L’istituto del rimborso dei contributi, previsto nell’ambito dei sistemi previdenziali dei liberi professionisti in caso di cancellazione dall’ente senza diritto a pensione e, nella maggior parte delle ipotesi (si vedano gli artt. 20 L. n. 6/1981 – Ingegneri e Architetti; l’art. 6 L. n. 236/90 – Geometri; l’art. 23 L. n. 414/1991 – Ragionieri; l’art. 21L. n. 24/1991 – Consulenti del lavoro; art. 23 L. n. 136/1991 – Veterinari), subordinatamente al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età è stato oggetto di una recente modificazione normativa, per via regolamentare, da parte della Cassa Forense.
La precedente disposizione che regolava l’istituto nell’ambito della previdenza forense era quella dell’art. 21 della L. n. 576/80 che stabiliva il diritto al rimborso dei contributi di cui all’art. 10 (contributo soggettivo) per quanti cessassero dall’iscrizione all’ente di previdenza senza aver maturato il diritto a pensione ed il diritto di conseguire il predetto rimborso anche in favore degli eredi che non avessero titolo a pensione indiretta.
Non era previsto alcun vincolo concernente l’età anagrafica, essendo unicamente richiesto che il richiedente non avesse maturato i requisiti per il diritto a pensione, tra i quali, ove normativamente richiesta (cfr. la pensione d’invalidità, la pensione d’inabilità, la pensione d’anzianità), era da ricomprendere anche la domanda (in tal senso cass. Civ. Sez. Lav. n. 1421/1989).
La contribuzione soggettiva oggetto di restituzione era integralmente quella prevista dall’art. 10 della L. n. 576/1980 e, pertanto, sia quella pagata, nella misura percentuale del 10% sul primo scaglione di reddito, sia quella pagata, nella misura percentuale del 3% sul secondo scaglione.
In merito all’obbligo della restituzione integrale della contribuzione soggettiva di cui all’art. 10 della L. n. 576/1980, aveva avuto modo di pronunciarsi la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 5098/2003, confutando, in particolare, sia l’argomento secondo cui la contribuzione pagata, nella misura del 3%, per la quota reddituale inutilizzata a fini pensionistici rappresenterebbe una contribuzione di solidarietà (in tale guisa era stata qualificata, invece, da Cass. Civ. Sez. Lav. n. 10458/1998), sia il conseguente argomento per il quale la stessa non avrebbe dovuto e potuto essere oggetto di un diritto restitutorio.
La Suprema Corte, argomentando dalla natura del sistema previdenziale forense, solidaristico ed a ripartizione, ha ravvisato l’arbitrarietà di ogni distinzione tra le entrate contributive affluenti alla Cassa, ritenendo che tutte concorrano a consentire l’erogazione dei trattamenti di previdenza e d’assistenza erogati dall’ente.
Alla luce di tali considerazioni preliminari e del tenore letterale della norma di cui all’art. 20 della L. n. 576/1980 la Suprema Corte aveva affermato che l’unica interpretazione consentita della norma fosse quella per cui l’intera contribuzione soggettiva di cui all’art. 10 della L. n. 576/1980 dovesse essere oggetto di restituzione, non potendo, al riguardo, neppure prospettarsi una questione di legittimità costituzionale della norma per una presunta violazione del precetto di cui all’art. 38 Cost., restando demandato al Legislatore stabilire i modi della partecipazione alla solidarietà di categoria da parte della collettività assicurata.
Sul piano più generale, peraltro, già la Corte Costituzionale aveva affermato la compatibilità della norma concernente la restituzione della contribuzione inutilizzata a fini pensionistici con i principi costituzionali che debbono ispirare i sistemi previdenziali di tipo solidaristico (cfr. Corte Cost. n. 132/1984).
