La rinnovazione del licenziamento nel corso del giudizio avente ad oggetto l'illegittimità del primo, sull'opportunità di emendare il primo licenziamento dei suoi vizi di forma
E' stato osservato in dottrina che "nell'ipotesi di applicabilità della tutela reale può essere utile ed è consentita l'intimazione di un secondo licenziamento nelle more del giudizio sul primo" (cfr. Vallebona, Breviario di diritto del lavoro, Torino 2012, 372).
La Suprema Corte, con sentenza n 6773 del 19 marzo 2013 ha confermato la correttezza di tale suggerimento affermando che "in caso di licenziamento nullo per vizio di forma è ammessa la ripetizione del licenziamento nelle more del giudizio sul primo licenziamento, perchè si tratta di un negozio diverso e successivo al quale non si applica la convalida ex art. 1423 c.c.".
La sentenza ha chiarito che la rinnovazione del licenziamento per sanare eventuali vizi di forma del primo, configura un atto diverso dal primo licenziamento, con la conseguenza che non è applicabile la disciplina di cui all'art. 1423 c.c. che presupporrebbe l'identità tra il primo ed il secondo negozio.
Ne consegue che il datore di lavoro può ripetere il licenziamento per gli stessi motivi sostanziali avendo cura di emendare gli eventuali vizi di forma inficianti il primo provvedimento espulsivo.
Ovviamente il lavoratore sarà onerato di una nuova impugnativa stragiudiziale e giudiziale ed i procedimenti potranno essere riuniti avendo ad oggetto i medesimi fatti.
Ove il licenziamento sia ritenuto privo di giusta causa o di giustificat motivo, la seconda impugnativa sarà stata di fatto inutile; ove il primo licenziamento sia ritenuto illegittimo per vizio di forma ed il secondo abbia emendato tale illegittimità, non vi potrà essere reintegra ed il risarcimento sarà limitato alle retribuzioni medio tempore maturate. Ove invece il primo licenziamento sia ritenuto legittimo sia formalmente che sostanzialmente, il secondo licenziamento sarà di fatto tam quam non esset non essendo ovviamente configurabile un atto di recesso relativo ad un rapporto già cessato.
Cassazione civile sez. lav. 19/03/2013 6773
È consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma (purché siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione) in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora sub iudice. Tale rinnovazione, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell'art. 1423 c.c. (che è norma diretta a impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetto "ex tunc" e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziate).
È consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora "sub iudice", purché siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione. Tale rinnovazione, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell'art. 1423 c.c., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti "ex tunc" e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6.- Preliminarmente i due ricorsi debbono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
7.- Il ricorrente principale deduce i motivi che seguono.
7.1.- Con il primo motivo è dedotta violazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 1423 c.c., a proposito dell'affermazione che il secondo licenziamento sarebbe inesistente, in quanto irrogato in un momento in cui il rapporto era da considerare concluso per l'irrogazione del primo licenziamento, che solo successivamente fu annullato. Sostiene infatti la ricorrente che il licenziamento invalido, nel rapporto di lavoro dotato di stabilità reale non cancella le reciproche obbligazioni delle parti, in quanto il rapporto giuridico durante il periodo necessario all'accertamento della legittimità del recesso rimane quiescente e non è estinto, di modo che il licenziamento dichiarato illegittimo non interrompe il rapporto, ma incide unicamente sulla funzionalità di fatto della prestazione, lasciando inalterata la continuità del vincolo giuridico che la sentenza ripristina ex tunc. 7.2.- Con il secondo motivo è dedotta violazione dell'art. 7, commi 2 e 4, dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 1375 c.c., a proposito dell'affermazione che il datore comunque avrebbe agito, in occasione del secondo licenziamento, in violazione dei principi di correttezza e buona fede. Il ricorrente riafferma che la tempistica della contestazione e dell'onere di audizione adottata nel caso di specie è rispettosa dell'art. 7 dello Statuto e dei diritti di difesa del lavoratore; infatti: 1) L.T. ricevette la contestazione il 13.09.96 e il 25.09.96 presene le sue giustificazioni chiedendo di essere sentito personalmente; 2) il datore con telegramma 27.09.96 (ricevuto da controparte il 28.09.96) fissa l'audizione per il 2.10.96 presso la sede milanese dell'ufficio personale; 3) L.T. con telegramma 1.10.96 contestò la convocazione; in definitiva il dipendente aveva avuto a disposizione un termine a difesa di 15 giorni (a fronte dei 5 previsti dall'art. 7) e per sua libera scelta ritenne di non presentarsi all'audizione, che il datore non era tenuto a fissare in sede di gradimento del dipendente. I principi di correttezza e buona fede sarebbero, pertanto, richiamati impropriamente.
7.3.- Con il terzo motivo è dedotta carenza di motivazione, in quanto non è precisato per quale ragione si ponga in contrasto "radicale" con i principi di buona fede e correttezza la convocazione presso la sede milanese del datore.
