L'Avv Paolo Baiocchetti approfondisce, alla luce di una recente pronuncia del TAR capitolino, profili giuridici e elementi controversi della class action nei riguardi delle PA ai sensi degli artt. 1 d.lgs. n. 198/2009
“Condanna, a seguito di una class action, del MIUR e del MEF all’emanazione del piano generale di edilizia scolastica”. Tar Lazio, Roma, sez. III bis – sentenza 20 gennaio 2011, n. 552.
I giudici amministrativi capitolini, accertata la mancata emanazione del piano generale di edilizia scolastica previsto dall’art. 3 del D.P.R. n. 82/2009, hanno ordinato al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze, la emanazione, di concerto, dell’anzidetto piano generale, a tal uopo utilizzando le risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi maggiori oneri per la finanza pubblica, al fine di riportare in termini di normale tollerabilità l’emergenza legata ai denunziati indice minimo di edilizia scolastica ed indice di massimo affollamento delle aule scolastiche.
Tar Lazio, Roma,
sezione III bis – sentenza 20 gennaio 2011 n. 552 –
Pres. Speranza, Est. Veltri
ha pronunziato la seguente sentenza
sul ricorso numero di registro
generale 6143 del 2010, proposto da:
CODACONS in persona del legale rappresentante p.t., avv. Giuseppe Ursini,
rappresentato e difeso dagli avv. Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio
eletto presso l’Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, v.le Mazzini, 73;
contro
Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, tutti in persona del Ministro p.t.; Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale per la Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, Ufficio Scolastico Regionale per L'Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale per il F. Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, Ufficio Scolastico Regionale per il Molise, Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per L'Umbria, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per ottenere
ai sensi e per gli effetti degli artt. 1 e 3 del d.lgs n. 198/2009 (ricorso per l’efficienza delle amministrazioni) la condanna del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, del Ministero dell’Economia e Finanze e delle altre amministrazioni resistenti, ciascuna per quanto di propria competenza, all’adozione degli atti amministrativi di carattere generale, obbligatori per legge, necessari a riportare in termini di normale tollerabilità l’emergenza legata al denunciato sovraffollamento delle aule scolastiche, di ogni altro atto necessario, disponendo che della sentenza che definirà il giudizio sia data notizia secondo le modalità previste dagli artt. 4 comma 3 e 1 comma 2 del d.lgs n. 198/2009. Nonché per l’annullamento previa sospensione della nota del MIUR, prot. n.3825 del 13/4/2010, nella parte in cui giustifica la mancata attività da parte delle amministrazioni chiamate in causa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, tutti in persona del Ministro p.t.; Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale per la Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, Ufficio Scolastico Regionale per L'Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale per il F. Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, Ufficio Scolastico Regionale per il Molise, Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per L'Umbria, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2010 il dott. Giulio Veltri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con propria nota del 16/1/2010, il CODACONS diffidava, ex art. 1 del d.lgs. n. 198 del 20/12/2009, le resistenti (in epigrafe analiticamente indicate) ad adottare, entro il termine dei successivi 90 gg., tutti gli atti amministrativi generali resi obbligatori dalle leggi nn. 820/71, 23/96, 133/08, dai dPR nn. 81/009 e 89/09 in materia di formazione delle classi scolastiche e dimensionamento della rete scolastica, nonché a risarcire il danno derivante all’associazione ed ai singoli utenti dal perdurante comportamento omissivo.
In proposito, nel dare notizia delle numerose segnalazioni ricevute da insegnanti, studenti e genitori, l’associazione lamentava la diffusa inosservanza degli indici minimi di edilizia scolastica e dell’indice di massimo affollamento delle aule, descrivendo situazioni di pericolo e disagio stigmatizzate con l’espressione “classi-pollaio”.
Forniva riscontro alla diffida il Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, evidenziando, sul piano dei fatti, come l’associazione non avesse fornito indicazioni analitiche e concrete in ordine ai casi di sovraffollamento, né indicato quali fossero gli atti amministrativi generali ed obbligatori per legge, la cui mancata adozione avrebbe provocato la denunciata situazione di grave sovraffollamento. In ogni caso, l’ amministrazione sottolineava di non avere specifica competenza in ordine agli strumenti potenzialmente risolutivi della problematica, atteso che, dopo il profondo decentramento attuato con il d.lgs 112/98, spetterebbero allo Stato (e per esso al MIUR) solo l’organizzazione della rete scolastica, l’assegnazione delle risorse e del personale alle istituzioni scolastiche (art. 137, d.lgs 112/98, cit.), mentre risultano delegate alle Regioni, la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, la programmazione della rete scolastica regionale nell’ambito delle risorse assegnate e sulla base dei piani provinciali, la determinazione del calendario scolastico (art. 138); sono infine attribuite alle Provincie, in relazione all’istruzione secondaria, ed ai comuni, per i livelli inferiori della scuola, i compiti e le funzioni concernenti: a) l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione, b) la redazione dei piani di organizzazione della rete scolastica, c) i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazioni di svantaggio, d) il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d’intesa con le istituzioni scolastiche, e) la sospensione delle lezioni in casi gravi ed urgenti….. Inoltre, in materia di edilizia scolastica, sarebbero provincie e comuni (secondo il cennato riparto) a dover provvedere, giusto il disposto dell’art. 3 della legge 23/96, alla realizzazione, alla fornitura ed alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici. Vigente il descritto quadro normativo, il MIUR si limiterebbe, in estrema sintesi, a determinare risorse e ad assegnare annualmente personale, sulla base del numero delle iscrizioni. Da ciò la mancanza di poteri per rimediare alle disfunzioni segnalate.
