informazioni sbagliate dell'ente di previdenza e risarcimento

Il diritto al risarcimento del danno dell'assicurato - libero professionista - causato da informazioni sbagliate in ordine alla situazione contributiva da parte dell'ente di previdenza di categoria
 
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La Suprema Corte, con una recente pronuncia, ha affermato due importanti principi, il primo con specifico riferimento al sistema di previdenza gestito da Inarcassa ed il secondo con una portata applicativa più vasta riguardando i rapporti tra ogni ente gestore dei sistemi di previdenza dei liberi professionisti e gli assicurati.
 
Cass. n. 1659/14 ha, innanzitutto, ribadito un principio già in passato affermato e, cioè, che, nell'ambito del sistema di previdenza gestito da Inarcassa soltanto l'effettivo esercizio di un'ulteriore attività che determini l'iscrizione ad un ulteriore ente previdenziale si configura la causa ostativa alla contemporanea iscrizione all'ente di previdenza per ingegneri e architatti.
 
Ma il principio più significativo e di più larga portata ampiamente esposto dalla Suprema Corte è quello relativo alal responsabilità contrattuale gravante sull'ente di previdenza per avere fornito erronee informazioni sulla situazione contributiva ai propri assicurati. La Suprema Corte ha, infatti, ritenuto che, ai sensi dell'art. 1175 c.c. l'ente sia tenuto ad effettuare verifiche costanti in merito alla situazione contributiva dei propri assicurati non potendo fornire informazioni non accurate a questi ultimi potendo, in difetto, essere successivamente chiamata a rispondere dei danni che l'affidamento nella correttezza delle informazioni dell'ente abbia causato al professionista destinatario di tali informazioni.
 
E', infatti, ben possibile che, sulla base delle informazioni fornite dall'ente, il professionista abbia effettuato scelte lavorative erronee che abbiano pregiudicato la possibilità di accedere alla pensione e, in tali ipotesi, l'ente dovrà rispondere del danno conseguente.
 
Non rileva, in senso contrario, a parere della S.C. l'invocato principio dell'autoresponsabilità, in quanto il professionista non è tenuto, sulla base di tale principio, a controllare la correttezza delle informazioni di un ente preposto proprio alla gestione ed alla verifica dei rapporti contributivi con gli iscritti.
 
Va ricordato che tale principio era già stato espresso dalla S.C. con la sentenza n. 3195/2012.

Cassazione civile, sez. lav., 27/01/2014,  n. 1659


Nell'ipotesi in cui un ente previdenziale, avente personalità giuridica di diritto privato, comunichi ad un proprio assicurato un'informazione erronea in ordine all'avvenuta maturazione del requisito contributivo, l'affidamento dell'assicurato è meritevole di tutela (fattispecie relativa al giudizio promosso dalla vedova di un iscritto alla Cassa di previdenza degli ingegneri e degli architetti liberi professionisti per vedersi riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità. La Cassa di previdenza, infatti, dopo aver regolarmente erogato la pensione al proprio iscritto per cinque anni, a seguito dell'istruttoria relativa alla pensione di reversibilità, ha annullato l'iscrizione del defunto in relazione ad un limitato periodo di tempo, essendo emerso che quest'ultimo - in quell'arco temporale - era stato iscritto ad altre forme di previdenza).




1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata l'11 febbraio 2008) - in parziale accoglimento dell'appello principale di C. S., respinto l'appello incidentale di INARCASSA - Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti - condanna INARCASSA a risarcire il danno cagionato a C.S., liquidato in misura pari alla pensione di reversibilità che le sarebbe spettata, oltre agli interessi.
