Il diritto alla vita ha, tra i diritti della personalità, una posizione preminente. La Costituzione protegge il diritto alla vita non solo sotto il profilo della sopravvivenza ma anche sotto il profilo della garanzia di una determinata condizione della vita umana (vengono, sotto questo profilo, in rilievo l'art. 4 della Cost. con il riconoscimento e la tutela del diritto al lavoro, l'art. 36 Cost. che fonda il diritto ad una retribuzione adeguata e proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato, nonchè l'art. 38 Cost, relativo al riconoscimento di mezzi adeguati alle esigenze di vita).
Il diritto alla vita può essere compresso per ragioni di interesse pubblico come la difesa della Patria di cui all'art. 52 Cost. o per la necessità di salvaguardare un interesse preponderante: si pensi alle azioni lesive poste in essere per legittima difesa o in stato di necessità.
Il diritto alla vita deve essere mantenuto distinto dal diritto all'integrità fisica, che poi è un aspetto del più generale diritto alla salute. Mentre, infatti, il diritto alla vita è assolutamente indisponibile (con la conseguenza che il consenso del titolare del diritto non ha effetto scriminante), il diritto all'integrità fisica può formare oggetto di atti di disposizione purchè siano rispettati i vincoli di cui all'art. 5 del c.c. e, cioè, che gli atti di disposizione stessi non cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica e che non siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.
Il consenso a disporre, entro i limiti di cui all'art. 5 c.c., del proprio corpo può essere sempre revocato e gli atti di disposizione del corpo sono da considerare meri atti giuridici.
Affinchè il consenso alla disposizione del corpo possieda efficacia scriminante sotto il profilo penale, è necessario che siano rispettati i limiti di cui all'art. 5 del c.c.
Con riferimento al diritto all'integrità fisica, si discute se gli atti di disposizione vietati siano solo quelli nei confronti dei terzi o anche gli atti volontari di disposizione del proprio corpo che non abbiano come destinatari terzi soggetti (si pensi allo sciopero della fame, all'autosperimentazione scientifica alla sterilizzazione volontaria).
In ogni caso gli atti di disposizione del corpo non devono causare diminuzioni permanenti dell'integrità fisica salvo che siano rivolti alla tutela della salute (anche psichica) dell'individuo e non debbono essere contrari alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume.
Con riferimento all'eccedenza del limite del buon costume vanno menzionate le problematiche relative all'ingegenria genetica ed alla medicina riproduttiva. Al riguardo, la L. n. 40 del 19 febbraio 2004 vieta il ricorso a tecniche di inseminazione di tipo eterologo e, in caso di violazione di tale divieto, impedisce alla madre di mantenere l'anonimato ed al coniuge o al convivente che, anche per fatti concludenti abbia prestato il consenso, di disconoscere la paternità.
Il diritto alla vita può essere compresso per ragioni di interesse pubblico come la difesa della Patria di cui all'art. 52 Cost. o per la necessità di salvaguardare un interesse preponderante: si pensi alle azioni lesive poste in essere per legittima difesa o in stato di necessità.
Il diritto alla vita deve essere mantenuto distinto dal diritto all'integrità fisica, che poi è un aspetto del più generale diritto alla salute. Mentre, infatti, il diritto alla vita è assolutamente indisponibile (con la conseguenza che il consenso del titolare del diritto non ha effetto scriminante), il diritto all'integrità fisica può formare oggetto di atti di disposizione purchè siano rispettati i vincoli di cui all'art. 5 del c.c. e, cioè, che gli atti di disposizione stessi non cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica e che non siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.
Il consenso a disporre, entro i limiti di cui all'art. 5 c.c., del proprio corpo può essere sempre revocato e gli atti di disposizione del corpo sono da considerare meri atti giuridici.
Affinchè il consenso alla disposizione del corpo possieda efficacia scriminante sotto il profilo penale, è necessario che siano rispettati i limiti di cui all'art. 5 del c.c.
Con riferimento al diritto all'integrità fisica, si discute se gli atti di disposizione vietati siano solo quelli nei confronti dei terzi o anche gli atti volontari di disposizione del proprio corpo che non abbiano come destinatari terzi soggetti (si pensi allo sciopero della fame, all'autosperimentazione scientifica alla sterilizzazione volontaria).
In ogni caso gli atti di disposizione del corpo non devono causare diminuzioni permanenti dell'integrità fisica salvo che siano rivolti alla tutela della salute (anche psichica) dell'individuo e non debbono essere contrari alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume.
Con riferimento all'eccedenza del limite del buon costume vanno menzionate le problematiche relative all'ingegenria genetica ed alla medicina riproduttiva. Al riguardo, la L. n. 40 del 19 febbraio 2004 vieta il ricorso a tecniche di inseminazione di tipo eterologo e, in caso di violazione di tale divieto, impedisce alla madre di mantenere l'anonimato ed al coniuge o al convivente che, anche per fatti concludenti abbia prestato il consenso, di disconoscere la paternità.