Incendio veicolo in sosta

Con la sentenza n 3108 del 11 febbraio 2010, la Suprema Corte ha affermato, con motivazione di ampia portata applicativa, che i danni derivanti dall'incendio di veicolo in sosta sono da ricondurre a danni derivanti dalla circolazione a mente del combinato disposto degli artt. 2054 cc ultimo comma e 122 D.lgs n 209 del 2005. L'opposto orientamento, sostenuto dall'impresa d'assicurazione convenuta, si fondava sul rilievo che dovesse distinguersi tra gli incendi riconducibili temporalmente ed eziologicamente alla circolazione del veicolo e quelli che si verificano allorchè il veicolo è in sosta da lungo tempo. Con riferimento a questi ultimi, in disparte il caso in cui derivino da incendio doloso (in tal caso non è in discussione l'irresponsabilità dell'impresa di assicurazione), parte della giurisprudenza di legittimità riteneva la non riconducibilità del fatto alla circolazione del veicolo e quindi ne argomentava l'irresponsabilità dell'impresa di assicurazioni. La Suprema Corte, con il presente arresto, mostra di non condividere l'impostazione sostenendo, sulla base della normativa del codice della strada (cfr. art. 3 n 9), una nozione ampia di circolazione tale da ricomprendere anche la sosta. Considerando, poi, l'art. 2054 cc che sancisce la responsabilità del proprietario anche per i danni derivanti dal difetti di manutenzione o costruzione ne conclude la responsabilità dell'impresa d'assicurazione per i danni derivanti da incendio di veicolo in sosta.

Cassazione Civile  Sez. III del 27 gennaio 2010 n. 1684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. VARRONE  Michele                            -  Presidente   - 
Dott. MASSERA  Maurizio                           -  Consigliere  - 
Dott. URBAN    Giancarlo                          -  Consigliere  - 
Dott. AMENDOLA Adelaide                           -  Consigliere  - 
Dott. AMBROSIO Annamaria                     -  rel. Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21554-2005 proposto da:
D.A.,  procuratore  generale  dell'ENTE   PROVINCIA  NAPOLETANA DEL SS. REDENTORE elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A  DEL  CASTAGNO  34,  presso lo studio dell'avvocato  BELTRANI  SERGIO,  rappresentato e difeso dall'avvocato RUSSO DE LUCA BRUNO con delega a  margine del ricorso;
ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore  Sig. C.V. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA  TUSCOLANA 194,  presso  lo  studio dell'avvocato AVINO FRANCO, rappresentato  e difeso dagli avvocati AURILIA MATTEO, SALVINI ANTONINO; con delega in calce al controricorso;

controricorrente –

avverso  la  sentenza n. 2546/2004 della CORTE D'APPELLO  di  NAPOLI,  Prima Sezione Civile, emessa il 25/06/2004;
depositata il 30/08/2004; R.G.N. 3438/2003; 
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del  19/10/2009 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l'Avvocato BRUNO RUSSO DE LUCA;
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con citazione notificata in data 2-9-1997 l'ENTE ecclesiastico Provincia Napoletana del SS. REDENTORE (di seguito, brevemente, ENTE ecclesiastico) esponeva che con contratto (OMISSIS) aveva concesso in locazione al COMUNE di (OMISSIS) (di seguito, brevemente, COMUNE) l'impianto sportivo denominato "(OMISSIS)" e che l'ente territoriale, con dichiarazione in data 5-10-1995 del Commissario Prefettizio, che in quel momento lo reggeva, fondandosi su un'errata interpretazione dell'art. 13 del contratto, era receduto dalla locazione, assumendo che la Commissione provinciale di vigilanza sugli spettacoli aveva espresso parere negativo in ordine all'agibilità dell'impianto; precisava che vi era stato, comunque, un accordo tra le parti, in occasione del quale si era raggiunto un'intesa in ordine all'esecuzione, in parte a carico del locatore e in parte a carico del conduttore, delle opere necessarie per ottenere l'agibilità e che, peraltro, l'accordo non aveva avuto seguito alcuno, pur continuando l'impianto ad essere utilizzato dal COMUNE. L'ENTE ecclesiastico chiedeva, dunque, in via principale, che - accertato che il contratto non si era risolto - il COMUNE venisse condannato al pagamento dei canoni dovuti e non pagati per un importo pari a L. 77.000.000 oltre accessori e, in subordine, ove si fosse accertata la risoluzione contrattuale, che il COMUNE fosse condannato al pagamento della stessa somma a titolo di risarcimento per la mancata restituzione dell'impianto ai sensi dell'art. 1591 c.c.. In seguito aggiornava la domanda, tenendo conto delle ulteriori mensilità scadute sino al momento della precisazione delle conclusioni, chiedendo la condanna del COMUNE al pagamento di L. 283.500.000 (Euro 141.415,53) oltre accessori.