La Corte d'appello di Torino, per quel che qui interessa, precisa che:
a) è errata la pretesa di INARCASSA di invalidare l'iscrizione alla Cassa del defunto ing. P. per il periodo 1 dicembre 1979-30 novembre 1980 perchè, essendo l'attività lavorativa pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all'INPDAI ma senza svolgimento di attività lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell'ambito di applicazione della L. n. 1046 del 1971, art. 2;
b) infatti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, tale ultima disposizione nell'escludere dall'iscrizione alla Cassa i professionisti iscritti ad altre forme di previdenza non opera per il semplice fatto della esistenza di una ulteriore iscrizione, ma presuppone che a tale ulteriore iscrizione corrisponda l'effettivo svolgimento della corrispondente attività lavorativa;
c) è da respingere la censura della C. con la quale si contesta la determinazione nel 14 novembre 1999 della data di cancellazione dell'iscrizione alla Cassa effettuata da quest'ultima sulla base della dichiarazione resa dall'assicurato ai fini della chiusura della partita IVA e si sostiene che si sarebbe dovuto fare riferimento alla data di cancellazione del P. dall'Albo professionale, che è stata disposta dal Consiglio dell'Ordine con provvedimento del 12 gennaio 2000;
d) benchè il possesso della partita IVA non sia previsto dalla legge come requisito per l'iscrizione alla Cassa, tuttavia lo statuto di INARCASSA fa riferimento a tale requisito per l'accertamento della carattere di continuità dell'esercizio dell'attività professionale e comunque l'ing. P. ha dichiarato di aver cessato l'attività il 14 novembre 1999, come risulta pacificamente da numerosi documenti in atti;
e) poichè l'attività professionale è cessata il 14 novembre 1999, la Cassa avrebbe dovuto rilevare, in base alla documentazione in suo possesso, che l'iscrizione doveva decorrere dal 1 dicembre 1979 e non dal 1 novembre 1979 e che, quindi, non si era perfezionato il requisito contributivo (di venti anni di versamenti) per la liquidazione della pensione di anzianità;
f) la Cassa, invece, procedette alla liquidazione della pensione e la pagò per cinque anni fino al decesso del P.;
g) a proposito del criterio di computo dell'iscrizione, non ha pregio la tesi della C. secondo cui il suddetto requisito dovrebbe calcolarsi per anni solari e non a giorni, in quanto dalla L. n. 6 del 1981, art. 2, comma 1, si desume con chiarezza che il requisito di durata dell'iscrizione prescinde dall'anno solare e si calcola dal giorno dell'iscrizione stessa;
h) ne consegue che, sia pure per soli 16 giorni, non sussisteva il requisito della iscrizione ventennale sicchè il P. non aveva diritto alla pensione liquidatagli e, di conseguenza, non è sorto il diritto della vedova alla pensione di reversibilità;
i) diversamente da quanto affermato dal primo giudice, è da accogliere la censura della C. volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati da INARCASSA per avere ingenerato un incolpevole affidamento con la lettera del 23 ottobre 1989 nella quale attestava la decorrenza dell'anzianità dell'iscrizione dal 1 novembre 1979;
l) è indubbio che il P. chiese l'iscrizione a INARCASSA dal 1 novembre 1979, benchè nel mese di novembre 1979 egli svolgesse ancora attività lavorativa subordinata, sicchè l'errore della Cassa fu originato dalla condotta dell'assicurato;
m) però all'errore di origine si è sovrapposto - con rilievo causale esclusivo - l'errore della Cassa in sede di controllo della regolarità dell'iscrizione, sulla base della documentazione richiesta all'assicurato e da questi sollecitamente inviata;
n) la Cassa, invece, non solo non ha rilevato che, per tabulas, risultava che era sbagliato far decorrere l'iscrizione dal 1 novembre 1979 perchè la data esatta di decorrenza era il 1 dicembre 1979, ma ha indotto il P. in errore comunicandogli con la suindicata lettera del 23 ottobre 1989 che egli era reiscritto "con anzianità di iscrizione e contribuzione utile ai fini della maturazione del diritto a pensione";
o) inoltre, nel maggio 1999, quando il P. inoltrò la domanda di pensione la Cassa rinnovò la induzione in errore indicando nel 31 ottobre 1999 la data di maturazione del diritto a pensione;
p) è ovvio che se almeno in prossimità del pensionamento la Cassa avesse comunicato all'assicurato l'errore egli non avrebbe avuto certamente difficoltà a procrastinare del mese mancante la cessazione dell'attività lavorativa;
q) nè va omesso di considerare che la rilevazione dell'errore è stata talmente tardiva da avvenire quando l'assicurato era già deceduto e quindi non era in condizione di porvi eventualmente rimedio;
r) nella descritta situazione la condotta colposa della Cassa è da considerare la causa esclusiva del danno subito dalla C., che è costituito dal mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità e che va quindi liquidato in misura pari alla pensione perduta, con gli interessi.
2 - Il ricorso di INARCASSA domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, C.S., che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per due motivi.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti perchè proposti avverso la stessa sentenza.
