Rif: Guida al Diritto n 1 del 2 gennaio 2010
Con la sentenza n 19288 del 7 settembre 2009, la Suprema Corte si occupa dei rapporti di possibile frizione tra una vendita con patto di riscatto e il divieto di patto commissorio di cui all'art. 2744 cc. Nella specie, la vendita con patto di riscatto si inseriva nell'ambito di un'operazione di mutuo e si atteggiava concretamente come una forma di garanzia della restituzione delle somme mutuate. In tale prospettiva, la Suprema Corte ha osservato che, nonostante con la vendita con clausola di riscatto, si fosse effettivamente prodotto l'effetto traslativo, l'intento concretamente perseguito dalle parti era quello di realizzare una garanzia reale con riferimento all'operazione di mutuo. Ne è conseguita la conclusione che la vendita con patto di riscatto era uno strumento per eludere il divieto di patto commissorio e doveva ritenersi nulla a mente dell'art. 1344 cc.
Cassazione Civile Sez. II del 07 settembre 2009 n. 19288
La vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio) nell'ambito della quale il versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l'obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che la predetta vendita, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'art. 2744 c.c. , costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime perciò una causa illecita che rende applicabile all'intero contratto la sanzione dell'art. 1344 c.c.
La vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio) nell'ambito della quale il versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l'obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che la predetta vendita, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, vietato dall'art. 2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime perciò una causa illecita che rende applicabile l'art. 1344 c.c..
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo - Presidente -
Dott. MALZONE Ennio - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -
Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.L. e CO.Ul., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. FERRONI Ugo e Romolo Giuseppe Cipriani, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Viale delle Medaglie d'oro, n. 157;
ricorrenti
contro
FALLIMENTO SCUDO FINANZIARIA S.r.l., in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. AUDINO Andrea e Guido Orlando, elettivamente domiciliato nello studio di quest'ultimo in Roma, Via Cicerone, n. 28;
controricorrente –
e contro
CASSA DI RISPARMIO DI CENTO S.p.a., in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Giovanni Giorni, Ugo De Nunzio e Domenico D'Amato, elettivamente domiciliata nello studio di quest'ultimo in Roma, Via Cola di Rienzo, n. 111;
controricorrente –
e contro
BNA - BANCA NAZIONALE DELL'AGRICOLTURA, ora BANCA ANTONVENETA S.p.a., e BNL, ora BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.p.a.;
intimate –
avverso la sentenza della Corte drappello di Bologna depositata l'8 giugno 2004.
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 28 maggio 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
Uditi l'Avv. Giuseppe Romolo Cipriani per il ricorrente, l'Avv. Guido Orlando per il controricorrente fallimento e l'Avv. Domenico D'Amato per la controricorrente Cassa di Risparmio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con atto di citazione ritualmente notificato, C.L. e Co.Ul. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ferrara, il fallimento della Scudo Finanziaria S.r.l., in persona del curatore, la Cassa di Risparmio di Cento, la BNA - Banca Nazionale dell'Agricoltura e la BNL - Banca Nazionale del Lavoro, per sentire dichiarare la nullità, ex art. 2744 cod. civ., dell'atto pubblico di compravendita immobiliare in data (OMISSIS) tra essi attori e la società Finanziaria Scudo in veste di acquirente (sul rilievo che esso era stato stipulato per garantire un debito di L. 62.500.000 che avrebbe dovuto essere restituito nel tempi di dieci anni, con versamento di L. 100.000.000), ovvero per sentirne dichiarare la rescissione, ovvero, per ottenerne l'annullamento, in quanto viziato da dolo, artifici e raggiri.
Si costituirono in giudizio la curatela della Scudo Finanziaria, la Cassa di Risparmio di Cento e la BNA, resistendo alle domande attrici e la curatela instando, in via riconvenzionale, per la condanna degli attori al pagamento dell'indennità di occupazione dell'immobile, da liquidarsi in separato giudizio.
Il Tribunale adito, con sentenza in data 8 marzo 2001, rigettò le domande attrici e, in accoglimento della riconvenzionale, condannò gli attori al risarcimento del danno in favore del fallimento e compensò le spese del giudizio.