Sul piano normativo generale, l’amministrazione segnalava, ancora, come il numero minimo e massimo degli alunni fosse ormai analiticamente disciplinato dal dPR 81/2009, potendo trovare applicazione i vecchi e più garantisti indici del DM 331/98, “solo per le istituzioni scolastiche individuate in un apposito piano generale di riqualificazione dell’edilizia scolastica adottato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca di concerto con il Ministero delle Economia e Finanze”. Secondo l’amministrazione, in particolare, il citato “piano” sarebbe stato già completato ed adottato, sia pur in epoca successiva alla determinazione dell’organico, ed inoltre, alla formazione delle classi relative alle scuole contemplate nel DM sarebbero stati applicati in via derogatoria i vecchi limiti. Quanto, infine, al rapporto tra numero massimo di alunni per classe e caratteristiche strutturali delle aule (spazio minimo disponibile, altezza, vie di fuga etc.), essendo disciplinato da disposizioni normative differenziate ed autonome da quelle che regolano la formazione delle classi, il rispetto dello stesso dovrebbe essere oggetto di verifica in concreto e non in astratto, una volta che le classi siano compiutamente e definitivamente composte.
Evidentemente considerando il descritto riscontro, non satisfattivo, il CODACONS notificava “ricorso per l’efficienza delle amministrazioni”, secondo quanto previsto dal dlgs. 198/09, instando per la condanna delle amministrazioni all’emanazione degli atti generali, ritenuti obbligatori.
In sede cautelare, l’associazione, rinunciando alla richiesta di misure urgenti e provvisorie, si limitava ad insistere perche il collegio ordinasse all’amministrazione di dare notizia, sul relativo sito web istituzionale, della pendenza del proposto ricorso.
Nelle more della decisione, erano depositati - dall’associazione ricorrente - numerosi atti di intervento adesivo sottoscritti da insegnanti, studenti e genitori.
Discussa alla pubblica udienza del 9 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Sono in primo luogo da sciogliersi i dubbi circa i profili di ammissibilità dell’azione, dichiaratamente fondata sulle norme di cui al Decreto Legislativo 20 dicembre 2009 n.198 (in G.U., 31 dicembre, n. 303) recante “attuazione dell'articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”.
Trattasi di uno strumento di tutela aggiuntivo rispetto a quelli previsti dal codice del processo, azionabile da singoli “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori” od anche da “associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati” comunque appartenenti alla pluralità citata.
Oggetto della tutela, così innovativamente riconosciuta, sono gli interessi, facenti capo alla pluralità di individui sopra descritta, che si assumono lesi: a) dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, b) dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi, ovvero, c) dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, c.1.) per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, c.2.) per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
1.1. I dubbi di cui in premessa derivano, in particolare, dal tenore dell’art. 7 del d.lgs. 198/09: “In ragione della necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nelle carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici di cui all'articolo 1, comma 1, e di valutare l'impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori, la concreta applicazione del presente decreto alle amministrazioni ed ai concessionari di servizi pubblici è determinata, fatto salvo quanto stabilito dal comma 2, anche progressivamente, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze e di concerto, per quanto di competenza, con gli altri Ministri interessati”.
1.2. A voler valorizzare il dato meramente testuale sembrerebbe che l’applicazione dell’intera fonte normativa sia, dallo stesso legislatore, subordinata ad un’ulteriore previsione regolamentare che, seguendo il passo della concreta attività di istruttoria, verifica, valutazione e definizione degli standard qualitativi, determini, se del caso in via progressiva, ossia per parti o blocchi, i tempi della “concreta applicazione” del disposto normativo primario.
In verità, anche limitandosi allo stretto argomento testuale, non può non rilevarsi come la norma sia contenuta in una disposizione finale espressamente qualificata “transitoria” ed abbia ad oggetto, non già il vigore e l’efficacia delle norme che la precedono, ma la loro “concreta applicazione”. Quest’ultima è locuzione che descrive il processo di implementazione necessario - fatto di parametri, elementi organizzativi, sostenibilità degli impegni, valutazioni di spesa - perchè l’astratta applicabilità delle norme, connotato generale e caratteristico della fonte normativa, sia resa concreta ed effettiva nell’interesse – insieme - dell’amministrazione e dei soggetti amministrati. La formula utilizzata dal legislatore descrive cioè una norma incompleta che, avendo individuato in via generale e astratta posizioni giuridiche di nuovo conio, oltre che strumenti azionabili per la relativa tutela, ma non i parametri specifici della condotta lesiva, necessita di una ulteriore previsione normativa, agganciata alla peculiarità e concretezza dell’assetto organizzativo dell’agente ed ai limiti della condotta diligente dal medesimo esigibili, ferme restando le risorse assegnate.
L’indiscusso vigore della norma primaria, opera dunque, in questa prima fase, su un piano, propedeutico a quello della concreta operatività, nel quale gli effetti obbligatori sorgono esclusivamente in capo all’Esecutivo ed attengono a tutta l’attività - preliminarmente conoscitiva e successivamente normativa - finalizzata a sostanziare il modello di comportamento diligente pretendibile nell’interesse degli amministrati (cd standard qualitativo).
Una volta individuatolo e vagliatane la sostenibilità per l’amministrazione, sarà lo stesso Esecutivo a “determinare la concreta applicazione” nel tempo. In sostanza, sul piano della tutela, il legislatore, piuttosto che lasciare al giudice del caso concreto la valutazione circa l’esaustività del quadro organizzativo e normativo nel relativo divenire, ha preferito, probabilmente anche stretto dall’esigenza di controllare il processo sì da programmarne i profili di spesa, cautelarsi riservando allo stesso esecutivo il compito di individuare, con appositi regolamenti, se del caso in via progressiva, finanche l’individuazione del dies a quo della concreta applicazione.
