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Gli atti politici si definiscono come atti
d'individuazione dei fini e degli interessi generali dell'ordinamento e
si esprimono attraverso:
gli atti aventi forza di legge,
le sentenze
della Corte Costituzionale
e atti formalmente amministrativi privi di
forza legislativa o giurisdizionale come gli atti di nomina dei
ministri, dei sottosegretari, la proposizione della questione di
fiducia, la dichiarazione di pericolo pubblico o dello stato di guerra
ecc. ecc.
Secondo parte della dottrina gli atti politici sarebbero un
numero chiuso in quanto inammissibili al di fuori delle previsioni
esplicitamente o implicitamente desumibili dalla Costituzione.
Con
riferimento agli atti politici, caratteristica essenziale è la loro non
impugnabilità in sede giurisdizionale.
Al riguardo l'inammissibilità
del ricorso innanzi al G.A. è esplicitamente prevista dall'art. 24 del
R.D. n. 1054 del 26 giugno 1924 che stabilisce l'inammissibilità del
ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso atti e
provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico.
Parimenti non appare configurabile un'azione dinanzi al G.O. stante
l'insussistenza di posizioni di diritto soggettivo dinanzi agli atti
politici di direzione suprema della cosa pubblica.
Gli atti politici, come già accennato, vengono poi concretamente realizzati dalla funzione amministrativa attraverso provvedimenti che realizzano il fine politico.