8.- Con il ricorso incidentale L.T. lamenta il mancato esame dei motivi di appello ritenuti assorbiti dalla Corte d'appello e cioè 8.1) violazione del principio di immediatezza, in quanto il licenziamento in questione fu irrogato il 3.10.96 in relazione a comportamenti noti da tempo al datore di lavoro, in quanto accertati con l'ispezione del 4.06.96 e contestati rispettivamente il 19.06.96 ed il 26.07.96; 8.2) omesso esame del motivo di appello con cui erano contestati nel merito gli addebiti ascritti e l'adeguatezza della sanzione espulsiva, ritenuta sproporzionata all'addebito ascritto;
8.3) violazione di legge in relazione alla domanda di risarcimento del lamentato danno alla salute, ponendosi in evidenza che la esistenza del pregiudizio è data per ammessa dal giudice sul piano dell'an debeatur e che la contestazione è rivolta verso l'affermazione che non sarebbe provato il nesso causale tra licenziamento e danno.
9.- Prima di procedere all'esame dei motivi di ricorso principale ed incidentale deve precisarsi che è pacifico agli atti che al L. T. in tempi diversi furono irrogati due licenziamenti per giusta causa: il primo con lettera del 15.07.96, il secondo con lettera del 3.10.96; i due licenziamenti dettero luogo a due separati contenziosi.
9.1.- Il primo licenziamento (15.07.96) fu oggetto di un ricorso di Milano Assicurazioni, che chiese al Pretore del lavoro di Milano di accertare la legittimità del recesso. Accolta la domanda dal Pretore (con declaratoria di legittimità del recesso, sentenza 18.03.99) e proposto appello dal lavoratore, il Tribunale di Milano rigettò l'impugnazione (sentenza 18.10.99). Proposto ricorso dal L.T., la Corte di cassazione (sentenza 6.12.00 n. 15746) cassò la sentenza del Tribunale e rinviò alla Corte d'appello di Milano la quale, pronunziando in sede di rinvio, dichiarò illegittimo il licenziamento (sentenza 31.01.02).
9.2.- Il secondo licenziamento (3.10.96) fu impugnato da L.T. dinanzi al Pretore del lavoro di Ragusa. Rigettata la domanda (sentenza 12.11.04), propose appello L.T. e la Corte di appello di Catania accolse l'impugnazione, dichiarando la nullità del licenziamento ed ordinando la reintegra del lavoratore (sentenza 19.03.08). I ricorsi principale ed incidentale proposti contro questa sentenza di appello, sono oggetto della presente pronunzia.
10.- La Corte di merito ha ritenuto inefficace il secondo licenziamento, perchè irrogato a soggetto già licenziato e non ancora reintegrato, in ossequio ad alcune sentenze di questa Corte (sentenze 18.5.05 n. 10394 e 4.4.01 n. 5092), assumendo che il licenziamento intimato nell'area della stabilità reale per giusta causa o giustificato motivo costituisce negozio risolutivo del rapporto, che produce i suoi effetti tipici fino a quando non venga eventualmente annullato dal giudice. Il secondo licenziamento, ove irrogato prima che il primo sia annullato, sarebbe privo di effetto, in quanto interverrebbe su un rapporto non può esistente.
Successivamente alle indicate pronunzie la giurisprudenza di legittimità ha proceduto ad un riesame di detta impostazione ed ha posto in evidenza che essa si limita a considerare solamente l'aspetto degli effetti caducatori della pronunzia di illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa o giustificato motivo, enfatizzando il dato testuale della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, (nel testo introdotto dalla L. n. 108 del 1990), a proposito della qualificazione di azione di annullamento dell'impugnazione del recesso per giusta causa o giustificato motivo ("il giudice, con la sentenza con cui... annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo"), senza tenere conto del significato complessivo della norma. Questa, infatti, prevede che nel caso di annullamento del recesso disposto dal giudice per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, scattino a favore del lavoratore una serie di conseguenze favorevoli (reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento di un'indennità pari alla retribuzione di fatto che sarebbe maturata tra il licenziamento e la reintegrazione, versamento dei contributi previdenziali per il periodo tra licenziamento e reintegrazione) che postulano che il rapporto medio tempore sia continuato, seppure solamente de iure (Cass. 6.03.08 n. 6055 e 14.09.09 n. 19770).
11.- La Corte d'appello, tuttavia, non si è avveduta che questa giurisprudenza non è riferibile al caso di specie, che non afferisce l'aspetto sostanziale del licenziamento e prescinde da ogni considerazione del comportamento del lavoratore al fine dell'accertamento della giusta causa o del giustificato motivo (nonchè dei requisiti della tutela reale). Nella vicenda ora in esame il primo licenziamento fu dichiarato illegittimo per violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, in quanto il L.T., quantunque ne avesse fatto tempestiva richiesta, fu licenziato senza essere preventivamente ascoltato (v. la sentenza Cass. 6.12.00 n. 15476). Il licenziamento in questione fu dunque dichiarato nullo per un vizio di forma che procurò la violazione delle garanzie previste dall'art. 7, prima ancora che l'analisi del giudice pervenisse alla valutazione dell'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo.