In conclusione, allo stato, nonostante la vigenza della norma primaria, le posizioni giuridiche in via generale individuate e protette dalla stessa non sono ancora in concreto prospettabili davanti ad un giudice difettando la compiuta definizione della fattispecie lesiva o – il che è lo stesso - l’esatta individuazione del comportamento esigibile, oltre che la fissazione del dies a quo della concreta applicazione.
1.3. Sgombrato il campo dai dubbi circa l’immediata vigenza ed obbligatorietà delle norme, e circoscritto il fenomeno alla differente e più limitata questione dell’applicabilità in concreto delle norme, appare chiaro come, per converso, le medesime considerazioni non possano riprodursi per quelle norme del d.lgs.198/09 che individuano fattispecie completamente definite in ogni loro aspetto, ivi compresa l’esatta perimetrazione del comportamento lesivo. Il riferimento è, in questo caso, all’obbligo di “emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento”. Quivi tutto è compiutamente predeterminato: la posizione giuridica tutelata è correlata all’emanazione di un atto le cui caratteristiche sono declinate direttamente dal legislatore, è regolamentata l’azione in relazione a tutti i profili rilevanti, è disciplinato il conseguente processo. A ben vedere, inoltre, la previsione di legge non crea posizioni giuridiche nuove (non era esclusa dall’ordinamento la possibilità per le associazioni portatrici di interessi diffusi di agire per l’accertamento dell’obbligo di provvedere in relazione ad atti generali) ma le riconosce ai singoli, così elevando gli interessi diffusi ad interessi individualmente azionabili, a conclusione di un processo per certi versi opposto a quello, compiuto dalla giurisprudenza, che al fine di garantirne la tutela aveva perorato un processo di imputazione collettiva.
Dunque, ciò che muta rispetto al passato è la legittimazione (estesa ai singoli), ed il nuovo limite del rebus sic stantibus (la lesione, o forse meglio, l’esigibilità del comportamento dovuto, deve essere vagliato alla luce delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione), che però, in relazione all’ipotesi specifica dell’omissione di atti obbligatori per legge, non sembra avere specifico rilievo, trattandosi di questione – quella dell’esigibilità - che il legislatore deve avere necessariamente vagliato al momento dell’attribuzione della potestà di emanazione dell’atto generale.
Il limite delle risorse è questione presa a riferimento dal legislatore anche ai fini della “attuazione” delle previsioni in materia di ricorso collettivo per l’efficienza delle amministrazioni, prevedendosi all’art. 8 della fonte cit., che dalla stessa “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Tale disposizione, tuttavia, non può offrire alcun argomento per sostenere il rinvio della concreta applicazione delle norme, anche per l’ipotesi di omissione di atti generali; essa limitandosi a fornire indicazioni all’Esecutivo in ordine all’impatto finanziario delle previsioni regolamentari allo stesso demandate in materia di standards qualitativi, e non interessando la diversa fattispecie dell’inerzia. Né potrebbe essere diversamente, essendo la valutazione di impatto finanziario delle previsioni legislative, ivi comprese quelle implicanti la successiva emanazione di atti generali entro un dato termine, preoccupazione del legislatore che quel potere ha previsto.
1.4. Non vi è, in conclusione, alcun valido motivo per escludere l’immediata operatività delle previsioni di legge aventi ad oggetto l’omissione di atti generali, risultando irragionevole ogni diverso approdo ermeneutico. A tali conclusioni è del resto giunta la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica nell’ambito della direttiva n. 4 del 25 febbraio 2010, indirizzata a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del d.lgs 165/2001.
2. Continuando nell’esame delle questioni preliminari, non è contestato né contestabile che CODACONS sia legittimata alla proposizione del ricorso in virtù dell’art. 1 comma 4 del d.lgs 198/09, a mente del quale, ferma restando la sussistenza dei presupposti dell’azione “il ricorso può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori di cui al comma 1”. Non è in particolare contestato che Codacons abbia fra i propri associati anche utenti del servizio scolastico che possano dolersi di una lesione diretta, concreta ed attuale derivante dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori in materia di dimensionamento, fruibilità e sicurezza delle aule.
3. Risultano altresì osservati gli adempimenti preliminari necessari ai fini della proponibilità del ricorso: la ricorrente ha in particolare notificato preventivamente una diffida - a tutte le amministrazioni oggi chiamate in giudizio - ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati (art. 3 comma 1); ha indicato, in seno al ricorso, le ragioni per le quali il riscontro formale fornito dall’amministrazione non possa considerarsi sufficiente a rimuovere in modo nemmeno parziale la situazione denunciata, deducendo, al contempo, la persistenza, totale o parziale, di quest’ultima (cfr. art. 3, comma 2, d.lgs. 198/09)
Il ricorso è infine tempestivo essendo stato proposto entro il termine fissato dall’art. 3 comma 2 (un anno dalla scadenza del termine dei novanta giorni assegnati a mezzo della diffida).
4. Risultano invece irrituali tutti gli atti di intervento depositati in cancelleria nei giorni precedenti l’udienza di discussione.
L’art. 1 comma 3 del d.lgs. 189/09 consente ai “soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente” di “intervenire nel termine di venti giorni liberi prima dell'udienza di discussione del ricorso” .
In assenza di norme processuali specifiche (eccezion fatta per il termine), l’atto di intervento soggiace alle formalità previste in via generale dall’art. 50 del vigente codice di rito, a mente del quale, l’atto deve contenere le ragioni su cui si fonda, essere corredato dai documenti giustificativi, e sottoscritto ai sensi dell’articolo 40, comma 1, lettera d). Lo stesso deve inoltre essere previamente notificato alle altre parti e depositato nei termini di cui all’articolo 45 c.p.a..
Gli atti di cui si discorre, invece, non sono né validamente sottoscritti, né notificati, costituendo delle semplici manifestazioni di adesione ricevute dalla ricorrente e dalla stessa direttamente depositate, sulla falsa riga di quanto prescritto per l’azione di classe dall’art. 140 bis del codice del consumo.