I - Sintesi dei motivi del ricorso principale.
1.- Il ricorso principale è articolato in tre motivi, formulati in conformità con le prescrizioni di cui all'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti disposizioni: a) L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 5, come integrato dall'art. 7, comma 5, dello statuto di INARCASSA; b) art. 2118 c.c.; c) combinato disposto della L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 2, comma 1, art. 25, comma 7, e art. 7.
Si contesta l'interpretazione offerta dalla Corte d'appello alla L. n. 1046 del 1971, art. 2, (richiamato dalla L. n. 6 del 1981, art. 21, comma 5) secondo cui nel periodo compreso tra il 1 dicembre 1979 e il 30 novembre 1980 non sussisteva divieto di iscrizione alla INARCASSA in quanto la suindicata disposizione deve intendersi nel senso di vietare la doppia iscrizione solo se si accompagna ad una doppia attività lavorativa. Poichè, nella specie, l'indennità di preavviso era stata erogata proprio perchè il preavviso non era stato lavorato, quindi non era applicabile il suddetto divieto.
Si sostiene che l'unica condizione richiesta dall'art. 21, comma 5, cit. per l'applicazione del divieto di iscrizione alla Cassa è la presenza dell'iscrizione e della contribuzione "in dipendenza" di un rapporto di lavoro subordinato ovvero di altra attività professionale.
La norma non chiede altro neppure in merito alla natura delle somme già sottoposte a contribuzione da altra gestione previdenziale, comunque anche se si volesse, per assurdo, ipotizzare che sia richiesta la natura retributiva di tali somme, le conclusioni nella specie non cambierebbero perchè all'indennità di mancato preavviso deve riconoscersi natura retributiva in senso sostanziale.
La rado di questo regime è molto chiara ed è quella di evitare la duplicazione della tutela previdenziale.
1.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti disposizioni: a) L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21; b) art. 2043 c. c.; c) art. 1227 c.c..
In subordine rispetto al primo motivo, con il presente motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato la Cassa al risarcimento del danno in favore di C.S..
In primo luogo si sostiene che la relativa domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile perchè, diversamente da quel che accade per il sistema INPS e INAIL, nell'ordinamento previdenziale dei liberi professionisti non vi è alcuna norma che prevede che gli Enti previdenziali siano responsabili per l'affidamento degli iscritti nell'esattezza delle attestazioni provenienti dagli Enti medesimi.
Peraltro, anche la L. n. 88 del 1989, art. 54, che si riferisce al sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti comunque non fonda, di per sè, un diritto al risarcimento dei danni per lesione dell'affidamento ingenerato dalle certificazioni degli Enti previdenziali e ciò non deve stupire, in quanto deriva dalla "impossibilità di ricondurre nello schema generale dell'art. 2043 c.c., i rapporti intercorrenti fra gli enti previdenziali e gli iscritti".
Infatti, l'intera previdenza di categoria si basa sul principio della diligenza del professionista, tenuto a dichiarare autonomamente tutto quanto concerne la propria posizione previdenziale, conscio delle norme che regolano l'ordinamento della professione anche dal punto di vista previdenziale.
Ne consegue che la suddetta diligenza esclude la stessa configurabilità di un affidamento meritevole di tutela risarcitoria derivante dall'erronea indicazione della decorrenza dell'iscrizione da parte della Cassa di appartenenza.
In ogni caso, nella specie, per escludere tale responsabilità sarebbe stato sufficiente fare applicazione dell'art. 1227 c.c., che dispone che il risarcimento non è dovuto "per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza".
Infatti, la diligenza del'ing. P., per quanto si è detto, avrebbe dovuto essere valutata alla stregua della sua posizione di libero professionista iscritto ad una Cassa di previdenza di categoria, in regime di auto responsabilità per la regolarità della propria posizione contributiva.
1.3.- Con il terzo motivo si denunciano, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: a) violazione degli artt. 2043 e 1227 c.c.; b) insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
In via ulteriormente gradata rispetto alle precedenti censure, INARCASSA sostiene che la motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa all'affermazione di responsabilità della Cassa per il danno lamentato dalla C. sarebbe del tutto carente e insanabilmente contraddittoria.
