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Le obbligazioni pecuniarie hanno ad oggetto una somma di danaro.
Per trattare il tema relativo alle obbligazioni pecuniarie, è necessario distinguere i concetti di valore nominale, valore reale e valore intrinseco.
Il valore reale indica il potere d'acquisto del denaro mentre il valore nominale indica solo in termini numerici, rispetto ad un'unità di misura, il valore della moneta. Il valore nominale del denaro rimane invariato nel tempo mentre il valore reale varia.
Il valore reale indica il potere d'acquisto del denaro mentre il valore nominale indica solo in termini numerici, rispetto ad un'unità di misura, il valore della moneta. Il valore nominale del denaro rimane invariato nel tempo mentre il valore reale varia.
Diverso è, invece, il concetto del valore intrinseco del danaro che riguarda casi eccezionali di monete dotate di tale valore con riferimento alla materia con la quale sono fatte (ad es la sterlina).
Il principio cardine delle obbligazioni pecuniarie è quello nominalistico di cui all'art. 1277 cc, norma che, come noto, stabilisce che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale al tempo della scadenza per il loro valore nominale.
Il principio cardine delle obbligazioni pecuniarie è quello nominalistico di cui all'art. 1277 cc, norma che, come noto, stabilisce che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale al tempo della scadenza per il loro valore nominale.
E', dunque, tendenzialmente esclusa l'incidenza della variazione del valore reale della moneta nel tempo sulla consistenza, in termini nominali, dell'obbligazione.
Ulteriore regola è quella della naturale fecondità del denaro; in tale prospettiva le obbligazioni pecuniarie producono interessi (cfr. l'art. 1282 cc).
Ulteriore principio cardine delle obbligazioni pecuniarie è quello della differenza tra i debiti di valuta e debiti di valore. I debiti di valuta hanno ad oggetto, ab origine, un importo nominale di denaro mentre i debiti di valore hanno ad oggetto obbligazioni che si determinano non già con riferimento ad un importo nominale di denaro ma in relazione al valore di uno specifico bene o di una specifica prestazione al tempo della liquidazione.
Il principio nominalisitico, come chiarito, comporta l'estinzione del debito con moneta avente corso legale e per l'importo nominale. Tale principio è, con ogni evidenza, il portato dell'epoca di redazione del codice allorchè la moneta era lo strumento principale se non esclusivo di pagamento. L'evoluzione degli strumenti di pagamento ha creato delle ovvie disarmonie tra la prassi dei traffici commerciali e il disposto di cui all'art. 1277 cc, soprattutto con riferimento all'estinzione dell'obbligazione pecuniaria in moneta avente corso legale.
La problematica del pagamento mediante assegni si inserisce nell'ambito del divario sopra delineato tra la regola codicistica e la realtà sociale.
L'orientamento tradizionale in ordine al pagamento mediante assegno, sconta un'interpretazione meramente letterale dell'art. 1277 cc sulla scorta della quale il pagamento deve avere luogo in moneta avente corso legale per esser ritenuto adempimento esatto.
Ulteriore regola è quella della naturale fecondità del denaro; in tale prospettiva le obbligazioni pecuniarie producono interessi (cfr. l'art. 1282 cc).
Ulteriore principio cardine delle obbligazioni pecuniarie è quello della differenza tra i debiti di valuta e debiti di valore. I debiti di valuta hanno ad oggetto, ab origine, un importo nominale di denaro mentre i debiti di valore hanno ad oggetto obbligazioni che si determinano non già con riferimento ad un importo nominale di denaro ma in relazione al valore di uno specifico bene o di una specifica prestazione al tempo della liquidazione.
Il principio nominalisitico, come chiarito, comporta l'estinzione del debito con moneta avente corso legale e per l'importo nominale. Tale principio è, con ogni evidenza, il portato dell'epoca di redazione del codice allorchè la moneta era lo strumento principale se non esclusivo di pagamento. L'evoluzione degli strumenti di pagamento ha creato delle ovvie disarmonie tra la prassi dei traffici commerciali e il disposto di cui all'art. 1277 cc, soprattutto con riferimento all'estinzione dell'obbligazione pecuniaria in moneta avente corso legale.
