momento della sua entrata in vigore (9.10.2010), sicchè la prescrizione, al momento della domanda (24.4.2018), non era maturata.
L’appellante, illustrando quindi nel merito la questione (in primo grado rimasta assorbita nell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione) della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della condizione di soggetto equiparato a vittima del dovere, conclude pertanto chiedendo la condanna dell’Amministrazione a disporre il suo inserimento nella graduatoria cronologica ex DPR 243/06 conservata dal Ministero dell’Interno e conseguentemente la condanna del Ministero della Difesa al riconoscimento della speciale elargizione ex art. 5 comma 1 l. 206/04, dello speciale assegno vitalizio ex art. 5 commi 3 e 4 l. 206/04, dell’assegno vitalizio ex art. 2 l. 407/98, del beneficio di cui all’articolo 1 l. 203/2000, n. 203 (esenzione dal pagamento dei medicinali fascia C) esteso alle vittime del dovere dall’art. 2 comma 106 l. 244/07, del beneficio della esenzione ticket, esteso alle vittime del dovere dall’art. 4 D.P.R. 243/2006, e del diritto all’assistenza psicologica ex art. 6 comma 2 l. 206/04, esteso alle vittime del dovere dal D.P.R. 243/06, art. 4 comma 1 lett. C, n. 2.
Il collegio, a fronte di orientamenti contrastanti della giurisprudenza di merito (nel senso dell’imprescrittibilità cfr. Corte d’Appello de L’Aquila, sent. n. 4/20 e Corte d’Appello di Roma, sent. n. 2702/21; nel senso della prescrittibilità cfr. Corte d’Appello di Genova sent. nn. 427/18, 298/19, 403/19, Corte d’Appello di Firenze sent. in causa R.G. 838/19 e Corte d’Appello di Trieste, sent. in causa R.G. 116/20), ritiene maggiormente condivisibile la tesi della prescrittibilità del diritto.
Si deve infatti partire dalla considerazione che la regola generale è, ai sensi dell’art. 2934 c.c., la prescrittibilità dei diritti quando non vengano esercitati nel tempo previsto dalla legge (che, salvo diverse previsioni normative, è pari a dieci anni ex art. 2946 c.c.), mentre, soltanto in via di eccezione rispetto a questa regola, non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge.
Poiché la legge non qualifica come imprescrittibili i diritti connessi alla condizione di vittima del dovere, l’imprescrittibilità potrebbe essere affermata soltanto qualificando detti diritti come indisponibili.
In primo luogo, la domanda, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non può essere qualificata come domanda di mero accertamento (come tale imprescrittibile), e in particolare dichiarativa di uno status, poiché, come si ricava dalla lettura del ricorso e delle conclusioni in esso formulate, la domanda di dichiarare l’appellante quale soggetto equiparato a vittima del dovere non è stata proposta fine a sé stessa, bensì al fine di ottenere la condanna a specifici diritti e prestazioni economiche.
Si tratta pertanto di verificare se siano soggetti alla prescrizione i diritti che costituiscono il contenuto della condizione di soggetto equiparato a vittima del dovere, dovendo in tal caso essere considerata inammissibile per mancanza di interesse ad agire la domanda di mero accertamento di detta condizione (cfr. Cass. 11536/06, Cass. 4366/12).
La questione si interseca con la riconducibilità della condizione di vittima del dovere ad uno “status” (indisponibile e imprescrittibile).
Ebbene, la normativa relativa alle vittime del dovere non utilizza mai la parola “status” (né la l. 266/2005 né il regolamento di cui al DPR 247/2006), e, del resto, è evidente la differenza tra la condizione di vittima del dovere, o soggetto equiparato a vittima del dovere, e le situazioni con riferimento alle quali viene normalmente utilizzato il termine “status” (cittadino, rifugiato, figlio, coniuge, ecc.), che, a prescindere da eventuali diritti a prestazioni ad esse connesse, caratterizzano permanentemente, ed erga omnes, l’individuo quale persona, collegando a detta condizione non soltanto diritti, ma anche doveri.
