La Cassazione fa il punto sulla risarcibilità del danno biologico come danno differenziale in caso di infortunio sul lavoro, non è necessaria la responsabilità penale del datore di lavoro
Con la sentenza n. 777 del 19 gennaio 2015, la Suprema Corte ha ribadito un indirizzo già presente nella sua giurisprudenza di legittimità in tema di risarcimento del danno per infortunio sul lavoro.
In sostanza, ha precisato la Corte, non è richiesto, una volta accertata la responsabilità civile del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. per il danno subito dal lavoratore (infortunio o malattia professionale), che sia anche provata la responsabilità penale del datore di lavoro (se del caso con accertamento incidentale) in quanto l'art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965, a norma del quale l'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro va interpretato in modo costituzionalmente conforme e quindi come non riferito al danno non patrimoniale che dovrebbe essere integralmente risarcito dal datore di lavoro previa detrazione di quanto eventualmente già corrisposto dall'Inail ai sensi dell'art. 13 della l. n. 38 del 2000.
Va ricordato che l'art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965 prevede, inoltre, che, laddove non vi sia esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro, questi debba rispondere solo della quota non indennizzata dall'Inail.
La sentenza suscita alcune perplessità e dubbi applicativi.
In primo luogo essa determina una sostanziale interpretazione parzialmente abrogatrice dell'art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965 nella parte in cui stabilisce che l'assicurazione per gli infortuni sul lavoro "esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro" prevedendo che la sua responsabilità permanga solo in caso di accertata responsabilità penale per un reato perseguibile d'ufficio e, in tale ipotesi, solo nei limiti del danno differenziale.
Secondo la pronuncia, l'esonero dalla responsabilità civile riguarderebbe solo l'area dell'iniziale copertura assicurativa dell'Inail e, cioè, quella della perdita della cpacità reddituale e non l'area del danno alla salute in relazione alla quale permarrebbe la responsabilità del datore di lavoro.
Tale interpretazione. già presente nella giurisprudenza di legittimità, non andrebbe poi rimeditata alla luce dell'entrata in vigore della l. n. 38 del 2000 che ha esteso la copertura assicurativa dell'Inail al danno biologico in quanto l'Istituto eroga un indennizzo e, quindi, una prestazione strutturalmente diversa dal risarcimento al cui integrale ristoro il danneggiato avrebbe diritto.
In ogni caso, il danneggiato dovrebbe detrarre dall'ammontare del risaricmento dovuto dal datore di lavoro, l'indennizzo ricevuto a titolo di danno biologico dall'Inail.
Ora, fermo restando che, sul piano applicativo, la sentenza potrebbe non mutare in modo significativo i termini del problema considerando che, una volta verificata la responsabilità civile del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è, di norma integrata anche la sua responsabilità penale per lesioni colpose gravi, ad avviso di chi scrive, non convince l'interpretazione parzialmente abrogatrice del comma 1 dell'art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965.
Tale norma fa, infatti, riferimento ad un esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro senza alcuna limitazione ed ha una logica che è quella di disciplinare gli effetti di eventi infortunistici che si verifichino nell'ambito lavorativo secondo un criterio che tenga conto dell'utilità sociale dell'attività d'impresa, da una parte e della necessità che sia apprestata un'idonea copertura assicurativa ai lavoratori contro i rischi dell'attività dall'altra.
In altre parole imporre al datore di lavoro l'assicurazione Inail avrebbe dovuto, nella logica del Legislatore, esonerarlo dagli effetti (a volte disastrosi sul piano economico) che un'eventuale condanna al risarcimento del danno per un infortunio sul lavoro di un lavoratore potrebbe causargli.
D'altronde, in caso di infortunio sul lavoro è sempre presente anche il danno biologico con la conseguenza che l'esonero dalla responsabilità civile, in virtù di tale interpretazione, non vi sarebbe mai.
La stessa previsione che la responsabilità civile permanga in caso di responsabilità penale per un reato perseguibile d'ufficio ha una logica nel senso di limitare l'ambito della copertura assicurativa tanto è vero che, in tale ipotesi, è anche previsto il diritto di regresso dell'Inail.
In definitiva, lo schema del T.U. era chiaro: se c'è solo responsabilità civile il datore di lavoro è esonerato dalla responsabilità nei confronti del lavoratore infortunato se soggetto all'assicurazione Inail e il lavoratore è indennizzato dall'Istituto; se c'è responsabilità penale non sussiste l'esonero e, quindi, il datore di lavoro è tenuto all'integrale risarcimento nei confronti dell'infortunato; l'Inail anticipa quanto di sua spettanza e può agire in regresso.
