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Il diritto di accesso agli atti amministrativi è previsto e disciplinato dagli artt. 22 e ss della L. n. 241/1990, così come modificata dalla Legge n. 15 del 2005 e dalla L. n. 80 del 2005 (la disciplina di dettaglio, invece, è contenuta nel regolamento esecutivo approvato con Dpr n. 184 del 2006).
La normativa in materia di diritto d'accesso agli atti amministrativi risponde all'interesse alla trasparenza dell'azione amministrativa ed alla democraticità del procedimento amministrativo; è, altresì, funzionale ad evitare fenomeni di collusione nell'esercizio dei pubblici poteri. A mente dell'art. 22, comma 2 della L. n. 241 del 1990 (però a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 69/2009, la relativa previsione è confluita nell'art. 29) il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e la trasparenza ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera M della Costituzione. In tal senso il diritto di accesso è materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato. E' fatta salva la facoltà, per le Regioni, di dettare discipline di miglior favore applicabili nel territorio regionale (cfr. il già richiamato art. 29 della L. n. 241 del 1990 come modificato dall'art. 10 della L. n. 69/2009).
Il diritto di accesso consiste nel diritto di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi. Sotto il profilo della qualificazione giuridica, a fronte di una prima posizione del giudice amministrativo che gli riconosceva natura di interesse legittimo, sul rilievo della sussistenza del termine decadenziale per la proposizione dell'azione impugnatoria e, in chiave sostanziale, della sussistenza di fonti normative regolanti la materia dirette a contemperare l'interesse all'ostensione del privato con la coessenziale finalità di pubblico interesse (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, 24 giugno 1999 n. 16). La più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha mutato orientamento (cfr. Consiglio di Stato Sez V, 10 agosto 2007, n 4411) anche in relazione al mutato contesto normativo, rilevando che l'esplicita qualificazione della posizione soggettiva in termini di diritto, nonchè il riconoscimento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e l'assenza di discrezionalità in merito all'accoglimento dell'istanza ostensiva, fanno propendere per la qualificazione della posizione tutelata in termini di diritto soggettivo (Consiglio di Stato, sez. consultiva, parere 13 febbraio 2006 n. 3586/2005)
Il diritto d'accesso è riconosciuto in favore di soggetti che vantino una specifica posizione soggettiva, qualificata e differenziata, diretta, concreta ed attuale, nelle diverse forme del diritto soggettivo, dell'interesse legittimo e dell'interesse diffuso, dalla quale origini uno specifico interesse all'ostensione del documento amministrativo. Al riguardo il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza n. 569 del 4 febbraio 2003, ha avuto modo di chiarire come il diritto d'accesso non sia funzionalizzato ad un controllo generalizzato dell'operato della PA essendo funzionalizzato alla tutela di specifiche posizioni soggettive facenti capo all'interessato all'ostensione. Il diritto d'accesso è, in ogni caso, slegato dall'interesse legittimo all'impugnativa dell'eventuale provvedimento amministrativo al quale inerisce il documento amministrativo oggetto dell'istanza.
Sotto il profilo della definizione dell'oggetto del diritto d'accesso, la norma fa riferimento a qualsivoglia riproduzione grafica o fotocinematografica di atti, anche interni relativi ad un procedimento amministrativo detenuti da una pubblica amministrazione e relativi ad attività di interesse pubblico a prescindere dalla natura pubblicistica o privatistica della relativa disciplina sostanziale. Nell'individuare la Pubblica Amministrazione destinataria del dovere di consentire l'accesso, poi, il medesimo art. 22 stabilisce l'irrilevanza della natura privata o pubblica del soggetto incentrando il criterio di verifica nell'espletamento (da parte di soggetti privati o pubblici) di attività di pubblico interesse. Ne consegue che formano oggetto del diritto di accesso tutti i documenti che ineriscono in via diretta o indiretta all'esercizio di attività di pubblico interesse da parte di soggetti pubblici e privati. In via più analitica, poi, l'art. 23 della L. n. 241 del 1990 individua i legittimati passivamente in ordine alle istanze ostensive, nelle pubbliche amministrazioni, nelle aziende autonome e speciali, negli enti pubblici e nei gestori di pubblici servizi.