La problematica del pagamento mediante assegni si inserisce nell'ambito del divario sopra delineato tra la regola codicistica e la realtà sociale.
L'orientamento tradizionale in ordine al pagamento mediante assegno, sconta un'interpretazione meramente letterale dell'art. 1277 cc sulla scorta della quale il pagamento deve avere luogo in moneta avente corso legale per esser ritenuto adempimento esatto.
Il pagamento mediante assegno, dunque, configura una prestazione divesa e, come tale, deve essere ricondotto nell'alveo dell'art. 1197 cc; in tale prospettiva si rendeva necessario il consenso del creditore perchè l'assegno (seppure circolare) potesse avere efficacia solutoria; inoltre, con la datio in solutum, la liberazione del debitore aveva luogo solo con la riscossione della somma.
Ulteriore ragione per la quale si negava efficacia solutoria all'assegno era da ricercare nell'art. 1182 cc secondo cui le obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si estinguono presso il domicilio del creditore; il pagamento mediante assegno, infatti, comporta l'onere, per il creditore, di recarsi presso la banca del debitore per riscuotere l'assegno; ciò comportava, quindi, la violazione della norma di cui all'art. 1182 cc.
Parte della dottrina, sul rilievo della contrarietà a buona fede del rifiuto dell'assegno con riferimento al quale il creditore non abbia legittime ragioni per temere che il titolo non vada a buon fine, ha interpretato tale offerta, a seconda delle tesi, come atto idoneo ad impedire la mora debendi (offerta informale), ovvero come atto idoneo ad integrare la prima delle due fasi della mora credendi.
Per quanto attiene alla posizione della giurisprudenza, l'orientamento tradizionale è ben rappresentato dalla sentenza n. 12324/2005; la Suprema Corte, in tale occasione, ha enunciando il principio dell'obbligatorio pagamento con moneta avente corso legale e dell'inidoneità dell'assegno ad assolvere analoga funzione solutoria. A supporto della conclusione raggiunta, adduce l'argomento della violazione implicita dell'art. 1182 cc; secondo la Suprema Corte, poi, il pagamento a mezzo di assegno configurerebbe una prestazione in luogo dell'adempimento imposta al creditore in violazione dell'art. 1197 cc. Tuttavia, secondo la Suprema Corte, occorre verificare se sussista il consenso, espresso, tacito o presunto del creditore anche sulla scorta di usi negoziali che rendano contrari a buona fede eventuali atti di rifiuto. La Suprema Corte pone anche la questione se il pagamento mediante assegno sia idonea ad escludere la mora debendi; naturalmente l'iter logico seguito, nell'occasione, dalla Corte non può che risolversi nella negazione di qualsivoglia effetto al riguardo in quanto il pagamento mediante assegno non costituisce adempimento ma solo una prestazione in luogo dell'adempimento necessitante, per il suo perfezionamento, del consenso del creditore. Chiaramente la pronuncia trova il suo campo d'applicazione nell'ambito delle obbligazioni di importo contenuto entro i 12.500,00 Euro in quanto, con riferimento a queste, è la legge ad imporre il pagamento mediante assegno o attraverso internediario autorizzato.
Le Sezioni Unite con la sentenza 26617 del 2007 hanno nuovamente affrontato la questione sottolineando che la moneta legale ha assunto un ruolo marginale nell'ambito del nuovo sistema economico. I mezzi diversi di pagamento, osserva la Suprema Corte, sono particolarmente utili per lo sviluppo economico e sociale. In tale prospettiva e sulla base di tale considerazione preliminare, la Suprema Corte afferma sussistere la facoltà di estinguere l'obbligazione pecuniaria con assegno circolare che il creditore potrà rifiutare solo per giustificato motivo da valutarsi caso per caso; l'estinzione dell'obbligazione si verifica solo con l'effettivo incasso della somma. Come si può agevolmente constatare, le Sezioni Unite abbracciano un orientamento opposto alla precedente pronuncia del 2005. Secondo la Suprema Corte, il principio nominalistico, in una prospettiva costituzionalmente orientata, riguarda la determinazione della quantità della somma da offrire in pagamento e non la qualità dei mezzi di pagamento. L'espressione moneta avente corso legale, secondo le Sezioni Unite, non significa che la moneta sia, in senso materiale, l'oggetto del pagamento in quanto quest'ultimo va riferito solo al valore monetario.
