L'assegnazione della casa familiare in caso di separazione, si conserva anche se l'assegnataria vi vive solo temporaneamente - così ha concluso la Cassazione
Con la recente sentenza n° 14348 del 09.08.2012, la Suprema Corte torna su i requisiti necessari per l'assegnazione della casa familiare, ribadendo il principio secondo il quale il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli e che al fine dell'assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati, deve trattarsi della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia quando era unita e d a condizione che il figlio convivente versi, senza colpa, in stato di non autosufficienza economica.
La causa traeva origine dal ricorso presentato presso il Tribunale di Messina, da un ex coniuge per richiedere la modificazione delle condizioni della separazione consensuale, omologata dallo stesso Tribunale con cui si conveniva, tra l'altro, che la figlia minore fosse affidata alla madre e che il godimento della casa familiare, di proprietà del marito, fosse attribuito a quest'ultima.
Nel proprio atto introduttivo, il ricorrente sottolineava come la moglie e la figlia di sei anni non abitassero più stabilmente nella casa familiare, essendosi la ex moglie ormai trasferita con la minore presso la casa dei genitori e chiedendo, pertanto, la revoca della predetta assegnazione.
Costituitasi in giudizio, la ex moglie osservava, al riguardo che, lavorando come infermiera turnista presso l'Azienda ospedaliera, era costretta ad appoggiarsi per cinque giorni alla settimana alla casa dei genitori, i quali provvedevano alla minore in sua assenza, con la precisazione che sia lei che la figlia abitavano stabilmente nella casa familiare tutti i fine settimana, i giorni festivi e la stagione estiva.
Il Tribunale di prime cure rigettava il ricorso, avverso il quale l'ex marito proponeva reclamo presso la Corte D'Appello, anch'esso respinto e, pertanto, impugnato in Cassazione.
I Giudici di legittimità respingevano, tuttavia, il ricorso, basando la propria decisione sull'assunto che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli (art. 155-quater c.c., comma 1 ).
Infatti, come rilevato dalla Suprema Corte, già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che sono requisiti imprescindibili, per l'assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori separati o divorziati, la sussistenza di un habitat domestico, ossia di luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia durante la convivenza dei suoi membri e l'affidamento a questo di figli minorenni o la convivenza con figli maggiorenni, incolpevolmente privi di adeguati mezzi autonomi di sostentamento.
Invero, l'assegnazione della casa familiare prevista dall'art. 155quater c.c., rispondendo all'esigenza di conservare l'habitat domestico, in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell'immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità.
Orbene, nel caso in oggetto, la compiuta istruttoria ha permesso di accertare che l'abitazione coniugale non è stata affatto abbandonata dal coniuge affidatario della minore, che solo temporaneamente nel corso della settimana, per ben fondate ragioni lavorative, si appoggia alla casa dei genitori , i quali la supportano nella crescita della figlia minore.
Peraltro, anche la circostanza che la bambina sia stata iscritta ad una scuola non circostante la casa familiare, non comporta lo snaturarsi della funzione della casa medesima, presso la quale le due donne si recano ogni fine settimana e nei periodi di vacanza.
Ne consegue che il domicilio coniugale mantiene la funzione primaria ossia quella di assicurare al minore la propria armoniosa crescita senza subire il trauma aggiuntivo dell'allontanamento definitivo dal luogo ove ha trascorso i primi anni di vita, giacché la sistemazione precaria in casa dei nonni materni non assicurerebbe alla bambina la necessaria stabilità della quale necessita specie con il passare degli anni e che, di conseguenza, non integra un fatto sopravvenuto che possa giustificare e fondare la invocata revoca della assegnazione della casa.
Alla luce delle predette circostanze, la Corte rigetta il ricorso e condanna il soccombente al pagamento delle spese legali.