Si era posta in giurisprudenza, già prima delle modifiche chiarificatrici apportate dal legislatore del 2005, la questione se l'accesso potesse essere esercitato anche sull'attività di diritto privato della PA ed entro che termini fossero destinatari della normativa in materia di accesso anche i privati gestori di pubblico servizio. A fronte di un primo orientamento della giurisprudenza amministrativa incline a negare l'accesso con riferimento all'attività di diritto privato della PA, in considerazione dell'assenza della connotazione autoritativa dell'agere, con la sentenza n. 82 del 4 dicembre 1997 della Sez IV del Cds e, ancor di più, con le successive pronunce nn. 4 e 5 del 1999 della Ad. Plenaria del Consiglio di Stato, è stata rimarcata l'irrilevanza delle modalità (privatistiche o pubblicisticche) con le quali la PA esercita le proprie competenze, dovendo, piuttosto, aversi riguardo all'oggetto dell'attività.; se essa, cioè, attenga o meno alla cura del pubblico interesse.
Con riferimento specifico ai gestori di pubblico servizio privati, si era osservato che la loro attività doveva reputarsi assoggettata alla normativa sul diritto d'accesso, allorchè:
si svolgeva obbligatoriamente attraverso moduli procedimentali imposti dalla normativa pubblicistica o comunitaria e attraverso l'esercizio di poteri pubblicistici (ad esempio in materia di evidenza pubblica);
lo stesso gestore si autovincolava al rispetto di determinati procedimenti per la riconosciuta rilevanza pubblicistica della materia (ad esempio allorchè venisse indetta una gara ufficiosa).
Inoltre, i privati gestori di pubblico servizio dovevano reputarsi assoggettati all'obbligo di consentire l'accesso in ordine a tutta l'attività di gestione diretta del servizio ed anche, con verifica da effettuarsi caso per caso, in relazione all'attività organizzativa che avesse un'incidenza rilevante sulla gestione del servizio.
Con la novella del 2005, in relazione alla nuova definizione di PA quale contenuta nell'art. 22, la portata della pronuncia dell'Adunanza Plenaria sembrerebbe esser stata ridimensionata soprattutto con riferimento all'attività organizzativa ed a quella soggetta ad autovincolo.
Sotto il profilo oggettivo deve ulteriormente sottolinearsi come gli atti preparatori non soggiacciano all'obbligo di ostensione e come quest'ultima debba avere ad oggetto solo documenti amministrativi già formati e non già documenti da formarsi.
L'art. 24 della Legge n. 241/1990 individua i limiti che i soggetti astrattamente tenuti all'ostensione possono frapporre all'esercizio del diritto d'accesso. Vi sono limiti immediatamente operativi e categorie di limiti che necessitano di specifica concretizzazione a mezzo di regolamento governativo.
I limiti al diritto d'accesso immediatamente operativi sono quelli relativi a documenti concernenti il segreto di Stato e quelli relativi a procedimenti in materia di sequestri di persona e di protezione di testimoni di giustizia. Sono, inoltre, limiti immediatamente operativi quelli relativi ai documenti afferenti a procedimenti tributari, nonchè quelli relativi a atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione, nonchè, nell'ambito dei procedimenti selettivi, i documenti concernenti terzi e contenenti informazioni a carattere psicoattitudinale. Con riferimento agli atti normativi, amministartivi generali, di pianificazione e programmazione, si è rilevato che l'esclusione del diritto d'accesso andrebbe spiegata con la sussistenza di normative specifiche derogatorie. Se tale è la logica dell'esclusione, si argomenta, essa non dovrebbe operare in relazione a tali tipologie di atti ove non specificatamente disciplinati in senso derogatorio rispetto alla L. n. 241 del 1990.
I limiti al diritto d'accesso subordinati all'adozione di specifici regolamenti governativi attengono alla materia della sicurezza dello Stato, alle relazioni internazionali, alla politica valutaria, alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione ed alla repressione della criminalità organizzata, alla riservatezza delle persone fisiche, delle persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni nonchè, infine, alle procedure di contrattazione collettiva nazionale ed agli atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato.
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