Lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego, la disciplina di cui all'art. 56 del Testo Unico e gli oneri di allegazione a carico del lavoratore che domandi differenze retributive
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L’espletamento di mansioni superiori rispetto al livello di inquadramento, nell'ambito del pubblico impiego, è disciplinato dall’art. 56 del d.lgs. 29/1993 (come modificato dal d.lgs. 387/1998) e poi sostituito dall’art. 52 del T.U.P.I., che stabilisce che “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione. 2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4; b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza. 3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni. 4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti. 5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.”
Tale disposizione ha recepito il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza del S.C. (Cass., sez. unite, n. 25837/2007; Cass., sez. lav., n. 16078/2003), che il pubblico dipendente al quale siano assegnate di fatto mansioni superiori rispetto alla qualifica di inquadramento ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost. al riconoscimento delle differenze retributive corrispondenti alla quantità e soprattutto alla qualità del lavoro prestato (cfr sul punto Corte Cost. n. 57 del 1989; n. 296 del 1990, n. 101 del 1995). Una siffatta conclusione, tuttavia, presuppone che il Giudicante affronti l’indagine necessaria ad appurare l’espletamento, da parte del lavoratore pubblico, in via prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri delle mansioni superiori. Occorre dunque passare, esattamente come nell’impiego privato, attraverso tre fasi: l’accertamento delle mansioni effettivamente espletate, l’individuazione delle declaratorie contrattuali (o di diversa fonte) corrispondenti alle mansioni assegnate per contratto e a quelle effettuate, il raffronto tra i risultati delle due indagini. (Cass., sez. lavoro, 22/8/2007 n. 17896; id, 12/5/2006 n. 11037).
Affinché il Giudice possa affrontare l’iter logico descritto traendone le conclusioni, è necessario che il lavoratore, nell’atto introduttivo del giudizio, abbia adempiuto l’onere di allegare compiutamente i fatti costitutivi del diritto vantato, descrivendo puntualmente le mansioni disimpegnate, indicando quelle spettanti in base alla qualifica riconosciuta per contratto e individuando precisamente le declaratorie contrattuali corrispondenti della qualifica oggetto di pretesa. Applicando i principi generali in tema di ripartizione dell’onere della prova, se è vero che spetta al datore di lavoro – debitore provare di avere adempiuto l’obbligo contrattuale di fonte legale di adibire il lavoratore alle mansioni corrispondenti alla categoria assegnata, è altrettanto vero che grava sul lavoratore – creditore l’onere di allegazione dell’inesatto adempimento. Detto onere, come ripetutamente affermato dal S.C., si atteggia nel senso che grava sul lavoratore ricorrente l’onere di indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni della qualifica pretesa, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di aver concretamente svolto. (Cass., sez. lavoro, 24.10.2005, n. 20523; Cass., sez. lavoro, 21.5.2003, n. 8025).
Peraltro, onde effettuare l'operazione di raffronto, è bene sottolineare come l'art. 56 cit. disponga che espressamente che "si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni".
Resta da ricordare come nel pubblico impiego, al contrario che nell'ambito del lavoro privato, l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione.
Non esiste, dunque, un diritto del pubblico dipendente a conservare l'inquadramento relativo alle mansioni superiori concretamente espletate.
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