A differenze della norma ora richiamata, tuttavia, le disposizioni del d. lgs 198/09 non autorizzano una, pur possibile, deformalizzazione del processo amministrativo, che rimane agganciato agli schemi generali previsti dal c.p.a anche in relazione all’intervento degli interessati appartenenti alla pluralità dei soggetti, dall’associazione rappresentati.
Definite le questioni preliminari può dunque passarsi all’esame dei singoli motivi di ricorso.
5. Con il primo ed il terzo motivo di ricorso CODACONS, dopo aver compiuto una ricostruzione della normativa rilevante in tema di numero massimo di alunni per aula, deduce la mancata emanazione del “piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica” previsto dall’art. 3 comma 2 del dPR 20 marzo 2009 n. 81. La norma, da ultimo citata, prescrive che “per il solo anno scolastico 2009-2010 restano confermati i limiti massimi di alunni per classe previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione in data 24 luglio 1998, n. 331, e successive modificazioni, per le istituzioni scolastiche individuate in un apposito piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica adottato dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, d'intesa con il Ministro dell'Economia e delle Finanze”.
Secondo la ricorrente, il Decreto Interministeriale del 23 settembre 2009, emanato in dichiarata attuazione dell’art. 3 comma 2 del dPR 81/09, non avrebbe la natura ed i requisiti di un piano di riqualificazione scolastica ma quelli, ben più limitati, di un elenco di edifici scolastici in situazione di criticità per i quali sono ammesse deroghe rispetto al numero massimo di alunni. La natura contingente e non pianificatoria dell’elenco adottato risulterebbe altresì dal limite che le stesse amministrazioni avrebbero concordemente fissato in seno al decreto, consistente nell’inserimento – fra le situazioni critiche - di un massimo del 28% delle strutture scolastiche insistenti nel territorio regionale.
5.1. A mezzo del secondo motivo la ricorrente censura la mancata emanazione delle norme tecniche-quadro previste dall’art. 5 della legge 11 gennaio 1996, n. 23 . Quest’ultimo dispone che “……il Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, tenuto conto delle proposte dell'Osservatorio per l'edilizia scolastica, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta, con proprio decreto, le norme tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalità urbanistica, edilizia e didattica indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale……... In sede di prima applicazione ……… possono essere assunti quali indici di riferimento quelli contenuti nel decreto del Ministro dei lavori pubblici 18 dicembre 1975, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 2 febbraio 1976”. Espone la ricorrente che, in assenza di norme tecniche quadro, ad oggi continuerebbero ancora ad applicarsi, quali norme tecniche, quelle richiamate dalla legge del 23/96, risalenti al lontano 1975.
Giova infine segnalare come in tutti i motivi, sopra sinteticamente riportati, siano altresì contenute considerazioni critiche sull’attuale livello di funzionalità e qualità delle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento alla capienza delle aule, all’idoneità e continuità dei servizi che tuttavia non si traducono in specifiche e ben individuate domande di tutela che vadano al di là della generica condanna dell’amministrazione all’adozione di tutti gli atti generali obbligatori per legge.
6. L’avvocatura erariale, ritualmente costituitasi, replica, in via preliminare deducendo la nullità del ricorso per genericità ed indeterminatezza delle domande e, comunque, l’ inammissibilità per mancata individuazione di quelle fonti normative che avrebbero imposto l’obbligo di provvedere a mezzo di atti generali; nel merito, quanto al primo ed al terzo motivo, evidenzia l’avvenuta attuazione dell’art.3 comma 2 del dPR 81/09 e la non sindacabilità della bontà delle scelte e delle valutazioni compiute a mezzo del relativo decreto interministeriale di attuazione; quanto al secondo motivo, si sofferma a confutare le affermazioni (pur contenute nel motivo citato) relative ai limiti minimi e massimi degli alunni, attualmente vigenti per i vari ordini di scuola. Chiede infine dichiararsi il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Interno, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero per la Pubblica Amministrazione e per l’Innovazione.
7. Ritiene il Collegio che il primo ed il terzo motivo siano fondati nei termini che seguono.
Il Decreto legge 25 giugno 2008, n.112 convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, recante “disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, all’art. 64, rubricato “disposizioni in materia di organizzazione scolastica”, ha previsto, ai fini di una “migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente” che, a decorrere dall'anno scolastico 2009/2010, siano adottati interventi e misure volti ad “incrementare gradualmente di un punto il rapporto alunni/docente, da realizzare comunque entro l'anno scolastico 2011/2012, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei tenendo anche conto delle necessità relative agli alunni diversamente abili”. Al contempo ha previsto, per la realizzazione delle medesime finalità, che il Ministro dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, sentita la Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e previo parere delle Commissioni Parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, predisponesse, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, “un piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico”, demandando all’Esecutivo l’emanazione, entro dodici mesi, di “uno o più regolamenti in modo da assicurare comunque la puntuale attuazione del piano programmatico”.
La norma citata è stata incisa dall'articolo 17, comma 25, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, che nel dichiarato proposito di dare una “interpretazione autentica” dell'articolo 64, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha “chiarito” che il “piano programmatico si intende perfezionato con l'acquisizione dei pareri previsti dalla medesima disposizione”, e disposto che “all'eventuale recepimento dei relativi contenuti si provvede con i regolamenti attuativi dello stesso”.
7.1. Rientra tra i regolamenti attuativi citati, il dPR 20 marzo 2009 n. 81, contenente “norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”.