Infatti, non sarebbe possibile ricostruire - nella asciutta motivazione sul punto - l'iter logico - argomentativo che ha portato la Corte torinese ad imputare alla esclusiva responsabilità della Cassa la causazione del danno, essendosi la Corte limitata ad affermare che la colpa della Cassa per omesso controllo della rispondenza al vero delle attestazioni rese dal professionista si sarebbe "sovrapposta" all'errore - pur riconosciuto come sussistente e tale da indurre la Cassa in errore - dell'assicurato di avere richiesto l'iscrizione alla Cassa con decorrenza 1 novembre 1979, benchè l'attività lavorativa subordinata svolta sia cessata solo il 30 novembre 1979.
Senza illustrare minimamente i passaggi logici seguiti la Corte torinese avrebbe del tutto illogicamente affermato l'esclusiva responsabilità della Cassa, in contraddizione col precedente rilievo secondo cui all'origine della vicenda vi è stato l'errore commesso dall'assicurato, errore che non avrebbe potuto non essere valutato in applicazione della regola codicistica sul concorso di colpa del danneggiato.
2 - Sintesi dei motivi del ricorso incidentale condizionato.
2.- Il ricorso incidentale espressamente qualificato come condizionato è articolato in due motivi, formulati in conformità con le prescrizioni di cui all'art. art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
2.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, commi 1 e 2.
Si sostiene l'erroneità della sentenza impugnata laddove ha avallato la decorrenza della cancellazione dell'iscritto dalla Cassa quale erroneamente individuata nel relativo provvedimento nel 14 novembre 1999, sulla base del riferimento alla data della perdita della partita IVA da parte dell'assicurato, anzichè rilevare che l'unica data avente valore determinante a tal fine era quella del provvedimento di cancellazione dall'albo professionale degli ingegneri (12 gennaio 2000), risultante dall'estratto contributivo prodotto in giudizio da INARCASSA. 2.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 42, art. 4, comma 7.
Si contesta la sentenza impugnata ove non ha rilevato che il provvedimento di annullamento della pensione diretta attribuita all'iscritto ing. P. era illegittimo anche sotto l'ulteriore profilo rappresentato dall'avere applicato il criterio di computo dell'anzianità di iscrizione alla Cassa (periodi contributivi) in giorni anzichè in anni solari, come prescritto nel regime antecedente l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2006, art. 4, comma 7, avendo quest'ultima norma introdotto per la prima volta introdotto il criterio di computo in giorni, come unico criterio di computo dei periodi contributivi presso tutte le forme di tutela obbligatoria.
3 - Esame delle censure.
3.- Il ricorso principale è da respingere, per le ragioni di seguito esposte.
4.- Per quel che riguarda il primo motivo va ricordato che questa Corte ha già esaminato la questione prospettata nel presente motivo nella sentenza 25 gennaio 2006, n. 1389 - cui il Collegio intende dare continuità, non essendo emerso nel presente giudizio alcun elemento che possa indurre ad un ripensamento della soluzione ivi adottata - nella quale è stato affermato il principio secondo cui l'esclusione dalla iscrizione alla Cassa ingegneri e architetti (prevista dalla L. n. 1046 del 1971, art. 2, sostitutivo della L. n. 179 del 1958, art. 3, e richiamato dalla L. n. 6 del 1981, art. 21, comma 5, come integrato dall'art. 7, comma 5, dello statuto di INARCASSA) per il professionista, in relazione al periodo in cui questi sia stato iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria,non opera per il solo fatto dell'iscrizione dell'ingegnere o architetto ad altra Cassa, essendo necessario anche, ai fini dell'esclusione, che il professionista abbia effettivamente svolto l'attività professionale tutelata dall'altra Cassa ovvero il lavoro subordinato tutelato dall'INPS o da altro ente analogo (quale, nella presente controversia l'INPDAI).
