La Suprema Corte di Cassazione, con recente sentenza n. 233/2006, ha esaminato una fattispecie peculiare riguardante un avvocato iscritto all’Albo degli Avvocati di Milano e contestualmente all’Albo degli Avvocati di Parigi ed alla Cassa di previdenza professionale francese. L’oggetto della controversia sottoposta alla cognizione della Suprema Corte era la sussistenza, contestata dall’Avvocato francese, dell’obbligo di effettuare la comunicazione obbligatoria dei redditi e dei volumi d’affari alla Cassa di previdenza degli Avvocati italiana e conseguentemente la legittimità dei provvedimenti sanzionatori adottati dall’ente di previdenza per il mancato invio della comunicazione.
La fattispecie è particolarmente interessante, soprattutto alla luce delle conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte e del relativo percorso motivazionale ed in considerazione di potenziali sviluppi applicativi dei principi di diritto espressi.
Nei gradi del merito, peraltro, la Cassa di previdenza degli avvocati aveva svolto domanda riconvenzionale di pagamento del contributo integrativo e sarebbe stato parimenti interessante che la Cassazione si occupasse anche dell’ulteriore profilo concernente la sussistenza o meno di tale obbligo di pagamento. E tuttavia la domanda riconvenzionale di pagamento del contributo integrativo era stata dichiarata inammissibile nei gradi del merito e non è stata oggetto di specifico esame da parte della Suprema Corte.
La tesi della Cassa resistente, peraltro condivisa dai Giudici di primo e di secondo grado, è che l’obbligo di comunicazione dei dati reddituali all’ente di previdenza, prescinda dall’iscrizione alla Cassa e dalla sussistenza di un obbligo, in capo al professionista, di pagare contributi soggettivi e contributi integrativi, essendo, invece, legato unicamente all’iscrizione ad un albo forense italiano.
In tale prospettiva l’iscrizione dell’avvocato francese alla Cassa di previdenza del paese d’origine, non faceva venir meno né l’obbligo di effettuare le comunicazioni reddituali né (è ciò si arguisce dalla domanda riconvenzionale dichiarata inammissibile) quello di pagare il contributo integrativo sui volumi d’affari realizzati in Italia.
La Suprema Corte, con motivazione sorprendente, ha accolto integralmente il ricorso dell’Avvocato dichiarando quest’ultimo non tenuto ad effettuare la comunicazione dei dati reddituali alla Cassa Forense italiana e conseguentemente non dovute le sanzioni irrogate per l’omesso invio delle dichiarazioni medesime.
Più ancora della soluzione data alla fattispecie oggetto di cognizione, sorprende la motivazione della sentenza in quanto la Suprema Corte, interpretando l’art. 17 della L. n. 576/80, ha enucleato il principio per cui soltanto gli avvocati iscritti alla Cassa sarebbero tenuti ad effettuare la comunicazione dei dati reddituali e che tale obbligo sarebbe da ritenersi ancorato alla sussistenza dell’obbligo di pagare il contributo soggettivo (gravante, infatti, unicamente sugli iscritti alla Cassa).
In effetti il primo comma dell’art. 17, nell’individuare i soggetti destinatari dell’obbligo di inviare la comunicazione dei dati reddituali, menziona anche il requisito dell’iscrizione alla Cassa ma tale ulteriore requisito è stato sempre inteso come riferito unicamente ai praticanti abilitati al patrocinio e non anche agli avvocati per i quali l’insorgenza dell’obbligo di comunicazione doveva ritenersi legato unicamente all’iscrizione all’Albo.
A tale riguardo, sussistono non pochi argomenti che giustificano l’interpretazione dell’art. 17 disattesa dalla Suprema Corte.
Ed infatti l’insorgenza dell’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense è legato al raggiungimento di determinati limiti di redditi e volumi d’affari, di talchè l’ente di previdenza ha interesse a ricevere le comunicazioni dei dati reddituali da parte di avvocati non ancora iscritti per verificare il raggiungimento di tali limiti.
Inoltre la Suprema Corte sembra aver integralmente trascurato il profilo dell’obbligo di pagamento del contributo integrativo che grava su tutti gli avvocati, tenuti ad applicare in parcella una maggiorazione da riversare all’ente di previdenza.
L’obbligo di pagamento del contributo integrativo grava su tutti gli avvocati a prescindere dall’iscrizione alla Cassa e, sotto tale profilo, l’interpretazione dell’art. 17 della L. n. 576/1980 fatta propria dalla Suprema Corte priverebbe l’ente di previdenza di un importante strumento di verifica su una quota non trascurabile del complessivo flusso della contribuzione integrativa.
Resta da vedere se l’orientamento espresso dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 233/2006 si rivelerà isolato in quanto, ove dovesse consolidarsi, le conseguenze applicative sulla Cassa Forense sarebbero di non poco momento.