Va, poi, sottolineato che il tenore letterale della norma non dovrebbe lasciare particolari margini di dubbio in quanto, ove avesse inteso limitare la responsabilità civile del datore di lavoro non avrebbe utilizzato il termine esonero ma quello, di ben altro significato, di limitazione della responsabilità civile del atore di lavoro.
L'estensione, per effetto dell'entrata in vigore della l. n. 38 del 2000, del rischio coperto dall'Inail al danno all'integrità psico fisica, rende ancora più complesso il percorso motivazionale seguito dalla Suprema Corte considerando che, allo stato, il datore di lavoro è tenuto, per legge, a pagare un premio che è commisurato anche al rischio del danno alla salute del lavoratore.
Cassazione civile sez. lav. 19/01/2015 n 777
In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato, e la limitazione dell'azione risarcitoria di questi al cosiddetto danno differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale a norma dell'art. 10 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, riguarda, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, soltanto l'ambito della copertura assicurativa, ossia il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica e non anche il danno alla salute, o biologico, e il danno morale di cui all'art. 2059 cod. civ., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della responsabilità del datore di lavoro.
art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965
L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.
Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato.
Permane, altresì, la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile.
Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale l'infortunio è derivato sia necessaria la querela della persona offesa.
Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo (1).
Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto (2).
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti (3).
Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 (4).
Art. 13 del d.lgs. n. 38/2000
2. In caso di danno biologico, i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonché a malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l'INAIL nell'ambito del sistema d'indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all'articolo 66, primo comma, numero 2), del testo unico, eroga l'indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni (1):
a) le menomazioni conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica di cui al comma 1 sono valutate in base a specifica "tabella delle menomazioni", comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali. L'indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale dal 16 per cento è erogato in rendita, nella misura indicata nell'apposita "tabella indennizzo danno biologico". Per l'applicazione di tale tabella si fa riferimento all'età dell'assicurato al momento della guarigione clinica. Non si applica il disposto dell'art. 91 del testo unico;
1- Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, in relazione all'art. 2059 c.c., per avere l'impugnata sentenza ritenuto liquidabile il danno biologico differenziale pur in assenza di condanna penale per l'infortunio patito dal lavoratore e in assenza di prova specifica di danno ulteriore rispetto a quello coperto dall'INAIL. Il motivo è infondato.
Nell'attuale regime, che all'art. 13 cit., D.Lgs. prevede l'estensione della copertura assicurativa obbligatoria gestita dall'INAIL anche al danno biologico, le somme eventualmente erogate dall'istituto non esauriscono il diritto al risarcimento del danno biologico in capo all'assicurato.
Invero, lo stesso art. 13 cit., dopo aver premesso che le disposizioni in esso contenute si pongono nell'ottica della "attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento", definisce il danno biologico solo "in via sperimentale" e ai soli "fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali".
Tali puntualizzazioni dimostrano che la prospettiva della norma non è quella di fissare in via generale ed omnicomprensiva gli aspetti risarcitoli del danno biologico, ma solo quella di definire i meri aspetti indennitari agli specifici ed unici fini dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.
Infatti, l'erogazione effettuata dall'INAIL è strutturata in termini di mero indennizzo, indennizzo che, a differenza del risarcimento, è svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale od aquiliano) e, di conseguenza, può essere disposto anche a prescindere dall'elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità.
Si tenga altresì presente che, anche riguardo al consolidamento degli effetti patrimoniali in capo all'avente diritto, l'indennizzo INAIL si struttura in modo diverso da un risarcimento del danno, dal momento che la rendita cessa con la morte del lavoratore (e non passa nell'asse ereditario), mentre il diritto al risarcimento, una volta consolidatosi, entra a far parte del patrimonio dell'avente diritto e si trasferisce agli eredi (come del resto si era ritenuto in giurisprudenza anche nell'ipotesi di lesioni che avessero determinato la morte del danneggiato solo in un secondo momento).
Sempre a conferma delle notevoli divergenze strutturali tra l'indennizzo erogato dall'INAIL e il risarcimento del danno biologico, si consideri altresì che mentre quest'ultimo trova titolo nell'art. 32 Cost., l'indennizzo INAIL è invece collegato all'art. 38 Cost., e risponde alla funzione sociale di garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore.
