Rif: Guida al diritto 8/10 pagg 59 ess
Qualificando l'attività del produttore di tabacco e del rivenditore come pericolosa, le Sezioni Unite della Suprema Corte giungono a ravvisare l'applicabilità a detta attività dei criteri di imputazione della responsabilità, qualificati come oggettivi, di cui all'art. 2050 cc nonostante che la pericolosità non risulti insita alle modalità di estrinsecazione della stessa ma al prodotto che ne deriva e, più precisamente, all'uso di tale prodotto. Non sfugge, tuttavia, la domanda di risarcimento danni, pur formulata ex art. 2050 cc, all'onere di fornire la prova del danno conseguenza subito, in aderenza ai recenti arresti delle sezioni Unite sul punto. Parte della dottrina ha osservato in chiave critica, rispetto a detta pronuncia:
che il danno da fumo non deriva dall'attività pericolosa ma dal prodotto;
che, in armonia con i principi comunitari in materia di danni da prodotto pericoloso, la nozione di pericolosità è relativa e dipende dalle conseguenze inattese dell'uso normale di un prodotto; ne consegue, stante la notoria dannosità del fumo che la consapevole fruizione delle sigarette da parte del consumatore sarebbe idonea a recidere il nesso di causalità con il fatto del produttore.
La Suprema Corte esprime, altresì, il principio per il quale la dicitura light sul pacchetto di sigarette indica pubblicità ingannevole e, come tale, può essere fonte di danno ingiusto ex art. 2043 cc.
Cassazione Civile Sez. III del 17 dicembre 2009 n. 26516
In materia di responsabilità civile, il consumatore che, lamentando di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole (nella specie, relativa ad una marca di sigarette con la dicitura Light ed Extra Light), agisca per il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2043 c.c., non assolve in modo adeguato all'onere della prova esistente a suo carico limitandosi a dimostrare il solo carattere ingannevole della pubblicità, ma è tenuto a provare l'esistenza del danno, il nesso di causalità, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, la quale si concreta nella prevedibilità che dalla diffusione di quel messaggio sarebbero derivate le lamentate conseguenze dannose.
La produzione e la vendita di tabacchi lavorati costituiscono attività pericolose ai sensi dell'art. 2050 c.c., poiché i tabacchi, avendo come unica destinazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé una potenziale carica di nocività per la salute umana; ne consegue che, ove il danneggiato abbia proposto una domanda risarcitoria - ai sensi dell'art. 2043 c.c. - nei confronti del produttore-venditore di tabacco, viola l'art. 112 c.p.c. ed incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che sostituisca a tale domanda quella, nuova e diversa, di cui all'art. 2050 c.c., la quale integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva. (Nella specie, l'originaria domanda risarcitoria era fondata sul carattere ingannevole delle diciture Light e Extra Light apposte sulla confezione di una marca di sigarette).
L'apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo "LIGHT" sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l'ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall'esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l'espressione impiegata.
Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l'esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le sanzionate conseguenze dannose.
La produzione e la vendita di tabacchi lavorati integrano un'attività pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c., poiché i tabacchi, avendo quale unica destinazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé, per la loro composizione bio-chimica e per la valutazione data dall'ordinamento, una potenziale carica di nocività per la salute. Tuttavia, qualora il danneggiato abbia proposto domanda risarcitoria a noma dell'art. 2043 c.c. nei confronti del produttore-venditore di tabacco, viola il principio posto all'art. 112 c.p.c. ed incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che sostituisca a questa domanda quella nuova e diversa di cui all'art. 2050 c.c., integrante un'ipotesi di responsabilità oggettiva.