12.- La giurisprudenza di legittimità, secondo l'orientamento che qui si ritiene preferibile e cui il Collegio intende dare continuità, consente la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma (purchè siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione) in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora sub indice. Tale rinnovazione, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell'art. 1423 c.c. (che è norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetto ex tunc e non a comprimere la liberà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale) (Cass. 6.11.06 n. 23641, 7.04.01 n. 5226, 24.12.97 n. 13042 e 16.04.94 n. 3633).
13.- Il giudice di merito non ha fatto applicazione di questi principi in quanto non ha correttamente delimitato la materia del contendere. Egli, infatti, non considerando che il primo licenziamento era stato dichiarato illegittimo per un motivo di carattere meramente formale - impropriamente richiamando, tra l'altro, la distinzione tra nullità ed ingiustificatezza del licenziamento irrogato con violazione delle garanzie procedimentali della L. n. 300 del 1970, art. 7, effettuata ad altri fini da S.u.
18.05.94 n. 4846 - non ha verificato se il secondo licenziamento costituisse semplice rinnovazione del precedente o rappresentasse recesso basato su nuove e differenti contestazioni. Ne è derivata una pronunzia mirata sul dato esclusivo della successione temporale dei due atti di licenziamento che ha fatto applicazione di una giurisprudenza (peraltro non pacifica) che, per le ragioni dette, non è qui rilevante. In questi limiti, dunque il primo motivo del ricorso principale è fondato.
14.- La Corte d'appello, come già rilevato in parte espositiva, ha ravvisato un'ulteriore ragione di illegittimità del secondo licenziamento (quello del 3.10.96) riscontrando la violazione del diritto di audizione del lavoratore, che costituirebbe vizio formale della procedura causata da gestione del potere disciplinare contraria ai principi di correttezza e buona fede e tale da comprimere il diritto di difesa. Alla contestazione di questa seconda ratio decidendi sono diretti il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale.
15.- La violazione dei detti principi, secondo il giudice di appello, deriverebbe dall'aver il datore accolto la richiesta di audizione avanzata dal dipendente convocandolo non presso gli uffici della sede di lavoro (Ragusa) o di una qualsiasi sede della (OMISSIS), ma presso l'ufficio personale della Società sito in (OMISSIS), con "soli" tre giorni di preavviso, con modalità ritenute talmente onerose per il dipendente da non consentire il corretto spiegamento del contraddittorio e, quindi, con violazione della L. n. 300, art. 7.
La buona fede nell'esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà (derivante soprattutto dall'art. 2 Cost.) che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell'interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (v. per tutte S.u. 25.11.08 n. 28056 e Cass. 30.07.04 n. 14605).
Il giudice di merito ha fatto applicazione incongrua di tale principio, ritenendo che il semplice spostamento del lavoratore per lo svolgimento della richiesta audizione dalla sede di lavoro periferica all'ufficio del personale sito presso la sede centrale comportasse una "indebita compressione del diritto di difesa".
Trattasi di considerazione che si pone al di fuori delle regole della logica argomentativa, atteso che lo svolgimento dell'adempimento procedurale era stato disposto nella sede sua propria (l'ufficio centrale del personale), dopo che il lavoratore aveva già articolato le sue difese scritte, con un preavviso tale da consentire allo stesso un comodo spostamento (tre giorni). Le modalità di esercizio del diritto di difesa, pertanto, non erano in nulla aggravate, ma rimanevano nel corretto iter procedimentale disegnato dall'art. 7 della Statuto dei lavoratori.
I due motivi sono, quindi, da accogliere, dovendo ritenersi che al lavoratore fu pienamente assicurato il diritto di difesa nei termini previsti dalla norma di legge.
16.- E' inammissibile il ricorso incidentale proposto dal L.T., che ripropone al giudice di legittimità questioni che non sono state esaminate dal giudice di merito perchè ritenute assorbite a seguito della pronunzia oggi impugnata. Si tratta di questioni ancora sub iudice che potranno essere riproposte nel giudizio di rinvio.
17.- In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si attera al seguente principio di diritto: il licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma può essere rinnovato (purchè siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione) in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora sub iudice; tale rinnovazione, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell'art. 1423 c.c. (che è norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetto ex tunc e non a comprimere la liberà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale).
All'esito dell'applicazione di tale principio il giudice verificherà se il secondo licenziamento costituisca rinnovazione di quello precedentemente irrogato o rappresenti recesso basato su nuove e differenti contestazioni non compatibili con quelle originariamente poste a base del licenziamento.
18.- Il giudice del rinvio procederà altresì alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.