Il Tribunale osservò: che non esisteva una stipulazione in divieto del patto commissorio, perchè non vi era obbligo di restituzione del denaro ricevuto dal venditore; che non sussistevano i presupposti dell'azione di rescissione per lesione ultra demidium; che risultava infondata la domanda di annullamento del contratto per dolo; che la domanda riconvenzionale di condanna degli attori in forma generica trovava fondamento nella illegittima detenzione da parte degli attori e nella corrispondente impossibilità di utilizzazione da parte della richiedente, con la conseguente mancata percezione del relativo reddito.
2. - La Corte d'appello di Bologna, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l'8 giugno 2004, ha rigettato l'impugnazione proposta in via principale dal C. e dalla Co. nonchè il gravame incidentale sulla compensazione delle spese interposto dal fallimento.
2.1. - Quanto alla nullità del contratto di compravendita per la dedotta esistenza di un coevo patto di retrovendita, dissimulante un patto commissorio vietato, la Corte territoriale ha rilevato che l'infondatezza della doglianza riposa sull'inesistenza di un rapporto di debito-credito tra le parti (coniugi appellanti e società finanziaria), che il trasferimento immobiliare avrebbe dovuto garantire, a fronte di un passaggio di proprietà operante immediatamente. Di qui la correttezza della dichiarata, da parte del Tribunale, inammissibilità del ricorso alla prova per testi, fondata sul disposto dell'art. 1417 cod. civ., atteso che la richiesta prova in ordine all'asserito patto verbale di retrovendita non era diretta a far valere un illecito.
In ordine al dolo (accampato sul rilievo che il contratto sarebbe stato stipulato "sottacendo il fatto che i venditori mai più avrebbero potuto riacquistare il bene in quanto lo stesso acquirente l'avrebbe ipotecato dopo qualche giorno, ed in quanto comunque sarebbero intervenute ipoteche giudiziali"), la Corte felsinea ha osservato che il raggiro prospettato avrebbe inciso sulla volontà degli alienanti in relazione ad una circostanza rimasta estranea al contratto ed indimostrata, nulla essendo emerso in ordine all'asserita retrovendita, sia promessa che sperata.
3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello hanno interposto ricorso il C. e la Co., con atto notificato il 15 ottobre 2004, sulla base di tre motivi.
Hanno resistito, con separati atti di controricorso, la curatela del fallimento Scudo Finanziaria e la Cassa di Risparmio di Cento, mentre le altre intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell'udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo mezzo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalla parte e rilevabili d'ufficio, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 5), i ricorrenti si dolgono che la Corte d'appello abbia completamente omesso di motivare relativamente all'usura per essere stata concessa in garanzia una casa del valore di circa L. mezzo miliardo per L. 62.500.000.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2744 e 1963 c.c., ed eventualmente art. 1344 cod. civ., in relazione all'art. 1417 cod. civ., ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 3.
I ricorrenti premettono che è nullo, costituendo illecito patto commissorio, ogni contratto avente lo scopo di garantire il pagamento di un debito tramite la preventiva cessione di un bene in proprietà.
Secondo la Corte territoriale, affinchè vendita e patto di retrovendita ricadano nell'illiceità, sarebbe necessario che l'operazione sia volta a garantire un debito già esistente.
In realtà, i ricorrenti si dolgono che non sia stato dato ingresso alla prova tendente a dimostrare: (a) che il debito esisteva, anche se verso terzi (banche) e non verso l'acquirente; (b) che al momento e contestualmente alla stipulazione è stato convenuto che la finanziaria avrebbe fatto fronte a quel debito per estinguere verso gli istituti di credito le passività del venditore; (c) che non è stato accollato un prezzo, ma si sono accollati debiti.
Sostengono i ricorrenti che, ciò che conta, non sono i tempi del debito e della vendita, ma la funzione o la causa della compravendita, la quale, anzichè trasferire verso un corrispettivo un bene, era volta a garantire il pagamento che la parte acquirente sarebbe andata ad effettuare, nonchè ad evitare, con tale operazione, di costringere in futuro il creditore a ricorrere ad esecuzioni immobiliari, essendo il bene già nel di lui patrimonio.
Pertanto, sarebbe necessario considerare il negozio sottostante una violazione diretta delle disposizioni di legge che vietano il patto commissorio, o, quanto meno, costituente un procedimento indiretto in frode a tali articoli, giacchè la "preventivata" non atterrebbe alla preesistenza del debito rispetto alla compravendita-retrovendita, bensì alla accettazione del trasferimento rispetto alla mancata estinzione del pagamento.