Tale fonte normativa ha in particolare inciso sulla formazione numerica delle classi innalzando il limite massimo di alunni per aula rispetto alla precedenti previsioni del DM 331/98, contestualmente abrogato in parte qua. Al contempo, al comma 2 dell’art. 3, ha previsto che “per il solo anno scolastico 2009-2010 restano confermati i limiti massimi di alunni per classe previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione in data 24 luglio 1998, n. 331, e successive modificazioni, per le istituzioni scolastiche individuate in un apposito piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica adottato dal Ministro dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca, d'intesa con il Ministro dell'Economia e delle Finanze”.
8. Essendo - quello appena descritto - il quadro normativo di riferimento, è necessario, al fine di dirimere la controversia oggetto dell’odierno esame, dare un senso compiuto e coerente al disposto dell’art.3 comma 2, da ultimo citato, nella parte in cui ha previsto la redazione di apposito piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica, correlandovi un effetto derogatorio sebbene limitato all’imminente anno scolastico.
Il senso è senz’altro da individuarsi nel processo di riorganizzazione scaturito dall’aumentato rapporto alunni/docente. Il conseguente maggiore affollamento delle aule e la relativa inidoneità delle stesse a contenere gli alunni in condizioni di sicurezza, salubrità e vivibilità, costituisce infatti implicazione di carattere strutturale non risolubile attraverso misure di carattere meramente organizzativo, ma unicamente affrontabile attraverso una mirata riqualificazione edilizia degli edifici e delle aule.
Non v’è dubbio che le strutture edilizie costituiscano elemento fondamentale ed integrante del sistema scolastico e come tali debbano avere "uno sviluppo qualitativo ed una collocazione sul territorio adeguati alla costante evoluzione delle dinamiche formative, culturali economiche e sociali" (Cfr. art. 1, legge n.23/96)
Ad affermarlo è proprio la legge 23/96 che pone il raggiungimento di tale obiettivo anche attraverso la programmazione degli interventi tesi, in particolare: a) al soddisfacimento del fabbisogno immediato di aule, riducendo gli indici di carenza delle diverse regioni entro la media nazionale……b) all'adeguamento alle norme vigenti in materia di agibilità, sicurezza e igiene; c) all'adeguamento delle strutture edilizie alle esigenze della scuola, ai processi di riforma degli ordinamenti e dei programmi, all'innovazione didattica e alla sperimentazione; d) ad una equilibrata organizzazione territoriale del sistema scolastico, anche con riferimento agli andamenti demografici; f) alla disponibilità da parte di ogni scuola di palestre e impianti sportivi di base.
8.1. Lo stato e la funzionalità di aule ed edifici avrebbe dovuto, del resto, essere fattore di processo oggetto di costante monitoraggio sin dal 1996, e ciò in forza delle previsioni dello stesso legislatore che in quell’anno ebbe la lungimiranza ed il merito di istituire una “anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica” realizzata, curata ed aggiornata con la collaborazione degli enti locali interessati, diretta “ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico”. Detta anagrafe, articolata per Regioni, avrebbe dovuto costituire “lo strumento conoscitivo fondamentale ai fini dei diversi livelli di programmazione degli interventi nel settore”. (Cfr. art. 7 legge 11 gennaio 1996, n. 238).
L’utilizzo del condizionale è necessitato, poiché, a dispetto dell’imperativo legislativo, l’anagrafe non ha avuto, per lungo tempo, compiuta ed efficace attuazione. Lo si desume dal tenore degli stessi atti ministeriali : ad es. nel D.M. del 16 luglio 2007, l’amministrazione dà atto, al fine di ripartire fra le Regioni i finanziamenti relativi al triennio 2007/2009, di dovere utilizzare, “nelle more del completamento dell’Anagrafe nazionale dell’Edilizia scolastica di cui all’articolo 7 della legge 11 gennaio 1996 n. 23”, i medesimi criteri e basi di calcolo assunti nel precedente D.M. 30 ottobre 2003; ancora, l’intesa istituzionale, raggiunta nella Conferenza Unificata del 28 gennaio 2009 relativamente agli indirizzi per prevenire e fronteggiare le eventuali situazioni di rischio connesse alla vulnerabilità di elementi anche non strutturali negli edifici scolastici, pubbl. su G.U. n. 33 del 10 febbraio 2009, ha previsto la costituzione - presso ciascuna Regione e Provincia Autonoma, che ne hanno il coordinamento - di appositi Gruppi di lavoro, composti da rappresentanze degli Uffici Scolastici Regionali, dei Provveditorati Interregionali alle Opere Pubbliche, dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM, con il compito di costituire apposite squadre tecniche incaricate dell’effettuazione di sopralluoghi sugli edifici scolastici del rispettivo territorio e di compilare apposite schede, il cui contenuto (evidentemente non già rilevabile dall’Anagrafe nazionale) è destinato a confluire successivamente nell’Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica; più di recente, in una circolare del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca - Dipartimento per la programmazione - 18 febbraio 2010, consultabile dal Sito istituzionale, si riconosce che i dati dell'anagrafe, presenti attualmente nel sistema informativo del Ministero, necessitano di un aggiornamento, tale da consentire una conoscenza più puntuale, almeno per quanto concerne gli aspetti di maggior rilievo, e si invitano le istituzioni scolastiche all’inserimento, in un modulo di rilevazione all’uopo predisposto, dei dati conoscitivi ritenuti necessari, “nella prospettiva della realizzazione di una banca dati continuamente aggiornabile on-line dalle singole istituzioni scolastiche”; si apprende, infine, da un comunicato stampa pubblicato sul sito istituzionale del MIUR il 12 novembre 2010, che “finalmente questa banca dati è stata completata e contiene per la prima volta, oltre agli elementi strutturali (strutture portanti, coperture, intonaci, impianto di riscaldamento, impianto idrico, impianto igienico sanitario), anche gli elementi non strutturali degli edifici (controsoffitti, tramezzature, parapetti, data di costruzione e ultima ristrutturazione, stato di conservazione ed eventuale degrado, rischio sismico, presenza di barriere architettoniche, certificazioni antincendio, idoneità statica, presenza di amianto)” e che “attualmente l’anagrafe può essere consultata e aggiornata on line dalle istituzioni competenti”.