Parte della dottrina, sul rilievo della contrarietà a buona fede del rifiuto dell'assegno con riferimento al quale il creditore non abbia legittime ragioni per temere che il titolo non vada a buon fine, ha interpretato tale offerta, a seconda delle tesi, come atto idoneo ad impedire la mora debendi (offerta informale), ovvero come atto idoneo ad integrare la prima delle due fasi della mora credendi.
Per quanto attiene alla posizione della giurisprudenza, l'orientamento tradizionale è ben rappresentato dalla sentenza n. 12324/2005; la Suprema Corte, in tale occasione, ha enunciando il principio dell'obbligatorio pagamento con moneta avente corso legale e dell'inidoneità dell'assegno ad assolvere analoga funzione solutoria. A supporto della conclusione raggiunta, adduce l'argomento della violazione implicita dell'art. 1182 cc; secondo la Suprema Corte, poi, il pagamento a mezzo di assegno configurerebbe una prestazione in luogo dell'adempimento imposta al creditore in violazione dell'art. 1197 cc. Tuttavia, secondo la Suprema Corte, occorre verificare se sussista il consenso, espresso, tacito o presunto del creditore anche sulla scorta di usi negoziali che rendano contrari a buona fede eventuali atti di rifiuto. La Suprema Corte pone anche la questione se il pagamento mediante assegno sia idonea ad escludere la mora debendi; naturalmente l'iter logico seguito, nell'occasione, dalla Corte non può che risolversi nella negazione di qualsivoglia effetto al riguardo in quanto il pagamento mediante assegno non costituisce adempimento ma solo una prestazione in luogo dell'adempimento necessitante, per il suo perfezionamento, del consenso del creditore. Chiaramente la pronuncia trova il suo campo d'applicazione nell'ambito delle obbligazioni di importo contenuto entro i 12.500,00 Euro in quanto, con riferimento a queste, è la legge ad imporre il pagamento mediante assegno o attraverso internediario autorizzato.
Le Sezioni Unite con la sentenza 26617 del 2007 hanno nuovamente affrontato la questione sottolineando che la moneta legale ha assunto un ruolo marginale nell'ambito del nuovo sistema economico. I mezzi diversi di pagamento, osserva la Suprema Corte, sono particolarmente utili per lo sviluppo economico e sociale. In tale prospettiva e sulla base di tale considerazione preliminare, la Suprema Corte afferma sussistere la facoltà di estinguere l'obbligazione pecuniaria con assegno circolare che il creditore potrà rifiutare solo per giustificato motivo da valutarsi caso per caso; l'estinzione dell'obbligazione si verifica solo con l'effettivo incasso della somma. Come si può agevolmente constatare, le Sezioni Unite abbracciano un orientamento opposto alla precedente pronuncia del 2005. Secondo la Suprema Corte, il principio nominalistico, in una prospettiva costituzionalmente orientata, riguarda la determinazione della quantità della somma da offrire in pagamento e non la qualità dei mezzi di pagamento. L'espressione moneta avente corso legale, secondo le Sezioni Unite, non significa che la moneta sia, in senso materiale, l'oggetto del pagamento in quanto quest'ultimo va riferito solo al valore monetario.
La Suprema Corte, così, risolve il problema dell'eventuale mancanza di consenso del debitore in quanto la consegna dell'assegno circolare configura un vero e proprio adempimento e non una datio in solutum.L'argomento dello spostamento del luogo di adempimento, sviluppato da Cass n 12324/2005, viene risolto dalle Sezioni Unite affermando il principio secondo cui il domicilio va inteso in senso ampio e, cioè, come comprensivo del luogo ove il creditore ha acceso il proprio conto corrente bancario (la sede, cioè, della filiale).
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