La possibilità della monetizzazione dell ferie a seguito della legge n 8 del 2012 a seguito della Corte Costituzionale e della della Corte di Giustizia
Il comma 8 dell’art. 5 della l. n. 135/2012 prevede che “8. Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonche' delle autorita' indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile.
Con sentenza n. 95 del 2016, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità sollevata con riferimento a tale norma precisando che “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 8, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 135, censurato per violazione degli artt. 3, 36, commi 1 e 3, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE, in quanto, nell'àmbito del lavoro pubblico, prevederebbe il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute, anche quando il mancato godimento non sia riconducibile alla volontà del lavoratore. La questione è stata sollevata sulla base di un presupposto interpretativo erroneo, atteso che, il legislatore, al fine di reprimere il ricorso incontrollato alla “monetizzazione” delle ferie non godute, correla il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie; si tratta, quindi, di una disciplina che, affiancata ad altre misure di contenimento della spesa, mira a riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro. Così correttamente interpretata, la disciplina impugnata non pregiudica il diritto inderogabile alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale, dalle fonti internazionali e da quelle europee, che sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore (sentt. nn. 66 del 1963, 189 del 1980, 616 del 1987, 297 del 1990, 286 del 2013, 262 del 2015, 45 del 2016).
Successivamente, è intervenuta la Corte di Giustizia, con la sentenza del 20.7.2016, chiarendo la portata precettiva dell’art. 7 della direttiva n. 88 del 2003 il quale stabilisce che “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. 2. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.
Con tale pronuncia, la Corte di Giustizia, ai punti da 25 a 30, ha avuto modo di precisare quanto segue “25 Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre in primo luogo rammentare che, come emerge dalla stessa formulazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, disposizione alla quale tale direttiva non consente di derogare, ogni lavoratore beneficia di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane. Tale diritto alle ferie annuali retribuite, che, secondo giurisprudenza costante della Corte, deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, è dunque conferito a ogni lavoratore, indipendentemente dal suo stato di salute (sentenze del 20 gennaio 2009, Schultz Hoff e a., C 350/06 e C 520/06, EU:C:2009:18, punto 54, nonché del 3 maggio 2012, Neidel, C 337/10, EU:C:2012:263, punto 28). 26 Quando è cessato il rapporto di lavoro e allorché, pertanto, la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite non è più possibile, l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 prevede che il lavoratore abbia diritto a un’indennità finanziaria per evitare che, a causa di tale impossibilità, il lavoratore non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria (v. sentenze del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e a., C 350/06 e C 520/06, EU:C:2009:18, punto 56; del 3 maggio 2012, Neidel, C 337/10, EU:C:2012:263, punto 29, nonché del 12 giugno 2014, Bollacke, C 118/13, EU:C:2014:1755, punto 17). 27 Occorre altresì rilevare che l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, come interpretato dalla Corte, non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è cessato (sentenza del 12 giugno 2014, Bollacke, C 118/13, EU:C:2014:1755, punto 23). 28 Ne consegue, conformemente all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute. A tal fine è privo di rilevanza il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato. 29 Pertanto, la circostanza che un lavoratore ponga fine, di sua iniziativa, al proprio rapporto di lavoro, non ha nessuna incidenza sul suo diritto a percepire, se del caso, un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite di cui non ha potuto usufruire prima della cessazione del rapporto di lavoro. 30 Alla luce di quanto precede, si deve constatare che l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che priva del diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute il lavoratore il cui rapporto di lavoro è cessato a seguito della sua domanda di pensionamento e che non è stato in grado di usufruire del suo diritto alle ferie prima della fine di tale rapporto di lavoro.
Quanto alle richiamate norme di cui all’art. 7 della direttiva, occorre anche ricordare che, a parere della Corte di Giustizia, esse producono effetti diretti nei confronti dello Stato o di organismi preposti obbligatoriamente all’erogazione di servizi di interesse pubblico (cfr. Corte di Giustizia – causa c 282 del 2010 – sent. 24 gennaio 2012 “Sebbene l’articolo 7 della direttiva 2003/88 lasci agli Stati membri un certo margine di discrezionalità allorché adottano le condizioni di ottenimento e di concessione del diritto alle ferie annuali retribuite che esso sancisce, tale circostanza tuttavia non incide sul carattere preciso e incondizionato dell’obbligo previsto da tale articolo. A tale proposito, occorre rilevare che l’articolo 7 della direttiva 2003/88 non rientra tra le disposizioni di detta direttiva a cui il suo articolo 17 consente di derogare. È quindi possibile determinare la tutela minima che deve in ogni caso essere apprestata dagli Stati membri in forza di detto articolo 7 (v., per analogia, sentenza Pfeiffer e a., cit., punto 105). 36 Poiché l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 soddisfa le condizioni richieste per produrre un effetto diretto, occorre inoltre constatare che il CICOA, uno dei due convenuti nella causa principale e datore di lavoro della sig.ra Dominguez, è un ente che opera nel settore della previdenza sociale. 37 È certamente vero che, ai sensi di una costante giurisprudenza, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C-91/92, Racc. pag. I-3325, punto 20; del 7 marzo 1996, El Corte Inglés, C-192/94, Racc. pag. I-1281, punto 15; Pfeiffer e a., cit., punto 108, nonché Kücükdeveci, cit., punto 46). 38 Tuttavia, si deve rammentare che gli amministrati, qualora siano in grado di far valere una direttiva non nei confronti di un singolo, ma di uno Stato, possono farlo indipendentemente dalla veste nella quale questo agisce, come datore di lavoro o come pubblica autorità. In entrambi i casi è opportuno evitare che lo Stato possa trarre vantaggio dalla sua inosservanza del diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, Racc. pag. 723, punto 49; del 12 luglio 1990, Foster e a., C-188/89, Racc. pag. I-3313, punto 17, nonché del 14 settembre 2000, Collino e Chiappero, C-343/98, Racc. pag. I-6659, punto 22).39 Così, fa parte degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonee a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio d’interesse pubblico e che disponga a tal fine di poteri che oltrepassano quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli (v., in particolare, sentenze Foster e a., cit., punto 20; Collino e Chiappero, cit., punto 23, nonché del 19 aprile 2007, Farrell, C-356/05, Racc. pag. I-3067, punto 40).