8.2. In vista del perfetto funzionamento del sistema scolastico, nell’ordinata architettura disegnatane dal legislatore del ’96, il piano di riqualificazione dell’edilizia scolastica di cui all’art. 3 del dPR 81/2009 avrebbe dovuto costituire un atto di programmazione (non a caso demandato al concerto tra MIUR e Miniestero dell’Economia e delle Finanze) per l’individuazione di obiettivi, risorse e tempi, relativi agli interventi edilizi necessari affinché gli Istituti - rilevabili dall’anagrafe nazionale - inidonei ad ospitare in condizioni di sicurezza e vivibilità il numero degli alunni imposto dalla rivisitazione degli indici di affollamento, fossero messi in condizione di farlo. Nelle more e, limitatamente all’anno scolastico 2009/2010, le scuole interessate dal piano di riqualificazione avrebbero potuto ottenere deroghe in ordine al numero massimo di alunni per aula, potendo continuare ad avvalersi dei vecchi limiti di cui al DM 331/98.
Qualsiasi diversa interpretazione non avrebbe ragione giustificatrice. In particolare non sarebbe ragionevole intendere la norma come avente l’unica e sterile finalità di consentire la deroga per il solo anno scolastico 2009/2010 in favore di un elenco di scuole disagiate, non foss’altro perché, così argomentando a) il problema si ripresenterebbe intatto per gli anni scolastici successivi e, b) non avrebbe senso alcuno aver espressamente e chiaramente precisato che la deroga è limitata “solo” all’anno scolastico citato.
E’ invece quanto hanno apparentemente fatto il MIUR ed il MEF, i quali, con decreto interministeriale del 23 settembre 2009, nel dichiarato intento di definire “nell’ambito del predetto piano”, un elenco di scuole per le quali potrebbero restare confermati i pregressi limiti numerici di cui al DM 331/98, hanno compilato un elenco delle scuole in situazione potenzialmente critica grazie alle (scarne e datate) informazioni prelevabili dall’anagrafe nazionale, indi hanno demandato a ciascun Ufficio Scolastico Regionale di individuare, nell’ambito dell’elenco citato, le scuole effettivamente inidonee, fissando al contempo il limite massimo del 28% delle strutture scolastiche complessivamente facenti capo ai rispettivi territori.
L’elenco è ovviamente cosa diversa dal piano generale di riqualificazione dell’edilizia scolastica e può qualificarsi ed al contempo giustificarsi solo quale misura urgente e provvisoria per l’individuazione delle scuole che, per il solo anno scolastico 2009/2010, avrebbero potuto ottenere la più volte citata deroga, in attesa dell’adozione del piano di riqualificazione e, soprattutto, della conseguente attuazione.
Ergo, il piano generale di riqualificazione dell’edilizia scolastica non è stato ancora adottato, costituendo,come appena chiarito - il decreto interministeriale del 23 settembre 2009 - misura diversa ed eterogenea, di natura urgente e provvisoria, per garantire la vivibilità degli ambienti delle scuole inidonee ad ospitare classi più numerose di quelle pregresse, nelle more di una loro necessaria riqualificazione a mezzo del piano.
9. Rimane da chiarire una circostanza ulteriore, ossia, se l’inerzia delle amministrazioni citate si sia, o meno, protratta così a lungo da violare il termine di legge.
Al fine di accedere alla tutela prevista dal d.lgs 198/2009, infatti, la lesione di cui si duole la pluralità degli utenti, e per essa l’associazione, deve derivare dalla “mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento” (Cfr. art. 1, cit.).
Se è pacifico che il piano di riqualificazione sia un atto generale obbligatorio giusto il disposto dell’art. 3 del dPR 81/09, qualche dubbio potrebbe invece residuare per via della mancata contestuale fissazione di un termine. Lo stesso, tuttavia, può agevolmente sciogliersi alla luce di una lettura sostanzialistica ed utile della norma che ne ha imposto l’adozione, giacché essa fa riferimento al “solo” anno scolastico 2009-2010, così lasciando intendere che per gli anni successivi debba già risultare adottato ed attuato il piano di riqualificazione. Vieppiù, per lo stesso anno scolastico citato, la norma impone che le istituzioni scolastiche alle quali concedere la deroga, siano già “individuate in un apposito piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica”, indi lo stesso, a stretto rigore, fermi restando i tempi per la sua attuazione, avrebbe comunque dovuto essere adottato prima dell’anno scolastico 2009/2010.
Essendo - quello descritto - un riferimento temporale che comunque individua il dies a quem per l’emanazione dell’atto per cui è causa nell’inizio dell’anno scolastico indicato, è evidente che l’inerzia (non elisa dall’adozione del descritto elenco di scuole) si sia già protratta ampiamente oltre il termine di legge.
10. A diverse conclusioni deve invece addivenirsi in relazione al secondo motivo di ricorso, ed in particolare, alla mancata emanazione delle “norme tecniche-quadro” contemplate dall’art. 5 della legge 11 gennaio 1996, n. 23, che invece ne imponeva l’adozione nel termine di 90 gg. dalla propria entrata in vigore.
Non v’è dubbio che, nel caso di specie, trattasi di atto a carattere normativo, come tale escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs. 198/09 il quale, in modo non equivoco, assume la natura “non normativa” dell’atto generale a presupposto essenziale ed imprescindibile dell’azione. La relativa domanda è pertanto inammissibile.