In detta decisione, in particolare è stata sottolineata l'erroneità della tesi secondo cui, sulla base del tenore letterale della suindicata L. n. 1046 del 1971, art. 2, si dovrebbe considerare sufficiente, per escludere il diritto di iscrizione alla Cassa in argomento, la semplice iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria, senza necessità, anche dello svolgimento della attività corrispondente. Per le seguenti ragioni:
1) in primo luogo perchè proprio dal tenore letterale della disposizione risulta che, per determinare la esclusione della iscrizione alla Cassa ingegneri ed architetti, in essa non si fa riferimento soltanto "alla iscrizione a forme di previdenza obbligatorie", ma si precisa che queste devono essere "in dipendenza" di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata;
2) ne consegue che - pur dovendosi riconoscere autonoma individualità ai vari sistemi previdenziali propri delle libere professioni (vedi: Corte costituzionale n. 108 del 1989 e n. 259 del 1992), derivandone la possibilità, per ciascuno di essi, di regolare diversamente le condizioni per l'accesso alla tutela - tuttavia, ciò non esclude che anche ai suddetti sistemi si applichino i principi fondamentali propri del sistema della previdenza sociale, a partire dal principio generale secondo cui la iscrizione ad una qualunque gestione previdenziale ha come presupposto indefettibile, e ragione intrinseca della tutela, lo svolgimento della attività lavorativa cui la corrispondente assicurazione è preordinata;
3) la finalità della disposizione di cui si tratta è quella di escludere ogni ipotesi di doppia iscrizione, cioè di iscrizione in contemporanea alla Cassa ingegneri ed architetti e ad altre diverse forme di assicurazione, perchè in base al suddetto principio se vige una di queste ultime viene meno il diritto e l'obbligo di iscriversi alla Cassa ingegneri ed architetti;
4) ciò, però, può avvenire solo in forza dello svolgimento dell'attività lavorativa corrispondente all'altra forma di assicurazione e quindi il riferimento alla iscrizione ad altra assicurazione obbligatoria non può che essere inteso come da applicare ad una situazione connotata dal presupposto imprescindibile dello svolgimento di quella attività per la quale vige l'obbligo di assicurazione, sicchè il richiamo fatto dalla norma alla "dipendenza" della assicurazione alla attività esercitata può apparire addirittura pleonastico;
5) d'altra parte ogni forma di previdenza obbligatoria comporta che si versi all'ente previdenziale un contributo commisurato al reddito percepito: all'INPS o all'INPDAI si paga la contribuzione commisurata in percentuale alla retribuzione ricevuta in costanza di rapporto di lavoro subordinato e alle Casse di previdenza professionali si paga un contributo commisurato in percentuale al reddito ricavato dall'esercizio della professione, pertanto ove la corrispondente attività non venga svolta non può esservi la tutela assicurativa;
6) la precisazione "in dipendenza" che appare, come detto, pleonastica, può trovare giustificazione considerando che, soprattutto nel passato, vigevano forme assicurative dei liberi professionisti che imponevano la iscrizione automatica ad una Cassa di previdenza per il solo fatto di essere iscritti all'albo, anche se la attività professionale non veniva di fatto svolta;
7) così, ad esempio, la L. 3 aprile 1958, n. 179, stabiliva: "Sono iscritti alla Cassa tutti gli ingegneri e gli architetti che possono per legge esercitare la libera professione" e questa disposizione, confermata dal già citata L. n. 1046 del 1971, art. 2, faceva praticamente ed automaticamente coincidere iscrizione all'albo ed iscrizione alla Cassa, anche se l'ingegnere o l'architetto non svolgevano di fatto la loro professione;
8) solo con la L. n. 6 del 1981, art. 21, è stata modificata la disciplina di accesso alla Cassa ingegneri ed architetti, condizionando il diritto alla tutela della Cassa non solo alla iscrizione all'albo ma anche allo svolgimento continuativo dell'attività professionale e analoga evoluzione si è registrata, nel tempo, anche per l'accesso alle altre Casse;
9) ne deriva che il riferimento alla "dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato e di altra attività esercitata", contenuto nella norma in commento, si può spiegare con l'intento di includere nella sfera di operatività della tutela approntata dalla Cassa quegli ingegneri ed architetti che - essendo iscritti anche ad altra forma di previdenza o ad albo professionale diverso - erano obbligatoriamente assoggettati anche ad altra forma previdenziale, dalla quale però non ricevevano piena tutela perchè, non svolgendo l'attività subordinata o professionale cui quella forma previdenziale era preordinata, non pagavano i contributi commisurati al reddito professionale conseguito;
10) pertanto, la preclusione della iscrizione alla Cassa Ingegneri ed Architetti non deriva dalla mera circostanza della iscrizione ad altra forma previdenziale (sia essa quella dell'INPS o dell'INPDAI ovvero quella di altra Cassa previdenziale), ma dall'effettivo svolgimento della attività di natura subordinata ovvero di altra attività professionale collegata a tale iscrizione;
11) la suddetta conclusione trova ulteriore conferma in quella cui è pervenuta questa Corte nella sentenza 1 febbraio 1996, n. 890, nella quale è stato affermato (in analogia a Cass. 12 luglio 1980, n. 4469) che anche nei confronti del professionista che sia stato obbligatoriamente iscritto anche alla Cassa artigiani presso l'INPS svolgendo la corrispondente attività di artigiano trova applicazione il divieto di iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri e architetti stabilito dalla L. 11 novembre 1971, n. 1046, art. 2, (e riproposto dalla L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 5) - divieto di cui è stata ritenuta la legittimità in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. (vedi: Corte cost., sent. n. 108 del 1989), in considerazione della sua ratio (che è quella di prevenire squilibri finanziari che conseguirebbero, in relazione al sistema contributivo, alla marginalità dell'esercizio professionale per la maggior parte degli ingegneri o architetti impegnati in altre forme di attività) - pure laddove in concreto non si prospetti un cumulo di trattamenti pensionistici, per l'insufficienza dei versamenti presso l'altro fondo previdenziale.