Alla luce dell’interpretazione dell’art. 7 della direttiva n. 88 del 2003 fatta propria dai Giudici di Lussemburgo con la sentenza del 20 luglio 2016, deve, come condivisibilmente osservato di recente dal Tribunale di Vercelli con la sentenza del 22 febbraio del 2017, ritenersi “superata l’interpretazione offerta, sul versante interno, (anche) dalla Corte Costituzionale in relazione all’art. 5, co. 8, d.l. 95/12. Adita per sentire dichiarare l’incostituzionalità della predetta disposizione per contrasto con gli artt. 3, 36, co 2, e 117, co. 1 (in relazione all’art. 7 della direttiva 2003/88/CE) della Costituzione, la Corte ha ritenuto non fondati i dubbi di costituzionalità sollevati dal giudice a quo, emettendo una sentenza interpretativa di rigetto basata sull’interpretazione del diritto vivente (nazionale ed europeo) incline ad escludere dall’àmbito applicativo del divieto di monetizzazione delle ferie non godute di cui alla norma censurata “le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro” (C. Cost., sent. 6.5.16, n. 95, parr. 4 e 5 Considerato in diritto; cfr., nello stesso senso, sebbene in un giudizio in via principale, C.Cost. sent. 4.12.13, n. 286, par. 9.3 Considerato in diritto). Come è desumibile dalle affermazioni sopra riportate, la Corte di Giustizia ha definitivamente sancito l’irrilevanza della ragione per la quale sia cessato il rapporto di lavoro, riconoscendo il pieno diritto alla percezione dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute anche in capo al lavoratore che, di propria iniziativa, abbia posto fine al rapporto lavorativo.
Ha ulteriormente e condivisibilmente evidenziato il Tribunale di Vercelli il fatto che, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali sono tenuti ad interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva dell’Unione, sì da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima. Qualora l’interpretazione conforme non sia possibile, il giudice nazionale deve verificare se la previsione della direttiva abbia effetto diretto e se detto effetto sia invocabile nella controversia sottoposta al suo scrutinio (v., anche CGUE 15.1.14, C-176/12, Association de médiation sociale, p. 36); quindi, in caso positivo, deve procedere alla disapplicazione della disposizione nazionale contrastante con quella della direttiva (v., tra le tante, CGUE 24.1.12, Dominguez, C-282/10, p. 41).
Il Tribunale di Vercelli evidenzia, poi, che l'efficacia diretta dell’art. 7 della direttiva 2003/88/CE è stata chiaramente sancita dalla Corte di Giustizia (v. CGUE 24.1.12, Dominguez, cit.) e che sebbene la Corte abbia riconosciuto detta efficacia segnatamente al paragrafo 1 dell’art. 7, la stessa Corte ha più volte statuito che la direttiva 2003/88/CE “considera il diritto alle ferie annuali e quello all’ottenimento di un pagamento a tale titolo come due aspetti di un unico diritto” (v., in tal senso, CGUE 20.1.2009, C-350/06 e C-520/06, Schultz-Hoff e a., P. 60; CGUE, 3.5.12, Neidel, C-337/10, p. 29; CGUE 12.6.14, Gülay Bollacke, C-118/13, p.16). I giudici di Lussemburgo hanno, altresì, statuito che l’art. 7, par. 2 non assoggetta il diritto ad un’indennità finanziaria ad alcuna altra condizione che non sia tra quelle dallo stesso previste, ovverosia la cessazione del rapporto, da un lato, e il mancato godimento di tutte le ferie annuali da parte del lavoratore, dall’altro.
Quindi, l’art. 5, co. 8, d.l. 95/12 - sulla base del quale la PA parrebbe legittimata a negare la possibilità, per i dipendenti pubblici, di monetizzare le ferie non fruite all’atto della cessazione del rapporto - giacché nega, in termini assoluti, il diritto alla percezione dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute, contrasta insanabilmente con l’art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE e dovrà versoimilmente, alla luce delle considerazioni sopra esposte, essere disapplicato dai giudici nazionali così come già fatto correttamente dal Tribunale di Vercelli.