Il trasferimento del lavoratore, disciplina e limiti del potere datoriale ai sensi dell'art. 2103 c.c. così come modificato dall'art. 13 dello Statuto dei lavoratori
Il trasferimento del lavoratore, da un'unità produttiva all'altra è consentito, ai sensi dell'art. 2103 c.c., così come modificato dall'art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Differente dal trasferimento disciplinato e limitato dall'art. 2103 c.c. è il trasferimento all'interno dell'azienda o della stessa unità produttiva in quanto, in tal caso, il solo limite che il datore di lavoro deve rispettare è quello di non pregiudicare la crescita professionale del lavoratore e di non adibirlo a mansioni dequalificanti (cfr. cass civ. sez lav n. 9558 del 22.4.2010).
La nozione di trasferimento non è poi definita puntualmente dal legislatore ma è individuata dalla giurisprudenza in uno spostamento definitivo e senza limiti di tempo del luogo di lavoro del lavoratore. Distinta dal trasferimento è la trasferta del lavoratore caratterizzata da un mutamento solo provvisorio e temporaneo del luogo di adempimento della prestazione del lavoratore subordinato.
Ciò premesso, ai sensi dell'art. 2103 c.c., la legittimità del trasferimento è subordinata alla sussistenza di una motivazione oggettiva e verificabile.
L'indirizzo giurisprudenziale prevalente, di recente avallato dal legislatore con l'art. 30, co. 1 l. n. 183/2010, è quello che esclude che la verifica della sussistenza di una ragione giustificatrice del trasferimento possa spingersi sino al sindacato del merito della scelta imprenditoriale.
In tal senso, occorre solo verificare la veridictà della ragione addotta a fondamento del trasferimento e la sussistenza di un nesso causale tra il trasferimento di quel lavoratore ed il motivo tecnico ed organizzativo. In sostanza il lavoratore deve risultare in possesso delle attitudini professionali richieste dalla posizione lavorativa da ricoprire nella nuova unitùà produttiva.
In taluni casi la legge prevede limiti specifici al potere datoriale di disporre il trasferimento del lavoratore.
Le ipotesi principali riguardano:
a) i dirigenti delle RSA o RSU, i candidati e i membri di commissioni interne che possono essere trasferiti solo con il preventivo nulla osta delle organizzazioni sindacali (art. 22 l. n. 300/1970);
b) i lavoratori con handicap e i lavoratori che assistono persone con handicap ex l. n. 104/92 non possono essere trasferiti in altra sede senza il loro consenso;
c) le lavoratrici (e i lavoratori) che fruiscono del congedo di maternità e di paternità, hanno diritto, al loro rientro, salvo che espressamente vi rinuncino, a rientrare nella stessa unità produttiva in cui erano occupate all'inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino;
d) in via generale sono assolutamente vietati i trasferimenti attuati allo scopo di discriminare il lavoratore a causa della sua adesione ad attività sindacali ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero oppure per ragioni politiche religiose razziali, di lingua o di sesso.