Comunque, a prescindere dalla nozione dottrinale di “status” che si intenda adottare, nel caso di specie (in cui nessun dovere sostanziale sorge in capo al soggetto riconosciuto vittima del dovere, tanto che lo stesso appellante menziona soltanto l’obbligo di comunicare nella domanda l’esistenza di prestazioni incompatibili), diversamente dagli esempi già ricordati (in cui è evidente l’interesse ad essere riconosciuto cittadino o rifugiato, indipendentemente da singoli diritti di volta in volta azionabili con riferimento a tali condizioni), la condizione di vittima del dovere si identifica proprio con l’insieme dei diritti e dei benefici conseguenti al suo riconoscimento. Se svuotata dei benefici che, per quanto di durata perpetua (si pensi agli assegni vitalizi), costituiscono l’esclusivo contenuto e la sola conseguenza del riconoscimento della condizione di vittima del dovere, la pronuncia meramente dichiarativa di detta condizione non avrebbe quindi alcuna utilità.
D’altra parte, non è sufficiente per affermare l’indisponibilità (e quindi l’imprescrittibilità) del diritto la sua natura assistenziale, nel caso di specie la “natura prevalentemente assistenziale” riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 4238/19).
In effetti, l’art. 38 Cost. al 1° comma dà rilievo costituzionale al diritto all’assistenza sociale per i cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, di talché l’indisponibilità è certamente ricollegabile alle misure che sono dirette a soddisfare esigenze primarie di vita del cittadino.
Tali non possono essere considerate le misure in esame, considerato che prescindono dal possesso di requisiti reddituali (in quanto non presuppongono il non superamento di un determinato reddito): la distinzione, operata dalla giurisprudenza che ritiene detti diritti soggetti alla prescrizione, tra prestazioni assistenziali volte a soddisfare esigenze primarie di vita (come tali rientranti nella tutela costituzionale ex art. 38 1° comma Cost.) e prestazioni assistenziali non aventi tale funzione (su tale distinzione cfr. le sentenze già citate delle Corti di Appello di Genova, Trieste e Firenze), contestata dall’appellante, non è fondata su una svalutazione di queste seconde, ma sulla constatazione che esse, pur presupponendo per il loro riconoscimento condizioni di salute gravemente menomate o addirittura il decesso, non richiedono invece limiti reddituali o altri presupposti indicativi della mancanza di mezzi necessari per vivere, e possono quindi essere erogate anche a soggetti che non versino in simili condizioni.
D’altra parte, l’art. 38 2° comma Cost. prevede il diritto dei lavoratori alla tutela delle loro esigenze di vita nel caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, ma dalla circostanza che si tratti di prestazioni non necessariamente volte a soddisfare (a differenza di quelle di cui al 1° comma dell’art. 38 Cost.) primarie esigenze di vita consegue la loro prescrittibilità, come si ricava da numerose disposizioni normative.
Invero, a fronte dell’imprescrittibilità – reiteratamente affermata dalla Corte Costituzionale, cfr. sentenze nn. 203/1985, 345/1999, 71/2010 - del diritto alla pensione, volta a fronteggiare il venir meno del reddito da retribuzione e quindi finalizzata ad assicurare le esigenze primarie di vita della persona, nell’ordinamento si rinvengono numerosi diritti di natura assistenziale. o prevalentemente assistenziale, soggetti a prescrizione, basti pensare alle prestazioni INAIL (art. 112 D.P.R. 1924/1965), che, presupponendo infermità conseguenti ad infortuni sul lavoro o a malattie professionali, presentano caratteristiche simili ai benefici connessi alla condizione di vittima del dovere, o alla pensione privilegiata ex art. 169 DPR 1092/73, o all'indennizzo per danni da vaccinazioni o trasfusioni ai sensi della legge 210/92, fattispecie, quest’ultima, che presenta anch’essa analogie con quella in esame, trattandosi in entrambi i casi di misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell'ambito della sua discrezionalità per far fronte a danni alla salute.