4.1.- La Corte d'appello di Torino, con adeguata motivazione, si è uniformata ai suddetti principi ove ha affermato l'erroneità della premessa ermeneutica sulla quale INARCASSA fonda la propria pretesa di invalidare l'iscrizione alla Cassa del defunto ing. P. per il periodo 1 dicembre 1979-30 novembre 1980, visto che, essendo l'attività lavorativa del P. pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all'INPDAI ma senza svolgimento della corrispondente attività lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell'ambito di applicazione della L. n. 1046 del 1971, art. 2, cit., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità.
Di qui il rigetto del primo motivo.
5.- Per quanto riguarda il secondo motivo va ricordato che, di recente, questa Corte, in una controversia analoga alla presente, riguardante un iscritto a INARCASSA, ha affermato il principio - che il Collegio condivide - secondo cui "nell'ipotesi in cui un ente previdenziale, avente personalità giuridica di diritto privato, comunichi ad un proprio assicurato un'informazione erronea in ordine all'avvenuta maturazione del requisito contributivo occorrente per poter fruire della pensione di vecchiaia, pur non essendo applicabile la L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 54, il quale pone a carico dell'INPS l'obbligo di comunicare agli assicurati l'entità dei contributi versati, merita nondimeno tutela, ai sensi dell'art. 1175 c.c., l'affidamento dell'assicurato, essendo altresì gli organi degli enti previdenziali privati, per l'attività di amministrazione e di gestione svolta, in possesso di dati e di conoscenze, che comportano la titolarità di poteri e di connessi doveri, anche di comunicazione, da esercitare con diligenza. Ne consegue che grava sull'ente previdenziale l'obbligo di risarcire il danno derivato dall'erronea comunicazione e dalla conseguente decisione dell'assicurato di cancellarsi dall'albo professionale" (Cass. 1 marzo 2012, n. 3195).
Nella suddetta sentenza è stato osservato che - benchè la L. n. 88 del 1989, art. 59, si riferisca espressamente soltanto all'INPS e all'INAIL, ponendo a carico di tali Enti l'obbligo di comunicare, con valore certificativo, all'assicurato "i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica" - nondimeno merita tutela anche l'affidamento di un iscritto ad un ente previdenziale, avente personalità giuridica di diritto privato, come l'INARCASSA. Infatti, gli organi di questo tipo ente sono in possesso di dati e - per l'attività di amministrazione di beni e di gestione di posizione altrui da loro svolta - di conoscenze anche giuridiche quasi sempre superiori a quelle degli assicurati. Ciò comporta altresì la titolarità di poteri di diritto privato e di connessi doveri anche di comunicazione, il cui esercizio deve essere svolto con diligenza e nel rispetto dei generali principi di correttezza e di buona fede, ai sensi degli artt. 1175 e 1176 c.c., essendo idoneo a generare affidamento nei destinatari, sempre con riferimento ai dati di fatto concernenti la posizione assicurativa dell'interessato (che sono gli unici in possesso dell'ente) e sempre che la comunicazione sbagliata sia tale da indurre l'interessato in errore scusabile.
Nelle suddette condizioni se l'ente previdenziale, avente personalità giuridica di diritto privato effettua comunicazioni erronee sulla situazione pensionistica o previdenziale dell'assicurato sull'ente grava l'obbligo di risarcire il danno derivato dall'erronea indicazione fornita (vedi, in tal senso, anche Cass. 17 maggio 2003, n. 7743).