In breve, la differenza strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 cit. e il risarcimento del danno biologico preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato od ammalato, nel senso che esse devono semplicemente detrarsi dal totale del risarcimento spettante al lavoratore.
Ritenere il contrario significherebbe attribuire al cit. art. 13, la finalità non già di apprestare un arricchimento di tutela in favore del lavoratore ma, al contrario, un suo secco situazione anteriore (come formatasi in virtù di giurisprudenza ormai consolidata) e un trattamento deteriore - quanto al danno biologico - del lavoratore danneggiato rispetto al danneggiato non lavoratore.
Ulteriore conferma del fatto che il D.Lgs. n. 38 del 2000, cit. art. 13, non possa integrare una limitazione di tutela del lavoratore danneggiato, ma debba, anzi, costituire il contrario, si evince dalla giurisprudenza della Corte cost. che, fin dalla sentenza n. 87/91, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 2, 3 e 74, in riferimento all'art. 3 Cost., art. 32 Cost., comma 1, art. 35 Cost., comma 1, e art. 38 Cost., comma 2, sollevata in ragione della mancata indennizzabilità del danno biologico da parte dell'INAIL, ebbe tuttavia a rilevare che: "... indubbiamente, l'esclusione dell'intervento pubblico per la riparazione del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi alla propria attività lavorativa non può dirsi in sintonia con la garanzia della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.) e, ad un tempo, con la tutela privilegiata che la Carta costituzionale riconosce al lavoro come valore fondante della nostra forma di Stato (art. 1 Cost., comma 1, artt. 4, 35 e 38 Cost.), nel quadro dei più generali principi di solidarietà (art. 2 Cost.) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.). E' vero che il danno biologico, in sè considerato, deve ritenersi risarcibile da parte del datore di lavoro secondo le regole che governano la responsabilità civile di quest'ultimo. Tuttavia, le stesse ragioni, che hanno indotto a giudicare non soddisfacente la tutela ordinaria e ad introdurre un sistema di assicurazione sociale obbligatoria contro il rischio per il lavoratore di infortuni e malattie professionali capaci di incidere sulla sua attitudine al lavoro, inducono a ritenere che anche il rischio della menomazione dell'integrità psico-fisica del lavoratore medesimo, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba per se stessa, e indipendentemente dalle sue conseguenze ulteriori, godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta, mediante apposite modalità sostanziali e procedurali, quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare".
In definitiva, anche alla stregua di una doverosa interpretazione costituzionalmente orientata, deve escludersi che le prestazioni eventualmente erogate dall'INAIL esauriscano di per sè e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato (v.
altresì, in motivazione, Cass. n. 18469/12).
Obietta parte ricorrente che il risarcimento del danno differenziale è stato accordato pur in assenza di condanna penale per l'infortunio patito dal lavoratore e in assenza di prova specifica di danno ulteriore rispetto a quello coperto dall'INAIL. Ma a tale riguardo va rilevato che, per costante giurisprudenza, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, e delle inerenti pronunce della Corte cost., riguarda l'ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica.
Invece - in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte cost. n. 356 e 485 del 1991 e con il conseguente orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell'assicuratore - tale esonero non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all'art. 2059 c.c., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro (cfr., ex aliis, Cass. n. 8182/2001 e successive conformi).
2- Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha liquidato il danno esistenziale a prescindere da allegazioni e prova a riguardo, ritenendolo in re ipsa.
Il motivo non è conferente perchè, in realtà, l'impugnata sentenza non ha ritenuto il danno in re ipsa, ma in sostanza lo ha desunto ex art. 115 cpv. c.p.c., da massime di comune esperienza, considerata la giovane età dell'odierno controricorrente (che aveva appena 25 anni al momento dell'infortunio per cui è causa, che lo ha ridotto su una sedia a rotelle) e la gravità delle conseguenze del non poter più avere capacità di procreazione e di vita sessuale, di fare sport e/o altre analoghe attività e, in sintesi, di avere una normale vita di relazione così come gli altri suoi coetanei.
E' appena il caso di ricordare che l'uso di massime di comune esperienza a fini di riconoscimento del danno non patrimoniale è perfettamente conforme all'insegnamento di Cass. S.U. n. 26972/08.
E' pur vero che il danno esistenziale non è un'autonoma posta di danno, ma solo un criterio di liquidazione della più generale posta di danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c., ma il sostanziale tenore della motivazione della sentenza impugnata dimostra che in tal senso l'ha inteso considerare la Corte di merito.
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.