La produzione e la commercializzazione di tabacchi lavorati per il fumo integrano gli estremi di un'attività pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c
Qualora l'attore, lamentando un pregiudizio derivante dal fumo di sigarette commercializzate con la dicitura "lights", di cui deduceva il carattere ingannevole, e invocando la norma generale sul fatto illecito, abbia chiesto la condanna dell'induttore al risarcimento del danno, incorre nel vizio di ultrapetizìone la sentenza che affermi la responsabilità del convenuto in base al regime previsto per l'esercizio di attività pericolose
Viola i principi informatori della materia, con riguardo alla responsabilità civile, la sentenza pronunciata secondo equità dal giudice di pace che, adito da un fumatore di sigarette "lights" per ottenere la condanna del produttore, ex art. 2043 c.c. al risarcimento del danno derivante dall'apposizione sui pacchetti di tale dicitura asseritamente ingannevole, abbia accolto la domanda senza un'adeguata motivazione sul carattere decettivo del messaggio, sul nesso di causalità tra la sua propagazione e il danno ingiusto lamentato, nonché sull'atteggiamento psicologico del convenuto. La Suprema Corte ha precisato che, ai fini di quest'ultimo elemento, è sufficiente la colposa diffusione di un messaggio prevedibilmente idoneo ad insinuare nel consumatore il falso convincimento in ordine alle caratteristiche e agli effetti del prodotto).
Qualora il fumatore di sigarette "lights" agisca contro il produttore per il risarcimento del danno da pubblicità ingannevole, derivante dall'erroneo convincimento di ridurre il rischio di danno fumando tali sigarette, non è prospettabile la questione della volontaria assunzione del rischio da parte del danneggiato.
Va cassata "in parte qua" la sentenza pronunciata secondo equità dal giudice di pace che, affermata la responsabilità del produttore di sigarette commercializzate con la dicitura "lights" in virtù del carattere decettivo di tale dicitura, abbia riconosciuto la sussistenza di un generico danno da peggioramento della salute ed alla vita di relazione, ritenuto "in re ipsaa, nonché di un altrettanto generico danno non patrimoniale da pubblicità ingannevole e di un pregiudizio correlato al turbamento per la paura di ammalarsi.
Qualora un fumatore di sigarette "lights" abbia chiesto la condanna del produttore al risarcimento del danno derivante dall'apposizione sui pacchetti di tale scritta, deducendo l'ingannevolezza del messaggio, l'illecito è configurabile anche in riferimento a condotte poste in essere in epoca antecedente all'esplicito divieto legislativo di utilizzare siffatte diciture.
Cass Civ Sez III, sent. n 26516 del 17 dicembre 2009
Qualificando l'attività del produttore di tabacco e del rivenditore come pericolosa, le Sezioni Unite della Suprema Corte giungono a ravvisare l'applicabilità a detta attività dei criteri di imputazione della responsabilità, qualificati come oggettivi, di cui all'art. 2050 cc nonostante che la pericolosità non risulti insita alle modalità di estrinsecazione della stessa ma al prodotto che ne deriva e, più precisamente, all'uso di tale prodotto. Non sfugge, tuttavia, la domanda di risarcimento danni, pur formulata ex art. 2050 cc, all'onere di fornire la prova del danno conseguenza subito, in aderenza ai recenti arresti delle sezioni Unite sul punto. Parte della dottrina ha osservato in chiave critica, rispetto a detta pronuncia:
che il danno da fumo non deriva dall'attività pericolosa ma dal prodotto;
che, in armonia con i principi comunitari in materia di danni da prodotto pericoloso, la nozione di pericolosità è relativa e dipende dalle conseguenze inattese dell'uso normale di un prodotto; ne consegue, stante la notoria dannosità del fumo che la consapevole fruizione delle sigarette da parte del consumatore sarebbe idonea a recidere il nesso di causalità con il fatto del produttore.
La Suprema Corte esprime, altresì, il principio per il quale la dicitura light sul pacchetto di sigarette indica pubblicità ingannevole e, come tale, può essere fonte di danno ingiusto ex art. 2043 cc.
Cassazione Civile Sez. III del 17 dicembre 2009 n. 26516
In materia di responsabilità civile, il consumatore che, lamentando di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole (nella specie, relativa ad una marca di sigarette con la dicitura Light ed Extra Light), agisca per il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2043 c.c., non assolve in modo adeguato all'onere della prova esistente a suo carico limitandosi a dimostrare il solo carattere ingannevole della pubblicità, ma è tenuto a provare l'esistenza del danno, il nesso di causalità, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, la quale si concreta nella prevedibilità che dalla diffusione di quel messaggio sarebbero derivate le lamentate conseguenze dannose.