Resisteva il COMUNE, il quale chiedeva il rigetto della domanda e, a sua volta, proponeva domanda riconvenzionale, perchè fosse accertato che il contratto di locazione si era risolto per inadempimento del locatore e, in subordine, a causa del suo recesso. Disposto il mutamento del rito, la causa era istruita con prova orale e documentale e, quindi, decisa con sentenza in data 5-11-2002 con la quale il Tribunale di Torre Annunziata, sez. distaccata di Torre del Greco, respingeva tutte le domande dell'ENTE ecclesiastico e accoglieva, invece, quella riconvenzionale subordinata del COMUNE, dichiarando che il contratto si era risolto per il recesso del conduttore; compensava le spese di lite.
1.2. La decisione, gravata da impugnazione dell'ENTE ecclesiastico, era confermata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza in data 25-6-2004, che rigettava l'impugnazione, compensando le ulteriori spese.
1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'ENTE ecclesiastico, svolgendo quattro motivi, illustrati anche da memoria.
Ha resistito il COMUNE, depositando controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione del comb. disp. delle seguenti norme: art. 1587 c.c. (conservazione della cosa locata da buon padre di famiglia), art. 1588 c.c. (deterioramento della cosa locata, segnatamente, comma 2), art. 1590 c.c. (restituzione della cosa locata), art. 1591 c.c. (danni per ritardata restituzione). Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia preso in considerazione la circostanza che la situazione di degrado, che aveva determinato il parere negativo della Commissione di vigilanza in ordine all'agibilità dell'impianto sportivo concesso in locazione, era dipesa dalla violazione dell'obbligo di diligenza a carico del conduttore (art. 1587 c.c.) e dell'obbligo di riparazione, sia straordinaria che ordinaria, gravante sulla medesima parte, allorchè il deterioramento della cosa sia stato cagionato da persone da esso ammesse sui luoghi (art. 1588 c.c.). In tale situazione la mancata esecuzione di lavori, da ritenersi a carico del COMUNE, ancorchè di natura straordinaria, non avrebbe potuto comportare la risoluzione del contratto di locazione; in ogni caso, quand'anche si ritenesse legittima la risoluzione, sino alla riconsegna del bene locato con la verifica in contraddittorio del relativo stato, resterebbe ferma l'obbligazione del conduttore di pagare il canone.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione di norme (art. 1209 c.c. offerta reale e art. 1216 c.c. intimazione di ricevere la consegna di un immobile) o, comunque, violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 per insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto legittima la semplice comunicazione di offerta "a tavolino" dell'impianto (in quanto il COMUNE si sarebbe rifiutato di consegnare l'impianto stesso "sul campo" con la verifica delle condizioni d'uso) e abbia disatteso un recente orientamento di legittimità, che per la liberazione dell'obbligo di pagamento del canone richiede l'offerta formale;
osserva, quindi, che i giudici di appello hanno ritenuto che l'offerta non formale escludesse la mora del conduttore, liberandolo dall'obbligo di pagamento del canone, sulla base di alcune decisioni di legittimità, di cui non avrebbero in realtà colto la reale portata, posto che l'obbligazione di cui all'art. 1591 c.c. va esclusa, semprechè il rifiuto del locatore non risulti giustificato;