Neppure, a parere del collegio, l’indisponibilità potrebbe essere collegata alla funzione di tutela della salute ai sensi degli artt. 2 e 32 Cost., in sé e senza raccordo con la tutela ex art. 38 Cost., come dimostrato proprio dall’assoggettamento a prescrizione delle prestazioni INAIL e dell’indennizzo ex l. 210/1992, rivolte, appunto, a coloro che abbiano riportato danni alla salute.
Né conclusioni diverse possono trarsi dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 10955/02, citata dall’appellante, secondo cui “...ferma restando l'imprescrittibilità del diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale garantita dall'art. 38 Cost. in quanto connesso ad uno status del cittadino, si prescrivono (oppure da essi si può decadere), invece, i diritti esclusivamente patrimoniali, cioè i singoli crediti periodicamente risorgenti (che maturano per ciascun mese o da scadenza di un periodo più lungo), in quanto sono espressione del diritto alla prestazione e vengono denominati ratei”.
Che l’imprescrittibilità delle prestazioni sia caratteristica esclusivamente di quelle che, ex art. 38 comma 1 Cost., tutelano i cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, si ricava infatti dalle applicazioni del principio formulato dalle Sezioni Unite da parte della giurisprudenza di legittimità, come nel caso del diritto alla rivalutazione del periodo di esposizione all’amianto, di cui la S.C. ha ritenuto la prescrittibilità proprio richiamando il principio delle Sezioni Unite (v. Cass. 13429/19, in motivazione, in cui, dopo avere citato lo stralcio appena menzionato della sentenza n. 10955/02, è stato osservato che, nel caso di specie, la parte ricorrente non aveva specificato le ragioni per le quali il beneficio in questione dovrebbe essere assimilato ad alcuno dei diritti, previdenziali o assistenziali, presi in considerazione dalla citata sentenza delle Sezioni Unite stabilendone, per conseguenza, la prescrittibilità).
Inoltre, la possibilità per l’Amministrazione di provvedere anche d’ufficio al riconoscimento della condizione di vittima del dovere (l’art. 3 D.P.R. 243/2006, che pure al primo comma sancisce “Le procedure di esame delle singole posizioni sono attivabili a domanda degli interessati”, al secondo comma prevede che “In mancanza della domanda si può provvedere d’ufficio secondo identico criterio”, ossia secondo l’ordine cronologico enunciato nel medesimo comma), così come la mancanza di termini per la presentazione della domanda, non sono aspetti di per sé rilevanti per qualificare il diritto come indisponibile attenendo essi non all’aspetto sostanziale bensì a quello procedimentale, e riferendosi pertanto al profilo della decadenza più che a quello della prescrizione (e, del resto, l’art. 6 DPR 243/2006, con riferimento al procedimento, parla di termini di decadenza e non di prescrizione).
Dunque, in mancanza di espresse previsioni normative sull’imprescrittibilità del diritto, trova applicazione la disciplina generale ex art. 2934 c.c., con conseguente assoggettamento all’ordinario termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c..
Neppure è fondata la prospettazione dell’appellante secondo cui il dies a quo della prescrizione andrebbe individuato nella data (9.10.2010) di entrata in vigore del d. lgs. 66/2010 (nuovo codice dell’ordinamento militare).
Infatti, l’art. 1904 c.c. si limita a prevedere che “Al personale militare spettano le provvidenze in favore delle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata e del dovere, previste dalle seguenti disposizioni…” (segue elenco di leggi che prevedono provvidenze a favore delle vittime del terrorismo, criminalità organizzata e vittime del dovere): si tratta pertanto di una disposizione di carattere ricognitivo, rispetto all’introduzione, sin dalla l. 266/2005, della categoria delle vittime del dovere con l’attribuzione dei relativi diritti e benefici economici.
Come osservato dal Tribunale, la nozione di soggetti equiparati alle vittime del dovere contenuta nell’art. 1 comma 564 l. 266/2005 (“Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”) includeva senz’altro i militari in missione all’estero, e, pertanto, l’appellante, ai sensi dell’art. 2935 c.c., già al momento dell’entrata in vigore della l. 266/2005 ben avrebbe potuto richiedere il riconoscimento della condizione di soggetto equiparato alle vittime del dovere e dei benefici ad essa connessi.
L’appello deve, pertanto, essere respinto.