Con il terzo mezzo si deduce violazione degli artt. 1439 e 1417 cod. civ., non essendo stato consentito di dimostrare il raggiro effettuato dalla società finanziaria con un comportamento doloso.
L'annullamento per questo motiva sarebbe conseguenza all'esito favorevole della prova ammessa ex art. 1417 cod. civ.. E la prova della usurarietà era ammissibile, trattandosi di nullità per illiceità della causa.
2. - I tre motivi in cui si articola il ricorso - i quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati unitariamente - sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio) nell'ambito della quale il versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l'obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che la predetta vendita, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'art. 2744 cod. civ., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime perciò una causa illecita che renda applicabile alL'intero contratto la sanzione dell'art. 1344 cod. civ. (Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1611; Sez. 2^, 4 marzo 1996, n. 1657; Sez. 2^, 20 luglio 2001, n. 9900; Sez. 3^, 15 marzo 2005, n. 5635; Sez. 2^, 8 febbraio 2007, n. 2725; Sez. 2^, 11 giugno 2007, n. 13621).
Facendo applicazione di questo principio, la Corte di merito ha ritenuto che la stipulata compravendita immobiliare non incorresse nel divieto di patto commissorio, avendo accertato, con congrua e logica motivazione, l'inesistenza, a base del trasferimento, di uno scopo di garanzia, stante l'assoluta mancanza di un rapporto di debito-credito tra le parti del contratto.
Contrariamente a quanto opinano i ricorrenti, la sentenza impugnata non ha affatto richiesto - affinchè vendita e patto di retrovendita ricadano nell'illiceità - che L'operazione sia volta a garantire un debito già esistente, ma si è limitata a rilevare che risultava inesistente proprio il rapporto debito-credito che, secondo l'assunto degli appellanti, il trasferimento immobiliare avrebbe dovuto garantire: e ciò, in continuità con la pronuncia di primo grado, che già aveva affermato come, non essendovi alcun obbligo di restituzione del denaro ricevuto dal venditore, non si potesse inquadrare l'intervenuta stipulazione nel divieto di patto commissorio.
I motivi, oltre a non cogliere l'intima ratio decidendi che sostiene la decisione impugnata, prospettano una censura priva di autosufficienza, perchè - là dove ci si duole, con la denuncia del vizio sia di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sia di violazione o falsa applicazione di legge, che non sia stato dato ingresso alla prova orale, tendente a dimostrare il patto di retrovendita, ovvero, ancora, l'usurarietà della stipulazione o i raggiri - si omette di riportare in ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell'impugnata sentenza.
Nel loro complesso, pertanto, i motivi di ricorso finiscono con il sollecitare questa Corte a svolgere un nuovo esame, che fuoriesce dai confini del giudizio di legittimità, delle stesse risultanze già valutate, con congruo e motivato apprezzamento, dal giudice del merito.
Nè può trovare ingresso in questa sede la censura con cui si lamenta - sotto il profilo del vizio di motivazione - che la Corte di merito abbia completamente omesso di motivare in ordina alla usura per essere stata concessa in garanzia per appena L. 62.500.000 una casa di valore molto superiore.
Invero, per costante giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, la denuncia di un error in indicando per vizi della motivazione, presuppone che il giudice abbia preso in esame la questione prospettatagli e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimità di effettuare, una verifica in ordine alla sufficienza ed alla logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata; tale censura non può pertanto riguardare l'omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell'atto di appello, la quale postula la denuncia di un error in procedendo, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 4) in riferimento al quale il giudice di legittimità può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto inteso in senso processuale (tra le tante, Cass., Sez. 3^, 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass., Sez. 1^, 27 gennaio 2006, n. 1755;
Cass., Sez. 3^, 14 febbraio 2006, n. 3190; Cass., Sez. 1^, 22 novembre 2006, n. 24856; Cass., Sez. 3^, 17 luglio 2007, n. 15882).
Nella specie i ricorrenti lamentano il mancato esame della questione di nullità derivante da usurarietà "chiesta nelle conclusioni e motivata a pag. 8 ultime righe dell'appello", ma formulano una denuncia di vizio di motivazione, anzichè di omessa pronuncia.
La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito ed impedendo il riscontro ex actis dell'assunta omissione, rende non scrutinabile la censura.
3. - Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalle parti controricorrenti, liquidate, per ciascuna, in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2009