si duole, altresì, che la relativa domanda di pagamento sia stata dichiarata nuova, ancorchè contenuta nel ricorso originario.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione delle norme di legge: artt. 1576 e 1577 c.c. in comb. disp. con gli artt. 1587 1588 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto che le opere di ripristino gravassero sul locatore, confondendo il concetto di manutenzione per i danni che sorgono nella cosa (per vetustà, fatti accidentali) con quello di manutenzione necessaria per eliminare un guasto provocato dall'uomo.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione dell'art. 1216 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto contraddittoria la posizione dell'ENTE ecclesiastico per non avere, da un lato, accettato la risoluzione del contratto e per avere, dall'altro, preteso il danno per la mancata consegna o la formale offerta. Osserva che, in via principale, si sosteneva (e si sostiene, almeno sino al rilascio effettuato nel 2002) che il contratto non poteva essere sciolto; mentre in subordine si chiedeva - qualora fosse stata accertata la risoluzione - la corretta riconsegna dell'immobile nello stesso stato in cui era stato consegnato ovvero l'offerta formale del bene ex art. 1216 c.c..
2. I motivi di ricorso, per buona parte ripetitivi e, comunque, logicamente interconnessi, possono nella sostanza ricondursi ad un duplice ordine di censure, segnatamente deducendo l'ENTE religioso:
a) innanzitutto l'insussistenza dei presupposti per la risoluzione della locazione, per essere le opere di ripristino necessarie per l'agibilità dell'impianto (il cui diniego aveva dato luogo al recesso del COMUNE) di competenza del medesimo conduttore; in tale prospettiva la risoluzione del contratto sarebbe intervenuta (evidentemente per mutuo consenso) solo al momento dell'effettivo rilascio avvenuto nelle more dell'appello nell'anno 2002, con conseguente obbligo di pagamento del canone sino alla stessa data;
b) in subordine - per l'ipotesi di ritenuta validità del recesso - la sussistenza della mora debendi del conduttore, vuoi in considerazione dell'informante e inidoneità dell'offerta "a tavolino" a liberare il conduttore dall'obbligazione di pagamento del canone, vuoi per la legittimità del rifiuto di parte locatrice di ricevere il bene locato, per il mancato ripristino da parte del conduttore del bene locato nel medesimo stato in cui l'aveva ricevuto. Anche in tale seconda e subordinata ipotesi sarebbe, dunque, dovuto il pagamento del canone sino alla data sopra indicata ovvero il pagamento di un importo corrispondente ex art. 1591 c.c..
Va osservato sin da ora che - se si esclude la doglianza sulla "consegna a tavolino", peraltro categoricamente smentita dai giudici di appello, secondo cui "non risulta in alcun modo che il Comune intendesse operare una consegna a tavolino" (cfr. pag. 10 sentenza) - entrambe le esposte censure propongono una questione, quella della responsabilità del conduttore per il degrado dell'immobile locato, oggetto di altro giudizio inter partes, che (come evidenziato nella decisione impugnata, laddove ha rilevato l'inconferenza delle istanze istruttorie intese ad accertare la cattiva manutenzione del bene locato da parte del COMUNE) esula dal thema decidendum, quale risulta fissato negli atti introduttivi del presente giudizio. Sotto questo profilo appare chiaro che, ai fini della presente decisione, non ha alcuna rilevanza l'esito positivo per l'ENTE religioso dell'altro giudizio di risarcimento del danno, di cui si fa cenno nella memoria difensiva.
2.1. Più nel dettaglio occorre osservare che la censura, nei termini formulati sub lett. a) introduce una questione del tutto nuova, basata su elementi di fatto diversi da quelli dedotti nella pregressa fase di merito per sostenere la principale domanda intesa all'affermazione della prosecuzione del rapporto di locazione.