Sull’ambito della contribuzione oggetto di rimborso è, peraltro, intervenuta a più riprese la Suprema Corte chiarendo che non sono oggetto di restituzione sanzioni e accessori dovuti per inadempienze connesse all’obbligazione contributiva, gli aggi pagati in relazione a somme richieste a mezzo ruolo e la contribuzione integrativa anche laddove non versata dal cliente (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. nn. 10190/2002 e 10458/98).
Sono state, invece, dichiarate oggetto di rimborso le somme versate a titolo di interessi compensativi sui contributi pagati in adesione a provvedimenti di sanatoria (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 10190/2002).
Su questo tessuto normativo e di giurisprudenza è intervenuta direttamente la Cassa Forense, nell’esercizio dei poteri normativi di cui al D.Lgs. n. 509/94 e di cui all’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, innovando l’art. 4 del Regolamento di Previdenza e ridisegnando integralmente (più correttamente dovrebbe dirsi eliminando) la disciplina della restituzione dei contributi.
L’art. 4 del citato Regolamento dispone che i contributi versati legittimamente alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense non sono restituibili all'iscritto o ai suoi aventi causa e restano sempre acquisiti alla Cassa relativamente ad anzianità assicurative inferiori ai cinque anni.
L’assicurato che cessi dall’iscrizione senza aver maturato il diritto a pensione e che possa vantare un’anzianità compresa tra i 5 e i 30 anni, potrà, al compimento del 65° anno, chiedere la liquidazione di una pensione con il sistema contributivo di cui alla L. n. 335/95, calcolata, peraltro, esclusivamente con riferimento ai contributi pagati sulla prima fascia di reddito e nella misura percentuale del 10%.
Esclusivamente con riferimento ai contributi pagati sulla prima fascia di reddito e nella misura percentuale del 10% potranno chiedere il rimborso della contribuzione versata dall’iscritto deceduto senza aver maturato il diritto a pensione, gli eredi non aventi titolo alla pensione indiretta e soltanto a condizione che il de cuius potesse vantare 5 anni d’anzianità assicurativa.
A prescindere da ogni commento di merito, è evidente il collegamento tra le tesi sostenute giudizialmente dalla cassa e giudizialmente disattese ed il contenuto della modificazione regolamentare introdotta.
In primo luogo il contributo del 3% non potrà più essere utilizzato a fini pensionistici né essere oggetto d’istanza restitutoria e tutta la contribuzione soggettiva (non solo quella di “solidarietà”) sarà definitivamente acquisita dall’ente di previdenza ove riferita ad anzianità assicurative inferiori ai cinque anni.
Resta, tuttavia, da valutare se la modifica normativa introdotta non abbia ecceduto i limiti della potestà normativa riconosciuta alla Cassa, nella sua qualità di ente privatizzato.
Con numerosi recenti interventi, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto di delimitare la potestà normativa degli enti privatizzati, sostanzialmente confinandola nell’ambito normativo di cui all’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 a mente del quale gli enti, nell’esercizio dell’autonomia normativa e in esito alle risultanze bilancistiche, possono esclusivamente adottare provvedimenti di riparametrazione delle aliquote contributive, di modifica dei criteri di determinazione dei trattamenti e dei loro coefficienti di rendimento oppure adottare integralmente il sistema contributivo, nel rispetto del pro rata con riferimento alle anzianità contributive già maturate.
E’ stato altresì precisato che l’elencazione dei provvedimenti di cui al menzionato art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 è tassativa (Cass. Civ. Sez. lav. n. 22240/2004 li definisce un “numerus clausus”) e che non è ammissibile una modificazione dei requisiti d’accesso ai trattamenti pensionistici essendo unicamente consentita una modificazione dei criteri di determinazione degli stessi.
La modificazione introdotta non sembra rientrare tra quelle consentite dall’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, sempre che non la si voglia considerare come un'opzione sui generis per il sistema contributivo, sicchè, ove dovesse consolidarsi l’orientamento giurisprudenziale restrittivo in ordine ai poteri normativi degli enti previdenziali privatizzati, non pare difficile ipotizzare la futura disapplicazione giudiziale delle norme regolamentari introdotte.