11. Inammissibili, infine, risultano tutte le censure direttamente od indirettamente riferite all’attuale situazione delle scuole italiane. Esse attengono al rispetto di uno standard di funzionalità e qualità il cui sindacato giudiziale, pur normativamente previsto, non risulta ancora predicabile alla luce di quanto in premessa osservato.
12. In ragione dell’esito complessivo del giudizio, della novità e complessità del contenzioso e dell’assenza di precedenti giurisprudenziali sul tema, sono ravvisabili giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, accertata la mancata emanazione del piano generale di edilizia scolastica previsto dall’art.3 del dPR 81/09, ordina al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca scientifica ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’emanazione, di concerto, del predetto piano generale, entro giorni 120 dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, all’uopo utilizzando le risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Lo dichiara inammissibile per il resto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa, che quest’ultima ne dia notizia sul proprio sito istituzionale, ai sensi dell’art. 4 comma 2 del d.lgs 198/2009.
Nota
1. Il caso deciso.
La questione è la seguente.
Il CODACONS, a seguito della ricezione di numerose segnalazioni da insegnanti, studenti e genitori, ha lamentato la diffusa inosservanza degli indici minimi di edilizia scolastica e dell’indice di massimo affollamento delle aule scolastiche – dettati dalle leggi nn. 820/1971, 23/1996 e 133/2008 e dai D.P.R. nn. 81/2009 e 89/2009 – descrivendo situazioni di pericolo e disagio, stigmatizzate con l’espressione “classi- pollaio”.
Il CODACONS , con propria nota del 16/01/2010, ha diffidato ex art. 1 D. lgs. n. 198/2009 il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (c.d. MIUR) , il Ministero dell’Interno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (c.d. MEF), il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, gli Uffici Scolastici Regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Umbria, Veneto, Sardegna e Toscana, ad adottare, entro il termine dei successivi novanta giorni, tutti gli atti amministrativi generali resi obbligatori dalle leggi nn. 820/1971, 23/1996 e 133/2008 e dai D.P.R. nn. 81/2009 e 89/2009 in materia di formazione delle classi scolastiche e dimensionamento della rete scolastica, ed a risarcire il danno derivante all’associazione ed ai singoli utenti dal perdurante comportamento omissivo.
Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha fornito riscontro alla diffida sostenendo che: a)il CODACONS non aveva fornito indicazioni analitiche e concrete in ordine ai casi di sovraffollamento; b)il CODACONS non aveva indicato quali fossero gli atti amministrativi generali ed obbligatori, ex lege, la cui mancata adozione avrebbe provocato la denunciata situazione di grave sovraffollamento; c)a seguito del decentramento attuato con il D. lgs. n. 112/1998 il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca non ha competenza in ordine agli strumenti potenzialmente risolutivi della problematica, poiché spettano allo Stato, e per esso al MIUR, esclusivamente l’organizzazione della rete scolastica, l’assegnazione delle risorse e del personale alle istituzioni scolastiche; spettano alle Regioni la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, la programmazione della rete scolastica regionale nell’ambito delle risorse assegnate e, sulla base dei piani provinciali, la determinazione del calendario scolastico; spettano alle Province, in relazione all’istruzione secondaria, ed ai Comuni, per i livelli inferiori della scuola, i compiti e le funzioni concernenti l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione, la redazione dei piani di organizzazione della rete scolastica, i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazioni di svantaggio, il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, la sospensione delle lezioni in casi gravi ed urgenti; in materia di edilizia scolastica sono Province e Comuni a dover provvedere alla realizzazione, alla fornitura ed alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici.
In seguito il CODACONS notificava “ricorso per l’efficienza delle amministrazioni” ex D. lgs. n. 198/2009 al fine dell’ottenimento della condanna delle, anzidette, PP. AA. alla emanazione degli, obbligatori, atti generali, richiedendo, in sede cautelare, la pubblicazione telematica del ricorso proposto.
Nelle more della decisione, sono stati depositati, dal CODACONS, numerosi atti di intervento adesivo da parte di insegnanti, studenti e genitori.
2. La questione.
Le pubbliche amministrazioni competenti sono tenute ad adottare atti amministrativi di carattere generale, ed ogni altro atto, necessari a riportare in termini di normale tollerabilità l’emergenza legata ai denunziati indice minimo di edilizia scolastica ed indice di massimo affollamento delle aule scolastiche, che hanno generato situazioni di pericolo e disagio stigmatizzate con l’espressione “classi- pollaio”?
3. La risposta del T.A.R. Lazio, Roma, sez. III bis – sentenza 20 gennaio 2011 n. 552.
I giudici amministrativi capitolini, accertata la mancata emanazione del piano generale di edilizia scolastica previsto dall’art. 3 del D.P.R. n. 82/2009, hanno ordinato al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze, la emanazione, di concerto, dell’anzidetto piano generale, a tal uopo utilizzando le risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi maggiori oneri per la finanza pubblica, al fine di riportare in termini di normale tollerabilità l’emergenza legata ai denunziati indice minimo di edilizia scolastica ed indice di massimo affollamento delle aule scolastiche.
4. Nota esplicativa.
L’art. 2 co. 445- 447 L. n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008) ha introdotto l’art. 140- bis all’interno del D. lgs. n. 206/2005, segnando l’ingresso, nell’ordinamento giuridico italiano, dell’istituto, di origine anglosassone, della class action ovvero “azione collettiva”, cioè l’azione legale mediante la quale una associazione rappresentativa dei consumatori rivendica la tutela giudiziale di un “interesse diffuso”,
E’ molto importante, ai fini della corretta disamina ermeneutica del diktat amministrativo sottoposto al mio vaglio, prendere in considerazione le caratteristiche salienti dell’anzidetta class action: a)è promuovibile dalle associazioni dei consumatori maggiormente rapprsentative; b)gli effetti del giudicato è esteso solo ai partecipanti ovvero intervenienti al processo, con la specificazione che la mancata adesione non pregiudica il diritto di azione; c)si può ottenere il risarcimento del danno ovvero la restituzione di somme di danaro ai singoli consumatori; d) il risarcimento dei danni beneficia esclusivamente i partecipanti alla class action; e)il foro esclusivo è quello di residenza dell’ente che ha posto in essere il comportamento pregiudizievole.