Invero - come risulta dalla decisione impugnata - nel giudizio di merito il recesso del conduttore è stato contestato dall'odierno ricorrente, da un lato, accampando in termini generici una diversa portata del regolamento contrattuale (argomento, questo, stigmatizzato dalla Corte di appello, per la sua cripticità e, comunque, smentito per il rilievo che l'art. 1 del contratto espressamente prevedeva lo svolgimento di competizioni ufficiali, richiedendo perciò l'agibilità dell'immobile, mentre l'art. 13 riconosceva, in difetto dell'agibilità, il diritto di recesso del conduttore) e, dall'altro, deducendo l'esistenza di una transazione, che poneva i lavori necessari per il conseguimento dell'agibilità in parte a carico del conduttore e in parte a carico del locatore (argomento, questo, respinto dalla Corte di appello per il difetto di prova scritta, necessaria ad substantiam per gli atti degli enti pubblici).
Orbene, nel presente giudizio di cassazione, il ricorrente, senza porre specificamente in discussione le suesposte ragioni delle decisione, pone una questione - quella dell'addebitabilità al conduttore degli oneri di ripristino necessari per il conseguimento dell'agibilità dell'immobile - che prima ancora che risultare nuova, si presenta addirittura in contraddizione con la tesi, svolta in sede di merito, circa l'esistenza di una transazione, che, ponendo nel nulla il recesso del conduttore, avrebbe distribuito gli stessi oneri tra le due parti.
Si rammenta che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano formato oggetto del giudizio di merito, restando escluso, pertanto, che in sede di legittimità possano essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di contestazione involgenti accertamenti di fatto non compiuti, perchè non richiesti, in sede di merito, nè rilevabili d'ufficio (Cass. 5 maggio 2000, n. 5671; Cass. 31 marzo 2000, n. 3928; Cass. 6 giugno 2000, nn. 7583 e 7579). Inoltre, ove una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere (qui non assolto) non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 12 settembre 2000, n. 12025, nonchè da ultimo, Cass. 9 aprile 2001, n. 5255, specie in motivazione).
Il primo ordine di censure va, dunque, dichiarato inammissibile.
2.2. L'altro ordine di censure sub b) si fonda in buona parte sul travisamento della ratio decidendi della sentenza impugnata e ciò precisamente non solo nel punto in cui si deduce l'illegittimità della "consegna a tavolino" (posto che, come già sopra evidenziato, la Corte di appello, lungi dal considerare legittima una pretesa di tal fatta, ha ritenuto indimostrata l'allegazione dell'odierna parte ricorrente), ma anche nel punto in cui ci si duole della ritenuta inammissibilità della domanda di pagamento dell'indennità di occupazione ex art. 1591 c.c. (statuizione, questa, che non si rinviene nella decisione impugnata, la quale ha, piuttosto, evidenziato la tardività e strumentalità dell'assunto del locatore, inteso a fondare il rifiuto della riconsegna del bene locato sulla mancata esecuzione delle opere di ripristino) e ancora relativamente all'addebitabilità dei lavori di ripristino, che sarebbero stati erroneamente ritenuti di pertinenza del locatore solo perchè di straordinaria manutenzione (statuizione che, ancora una volta, non è dato ravvisare nella decisione impugnata, la quale, anzi, ha espressamente escluso la pertinenza al dibattito processuale della questione relativa alla responsabilità del degrado dell'immobile).
Invero la Corte di appello - precisato che le opere di cui si discuteva non erano sicuramente dipendenti da trasformazioni ed innovazioni da parte del conduttore (artt. 1592 e 1593 c.c.) che alterano la consistenza e la struttura della cosa e implicano l'esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, legittimando il rifiuto del rilascio (cfr. Cass., n. 6798/93; Cass., n. 6856/98) - ha affermato il dovere del locatore di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio che subisce, facendo espressamente salvo l'eventuale risarcimento per i danni dalla stessa parte subiti per fatto del conduttore, in considerazione dell'estraneità al tema del decidere della questione della responsabilità e, quindi, della natura e delle cause dei danni.