La produzione e la vendita di tabacchi lavorati costituiscono attività pericolose ai sensi dell'art. 2050 c.c., poiché i tabacchi, avendo come unica destinazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé una potenziale carica di nocività per la salute umana; ne consegue che, ove il danneggiato abbia proposto una domanda risarcitoria - ai sensi dell'art. 2043 c.c. - nei confronti del produttore-venditore di tabacco, viola l'art. 112 c.p.c. ed incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che sostituisca a tale domanda quella, nuova e diversa, di cui all'art. 2050 c.c., la quale integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva. (Nella specie, l'originaria domanda risarcitoria era fondata sul carattere ingannevole delle diciture Light e Extra Light apposte sulla confezione di una marca di sigarette).
L'apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo "LIGHT" sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l'ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall'esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l'espressione impiegata.
Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l'esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le sanzionate conseguenze dannose.
La produzione e la vendita di tabacchi lavorati integrano un'attività pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c., poiché i tabacchi, avendo quale unica destinazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé, per la loro composizione bio-chimica e per la valutazione data dall'ordinamento, una potenziale carica di nocività per la salute. Tuttavia, qualora il danneggiato abbia proposto domanda risarcitoria a noma dell'art. 2043 c.c. nei confronti del produttore-venditore di tabacco, viola il principio posto all'art. 112 c.p.c. ed incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che sostituisca a questa domanda quella nuova e diversa di cui all'art. 2050 c.c., integrante un'ipotesi di responsabilità oggettiva.
La produzione e la commercializzazione di tabacchi lavorati per il fumo integrano gli estremi di un'attività pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c
Qualora l'attore, lamentando un pregiudizio derivante dal fumo di sigarette commercializzate con la dicitura "lights", di cui deduceva il carattere ingannevole, e invocando la norma generale sul fatto illecito, abbia chiesto la condanna dell'induttore al risarcimento del danno, incorre nel vizio di ultrapetizìone la sentenza che affermi la responsabilità del convenuto in base al regime previsto per l'esercizio di attività pericolose
Viola i principi informatori della materia, con riguardo alla responsabilità civile, la sentenza pronunciata secondo equità dal giudice di pace che, adito da un fumatore di sigarette "lights" per ottenere la condanna del produttore, ex art. 2043 c.c. al risarcimento del danno derivante dall'apposizione sui pacchetti di tale dicitura asseritamente ingannevole, abbia accolto la domanda senza un'adeguata motivazione sul carattere decettivo del messaggio, sul nesso di causalità tra la sua propagazione e il danno ingiusto lamentato, nonché sull'atteggiamento psicologico del convenuto. La Suprema Corte ha precisato che, ai fini di quest'ultimo elemento, è sufficiente la colposa diffusione di un messaggio prevedibilmente idoneo ad insinuare nel consumatore il falso convincimento in ordine alle caratteristiche e agli effetti del prodotto).
Qualora il fumatore di sigarette "lights" agisca contro il produttore per il risarcimento del danno da pubblicità ingannevole, derivante dall'erroneo convincimento di ridurre il rischio di danno fumando tali sigarette, non è prospettabile la questione della volontaria assunzione del rischio da parte del danneggiato.
Va cassata "in parte qua" la sentenza pronunciata secondo equità dal giudice di pace che, affermata la responsabilità del produttore di sigarette commercializzate con la dicitura "lights" in virtù del carattere decettivo di tale dicitura, abbia riconosciuto la sussistenza di un generico danno da peggioramento della salute ed alla vita di relazione, ritenuto "in re ipsaa, nonché di un altrettanto generico danno non patrimoniale da pubblicità ingannevole e di un pregiudizio correlato al turbamento per la paura di ammalarsi.
Qualora un fumatore di sigarette "lights" abbia chiesto la condanna del produttore al risarcimento del danno derivante dall'apposizione sui pacchetti di tale scritta, deducendo l'ingannevolezza del messaggio, l'illecito è configurabile anche in riferimento a condotte poste in essere in epoca antecedente all'esplicito divieto legislativo di utilizzare siffatte diciture.
Cass Civ Sez III, sent. n 26516 del 17 dicembre 2009