Per quanto concerne la disciplina processualistica dell’”azione collettiva”: a)il tribunale nella prima udienza valuta l’”ammissibilità dell’azione” e la “non manifesta infondatezza dell’azione”; b)se il tribunale accoglie la domanda fissa i criteri per la determinazione del danno da liquidare, individuando, altresì, il suo tetto minimo; c)qualora il tribunale emani una sentenza di accoglimento della class action, deve notificarla all’ente responsabile del pregiudizio che, entro sessanta giorni, deve proporre, all’associazione rappresentativa dei consumatori, una “somma definitiva di risarcimento” che, qualora accettata, costituisce titolo esecutivo; d)se l’ente, cui è ascrivibile la responsabilità, non provvede alla proposizione di tale somma di danaro ovvero quest’ultima non è accettata dalle parti lese, v’è la formazione di una camera di consiglio – formata da un avvocato nominato dell’ente, un avvocato scelto dal tribunale ed un avvocato scelto dai promotori della class action – nell’ambito della quale si provvederà alla quantificazione definitiva della somma da destinare alle parti lese dal comportamento pregiudizievole dell’ente.
Nel caso sottoposto alla mia attenzione, il CODACONS è intervenuto in giudizio avanti al Tar Lazio, sede di Roma, per ottenere la condanna del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e delle altre amministrazioni resistenti, ciascuno per quanto di propria competenza, all’adozione degli, obbligatori, atti amministrativi di carattere generale e di ogni altro atto necessari a riportare in termini di normale tollerabilità l’emergenza legata alla diffusa inosservanza degli indici minimi di edilizia scolastica e dell’indice di massimo affollamento della aule, generanti situazioni di pericolo e disagio stigmatizzate con l’espressione “classi- pollaio”.
I giudici amministrativi capitolini hanno sottolineato la necessarietà di un processo di riorganizzazione scaturente dall’aumentato rapporto alunni/docenti, cui è conseguito il maggiore affollamento delle aule e la relatività inidoneità delle stesse a contenere gli alunni in condizioni di sicurezza, salubrità e vivibilità, problematiche unicamente affrontabili attraverso una mirata riqualificazione edilizia degli edifici e delle aule scolastiche, dal momento che le strutture edilizie costituiscono elemento fondamentale ed integrante del sistema scolastico e come tali devono avere uno sviluppo qualitativo ed una collocazione sul territorio adeguati alla costante evoluzione delle dinamiche formative, culturali, economiche e sociali.
Da un comunicato stampa pubblicato sul sito internet istituzionale del Ministero dell’Istruzione, Università e e Ricerca è emersa la avvenuta creazione, legislativamente imposta, dell’”Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica”, realizzata, curata ed aggiornata con la collaborazione degli enti locali interessati, e diretta ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico, e contenente la indicazione degli “elementi strutturali” (strutture portanti, coperture, intonaci, impianto di riscaldamento, impianto idrico, impianto igienico sanitario) e degli “elementi non strutturali degli edifici” (controsoffitti, tramezzature, parapetti, data di costruzione ed ultima ristrutturazione, stato di conservazione ed eventuale degrado, rischio sismico, presenza di barriere architettoniche, certificazioni antincendio, idoneità statica, presenza di amianto).
Nel decisum oggetto del mio vaglio critico, i giudici amministrativi laziali, accertata la mancata emanazione del piano generale di edilizia scolastica previsto dall’art. 3 D.P.R. n. 81/2009, hanno ordinato al Ministero dell’Istruzione, Universaità e Ricerca ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze l’emanazione, di concerto, dell’anzidetto piano generale entro centoventi giorni dalla comunicazione ovvero notificazione della sentenza, a tal uopo utilizzando le risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
5. I precedenti giurisprudenziali.
T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 23 marzo 1999, n. 229; afferma che “i rimedi che l’art. 3 L. n. 281/1998 appresta per la tutela dei diritti fondamentali dei consumatori ed utenti vanno inseriti nella categoria delle class action ben nota ad altri ordinamenti: ne consegue che l'associazione che si propone di tutelare i consumatori e gli utenti ha una legittimazione, se del caso concorrente con quella dell'interessato, per la tutela delle posizioni soggettive indicate nell'art. 1 L. n. 281/1998. Pertanto, l'eventuale titolare del diritto potrà agire singolarmente, a tutela preventiva o successiva della propria situazione protetta nelle materie indicate, così come potrà essere l'associazione ad assumere l'iniziativa in tale senso, anche senza l'accordo della persona eventualmente lesa.
6. Gli spunti bibliografici.
F.Caringella, Lezioni di diritto amministrativo, 2008, Ed. Dike giuridica;
F.Caringella, R. De Nictolis, R. Giovagnoli,V. Poli, Manuale di giustizia amministrativa, 2008, Ed. Dike giuridica;
F. Caringella, Manuale di Diritto amministrativo, 2007, Ed. Giuffrè;
F.Caringella, Manuale di diritto amministrativo, 2008, Ed. Giuffrè ;
R. Giovagnoli-M.Fratini, Le nuove regole dell’azione amministrativa al vaglio della giurisprudenza, 2007, Ed. Giuffrè;
E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 2006, Ed. Giuffrè;
S. Cassese, Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Generale, tomi I e II, 2003, Ed. Giuffrè.