2.2.1. Merita soprattutto puntualizzare che l'argomento da ultimo riportato risulta svolto ad abundantiam ("a voler seguire l'appellante nella sua impostazione"), laddove il nucleo centrale della decisione si rinviene nel convincimento, espresso immediatamente prima, che "l'offerta non formale del Comune sia stata rifiutata perchè l'ente ecclesiastico riteneva (a torto) ancora in vigore il contratto e quindi pretestuosa e illegittima sia la dichiarazione di recesso che la successiva offerta di rilascio e solo in corso di causa abbia cercato di aggiustare il tiro, facendo riferimento alle condizioni in cui si trovava l'impianto ed al suo preteso diritto di rifiutare la consegna, in mancanza del ripristino o della constatazione dello stato dei luoghi in contraddittorio" (cfr. pag. 11 della sentenza).
E' quindi qui applicabile il principio, secondo cui è inammissibile in sede di legittimità il motivo di ricorso che censuri un'argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e, pertanto, non costituente una ratio decidendi della medesima.
Infatti, un'affermazione siffatta contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. civ., Sez. 3, 05/06/2007, n. 13068; cfr. anche Cass. civ., Sez. 5, 22/04/2009, n. 9493).
2.2.2. E' il caso di aggiungere - quanto all'altra censura svolta con riguardo all'argomento centrale della decisione - che, contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente, i giudici di appello non hanno ravvisato una contraddittorietà tra la domanda principale (di pagamento del canone) e quella subordinata (di pagamento dell'indennità di occupazione ex art. 1591 c.c.), ma hanno, piuttosto, evidenziato che era la stessa pretesa alla continuazione del rapporto a qualificare in termini inequivoci le ragioni del rifiuto di consegna. In altri termini proprio perchè il locatore riteneva (a torto) che il rapporto doveva continuare, doveva necessariamente escludersi che il rifiuto della consegna fosse stato giustificato dalla violazione dell'obbligo di ripristino dell'originario stato dell'immobile o dalla mancata constatazione in contraddittorio, secondo il nuovo e strumentale assunto difensivo;
inoltre, considerata l'infondatezza della pretesa alla perdurante vigenza del rapporto, doveva ritenersi illegittimo il rifiuto della riconsegna che ne era derivato.
2.3. Quanto all'altro profilo della censura, con il quale il ricorrente critica la mancata adesione da parte dei giudici di appello all'indirizzo espresso in alcune sentenze di legittimità, secondo cui il conduttore, per sottrarsi al pagamento del corrispettivo, e non versare quindi in mora debendi, deve effettuare la riconsegna dell'immobile al locatore o fargliene offerta formale ai sensi dell'art. 1216 c.c. col risultato di costituire in mora accipiendi l'altra parte e di liberarsi dalla sua obbligazione (cfr.
Cass. n. 2086/2002, Cass. n. 1941/2003), occorre osservare che si tratta di una doglianza generica, che non infirma le argomentate ragioni della decisione nel punto in cui enuncia le ragioni della diversa opzione interpretativa, conforme all'indirizzo definito "tradizionale" nella sentenza impugnata (Cass. 26-4-2002 n. 6090;
Cass. 17-3- 1999, n. 2419) e, comunque, anche recentemente confermato da questa stessa sezione (sentenza 3-9-2007, n. 18496).