Il applicazione - mutatis mutandis - dei principi affermati in tema di erronee comunicazioni al fornite da parte dell'INPS in materia, si deve precisare che essendo la responsabilità di cui si tratta di tipo contrattuale, l'ente risponde del danno derivatone salvo che provi che la causa dell'errore sia esterna alla propria sfera di controllo e l'inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l'applicazione della normale diligenza (vedi per tutte: Cass. 10 novembre 2008, n. 26925; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1660; Cass. 19 settembre 2013, n. 21454).
Ciò comporta che colui che agisce in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno ha l'onere di provare unicamente la fonte del suo diritto e di allegare il fatto dannoso, senza necessità di provare la colpa dell'autore del fatto dannoso, che è presunta - salva la dimostrazione, da parte dell'ente, della non imputabilità dello stesso al proprio comportamento - mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dell'impedimento rappresentato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile prova che esige la dimostrazione dello specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione (vedi, fra le altre: Cass. 19 maggio 2001, n. 6865).
Come si è detto, alla base della suddetta configurazione è da porre la tutela del legittimo affidamento di un iscritto nelle comunicazioni relative alla propria posizione assicurativa e pensionistica fornitegli dall'ente previdenziale di appartenenza che, ancorchè avente personalità giuridica di diritto privato.
In proposito, si deve precisare che è da escludere, in via generale, che l'ordinamento imponga all'assicurato l'obbligo di verificare l'esattezza dei dati forniti dal proprio ente previdenziale, sicchè persistendo, in difetto di tale adempimento, il nesso causale tra erroneità delle comunicazioni e danno indotto dalle stesse, per avervi il destinatario fatto affidamento, la possibile applicazione - in relazione alle circostanze del caso concreto - del principio di cui all'art. 1227 c.c., comma 2, - che impone l'onere di doverosa cooperazione della parte creditrice per evitare l'aggravamento del danno indotto dal comportamento inadempiente del debitore - presuppone che l'eventuale condotta attiva o positiva del creditore, funzionale a limitare le conseguenze dannose del detto comportamento, possa assumere rilievo soltanto nei limiti della "ordinaria diligenza", cioè per quelle attività non gravose, non eccezionali, non comportanti rischi notevoli e/o rilevanti sacrifici (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. 25 settembre 2009, n. 20684 del 2009;
Cass. 5 luglio 2007, n. 15231; Cass. 30 marzo 2005, n. 6735).
In tale quadro non è dunque possibile invocare il principio di autoresponsabilità dell'assicurato - professionista - cui fa riferimento la ricorrente - perchè tale principio, nei limiti in cui è applicabile nel nostro ordinamento, nasce per tutelare l'affidamento degli altri soggetti sulle dichiarazioni altrui e comporta che colui che effettua una dichiarazione si assuma la responsabilità di quanto dichiarato. E', tuttavia, pacifico che il suddetto principio non possa trovare applicazione nelle ipotesi in cui il destinatario della dichiarazione è in condizioni di accorgersi, usando l'ordinaria diligenza, della erroneità della dichiarazione stessa (oppure della non corrispondenza della dichiarazione alla reale volontà del dichiarante), come accade nella specie.
Neppure potrebbe farsi richiamo all'autocertificazione, non ricorrendone, all'evidenza, i presupposti applicativi.
Resta quindi da ribadire che anche gli enti previdenziali aventi personalità di diritto privato sono tenuti, nell'esercizio dei loro compiti istituzionali, a non frustrare la fiducia degli assicurati, tra l'altro fornendo loro informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative sulla rispettiva posizione contributiva e pensionistica.
Questo comporta pure il doveroso, sollecito controllo e riscontro dei dati afferenti la situazione contributiva e pensionistica eventualmente forniti dagli assicurati, che possono essere anche affetti da incolpevoli errori - oltre che da errori volontari, che però hanno differenti conseguenze - non essendo configurabile, come si è detto, alcun obbligo giuridico dell'assicurato in merito alla verifica dei dati suddetti, mentre sono gli enti destinatari ad essere tenuti, istituzionalmente, ad effettuare, in tempi adeguati i necessari accertamenti al riguardo, anche nel proprio interesse. 
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