Il Collegio ritiene in ragione della struttura lessicale dell'art. 1591 c.c. di doversi uniformare a quest'ultimo indirizzo per il quale il conduttore può evitare di essere costituito in mora anche a mezzo di un'offerta non formale al locatore che, se illegittimamente rifiutata da quest'ultimo, esclude la mora del conduttore nell'adempimento dell'obbligo di restituzione (cosicchè per tale aspetto essa è parificatile all'offerta formale), e conseguentemente, esclude per il conduttore l'obbligo di pagare al locatore il corrispettivo convenuto previsto dall'art. 1591 c.c. riferendosi detta norma espressamente al "conduttore in mora" (Cass. n. 6090/2002, nonchè Cass. n. 2419/1999). Invero - cessato il contratto di locazione -non è configurabile l'obbligo di pagamento del canone secondo le scadenze pattuite e la protrazione della detenzione costituisce inadempimento dell'obbligo di restituzione della cosa locata: in tali casi il canone convenuto, che a norma dell'art. 1591 c.c. il conduttore in mora è tenuto a corrispondere sino alla riconsegna (cd. indennità di occupazione) costituisce solo il parametro di riferimento per la quantificazione del danno minimo da risarcire al locatore, versando il relativo importo (salvo, quindi, il risarcimento del danno maggiore che spetta al locatore provare). E poichè l'offerta informale esclude la mora ai sensi dell'art. 1220 c.c. l'adozione da parte del conduttore di altre modalità di offerta di riconsegna dell'immobile locato (diverse, cioè, dall'offerta ex art. 1216 c.c.), purchè serie, concrete e tempestive (aventi, quindi, valore di offerta reale non formale, ex art. 1220 c.c.), semprechè non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, è idonea ad evitare la mora del conduttore circa l'esecuzione della sua prestazione e a produrre ogni altro effetto connesso alla dichiarazione di volontà da lui espressa sostanzialmente (Cass. n. 2419/1999). Ed è ciò che - per le ragioni sopra dette (cfr. 2.2. e 2.2.2.) - si ritenuto avvenuto nel caso di specie.
In definitiva nessuna delle argomentazioni svolte a sostegno anche del secondo ordine di censure, come individuato sub b) merita accoglimento.
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie e alla non uniformità di giurisprudenza sulla questione da ultimo trattata, stimasi equo compensare interamente le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010


Per la tesi contraria


Cassazione Civile  Sez. III del 18 aprile 2000 n. 5032
L'ordinanza con la quale il giudice richiede il regolamento di competenza d'ufficio, ex art. 47, penultimo comma, c.p.c., non rientra nell'elenco degli atti tassativamente indicati nell'art. 292 c.p.c., con la conseguenza che non sussiste la necessità di notificazione o comunicazione della stessa al contumace.

Il danneggiamento di un immobile a causa dell'incendio di un'autovettura parcheggiata in prossimità dello stesso, fatta eccezione per l'ipotesi in cui venga individuato un particolare e specifico nesso eziologico tra un determinato avvenimento della circolazione stradale e l'incendio, non può considerarsi un evento prodotto da detta circolazione.

Poiché il criterio di ripartizione della competenza tra giudice di pace, pretore e tribunale (e, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lg. n. 51 del 1998, istitutivo del giudice unico di primo grado, tra quest'ultimo e giudice di pace), in ordine alle controversie attinenti al risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti non è dato esclusivamente dal valore, ma è quello, promiscuo, della materia in relazione al valore, è ammissibile il regolamento di competenza di ufficio ex art. 45 c.p.c., ove sia in contestazione la riconducibilità della controversia alla detta materia della circolazione, mentre è inammissibile se attinente al solo valore della causa, non essendo configurabile, in tale seconda ipotesi, un conflitto negativo virtuale tra detti giudici.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. Angelo             GIULIANO            - Presidente -
Dott. Vittorio           DUVA                - Consigliere -
Dott. Renato             PERCONTE LICATESE   - Consigliere -
Dott. Luigi Francesco    DI NANNI            - Consigliere -
Dott. Albero             TALEVI              - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul REGOLAMENTO DI COMPETENZA richiesto d'ufficio dal pretore  di  SALERNO,  con  ordinanza  del  15-01-99,nella  causa iscritta al n  890-96 vertente

tra

BOTTIGLIERO CARMELA;
D'AMORE ANULLO, ASSITATALIA  SPA;  udita  la  relazione  della  causa svolta nella camera di consiglio il 22-12-99  dal  Consigliere  Dott. Alberto  TALEVI;  lette  le   conclusioni   scritte   dal   Sostituto Procuratore Generale Dott. Ennio  Attilio  SEPE  che  ha  chiesto  si dichiari l'inammissibilità del regolamento  di  competenza,  con  le conseguenze di legge.

Svolgimento del processo

Con sentenza 23.1,96, il Giudice di Pace di Salerno, rilevato che l'attrice Bottigliero Carmela aveva convenuto in giudizio D'Amore Aniello e L'Assitalia per ottenere il risarcimento dei danni (L. 11.020.399) subiti da un immobile di sua proprietà danneggiato dall'incendio di un'autovettura parcheggiata in prossimità; ritenuto che il danno non era riconducibile alla circolazione stradale; dichiarava la propria incompetenza per materia e per valore rimettendo le parti dinanzi al Pretore Circondariale di Salerno competente per materia e per valore.
Con ordinanza pronunciata in udienza, il 15.1.1999, il Pretore di Salerno, rilevato tra l'altro che il Giudice di Pace di Salerno, con la predetta sentenza n. 11-96 aveva dichiarato la propria incompetenza per materia oltre che per valore, rimettendo, le parti innanzi ad esso Pretore di Salerno, competente, a suo dire, per materia oltre che per valore; che la causa tuttavia non rientrava nell'ambito della competenza per materia di esso Giudicante atteso che la fattispecie, così come delineata nell'atto introduttivo dei giudizio, certamente non era ssussumibile sotto alcuna delle previsioni di cui all'art. 8 II comma c.p.c. novellato, visti gli artt. 45, 47 IV comma e 48, I comma, disponeva la rimessione del fascicolo a questa Corte di Cassazione per l'indicazione del Giudice competente.
Le parti non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Occorre anzitutto rilevare che l'ordinanza del Pretore risulta pronunciata in udienza e non comunicata- ma le parti costituite erano comparse all'udienza, con la conseguenza che con riferimento alle medesime non vi era la necessità di detta comunicazione; e D'Amore Aniello doveva ritenersi contumace il che comportava la medesima conseguenza.
Va infatti affermato il seguente principio di diritto: l'ordinanza con la quale il giudice richiede il regolamento di competenza d'ufficio, ex art. 47, penultimo comma, c.p.c. non rientra nell'elenco degli atti tassativamente indicati nell'art.292 c.p.c. e non sussiste pertanto la necessità di notificazione o comunicazione della medesima al contumace.
La distinzione della competenza tra Giudice di Pace, Pretore e Tribunale ed ora, dopo l'istituzione del Giudice Unico, tra questo ed il Giudice di Pace (medio tempore, in forza della legge 16.6.1998 n. 188, è divenuto efficace il decreto legislativo 19.2.1998 n. 51 sull'istituzione dei giudice unico di primo grado, con la conseguenza che l'individuazione del Giudice competente oggi si pone solo tra Giudice di Pace e Tribunale) è una competenza determinata in parte in base al promiscuo criterio della materia e dei valore ed in parte in base all'esclusivo criterio della materia.
Nel caso di competenza determinata in modo promiscuo, è palese che, una volta assodato quali siano i giudici potenzialmente competenti in base alla materia, allorché si tratta di determinare tra questi ultimi quale sia quello effettivamente competente, l'unico criterio applicabile è quello del valore, in altri termini detta competenza promiscua comporta che il giudice competente vada individuato utilizzando entrambi detti criteri con due valutazioni successive: per prima va affrontata una questione di competenza per materia (ad es., nella specie occorre anzitutto stabilire se la materia in questione è quella dei risarcimento dei danno prodotto da circolazione stradale ovvero, più genericamente, è quella relativa a beni mobili) e successivamente, una volta stabilito quali sono in giudici potenzialmente competenti in base alla materia (ad es., nella specie il Giudice di Pace ed il Tribunale sia nella prima che nella seconda ipotesi) per stabilire chi tra questi sia competente anche per va(ore, e quindi competente in senso assoluto, occorre ovviamente affrontare una questione che attiene esclusivamente alla competenza per valore.
Nella specie occorre rilevare che l'oggetto della causa certamente non può rientrare tra quelli dì cui al terzo comma dell' art. 7 e dì cui al secondo comma dell'art. 9 (concernenti l'individuazione della competenza rispettivamente del Giudice di Pace e del Tribunale in base al puro criterio della materia).
L'unico questione che può porsi è se la causa in questione sia "di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti" o sia più genericamente, una causa "relativa a beni mobili".
Sia nell'un caso che nell'altro (e cioè sia nel primo ambìto di competenza per materia che nel secondo) l'individuazione dei giudice competente costituisce poi, come si è già detto, una questione concernente esclusivamente la competenza per valore.
Ciò però non basta per rendere inammissibile il regolamento di competenza.
Infatti il Giudice di Pace ha affermato la propria incompetenza anche per materia ed il Pretore nega la propria competenza per materia, in altri termini deve ritenersi oggetto di contestazione anche la prima delle due valutazioni suddette (accertamento dei giudici competenti per materia), Quindi, contrariamente a quanto assume il P.M. è il regolamento di competenza è nella specie ammissibile. Opposta avrebbe dovuto essere la decisione se fosse stata pacifica la questione della sussistenza del suddetto primo ambito di competenza per materia (risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti) o del secondo (beni mobili) ed i due Giudici fossero stati in disaccordo solo sulla valutazione (residua) della competenza per valore (cfr. Cass. 5391 del 16-06-1997:" Poiché il criterio di ripartizione della competenza tra giudice di pace, pretore e tribunale per il risarcimento dei danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti non è la materia, bensì il valore (fino a trenta milioni al giudice di pace; fino a cinquanta milioni al pretore; oltre tale valore al tribunale: artt. 7, secondo comma e 8 e 9, primo comma, cod. proc. civ.), non è configurabile un conflitto negativo virtuale tra detti giudici, ed è conseguentemente inammissibile il regolamento di competenza d'ufficio".
Si deve dunque passare a valutare la fondatezza dell'assunto del Pretore.
Va affermato a tal proposito il seguente principio giuridico: il danneggiamento di un immobile a causa dell'incendio di un'auto parcheggiata in prossimità, fatta eccezione per l'ipotesi che venga individuato un particolare e specifico nesso eziologico tra un determinato avvenimento della circolazione stradale ed incendio nesso non risultante nel caso di specie!, non può considerarsi un evento prodotto da detta circolazione stradale (cfr. per un caso dì danno derivante da accertata azione dolosa: Cass. n, 4575 del 6-5-1998. Non può considerarsi evento relativo alla circolazione stradale dell'incendio propagatosi da un veicolo in sosta, ed appiccato dall'azione dolosa di terzi Ne consegue che, in un simile caso, il terzo danneggiato non ha azione diretta nei confronti del l'assicuratore dei veicolo dal quale, si è propagato l'incendio").
Deve pertanto concludersi che si è di fronte ad una delle "cause relative a beni mobili" previste dal primo comma dell'art. 7 cit., quindi, considerato che in forza della legge 16.6.1998 n, 188, è divenuto efficace il decreto legislativo 19.2.1998 n. 51 sull'istituzione del giudice unico di primo grado, e data entità della domanda (di importo superiore a L 11 milioni) va dichiarata, ex art. 9 cit., la competenza dei Tribunale di Salerno, Non si deve provvedere sulle spese in quanto le parti non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Salerno; nulla per le spese del presente procedimento.

Così deciso a Roma il 22.12.1999.
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