In materia di divisione d'eredità giudiziale la Suprema Corte afferma che l'assegnazione in natura dell'immobile può essere disposta discrezionalmente dal giudice
Nella giurisprudenza di legittimità, sussiste un contrasto interpretativo in ordine all'art. 720 cc che stabilisce le modalità della divisione d'eredità giudiziale qualora nel compendio ereditario sussistano beni comuni non comodamente divisibili.
In tale caso, infatti, il bene deve essere assegnato ad uno dei coeredi, salvo conguaglio nei confronti delgi altri.
Il problema giuridico che si è posto è stato quello di stabilire se il giudice, nel procedere all'assegnazione sia vincolato nella scelta dovendo necessariamente propendere per il titolare della quota maggiore, salvo che sussitano gravi ragioni che depongano per una diversa soluzione ovvero, al contrario, se possa procedere discrezionalmente nella scelta del coerede assegnatario del bene in natura con il solo obbligo di esporre i motivi della scelta.
La sentenza n 11641 del 13 maggio 2010 della Cass Civ ha seguito questo secondo indirizzo interpretativo ritenendo che non sussista alcun aggancio nella norma di cui all'art. 720 cc per ravvisare, nel potere di scelta dell'assegnazione da parte del giudice del bene in natura, un potere vincolato.
In senso opposto si era invece espressa Cass 2 agosto 1990 n 7716
Cass Civ sent n 11641 del 13 maggio 2010
Cass Civ sent n 11641 del 13 maggio 2010
Nell'esercizio del potere di attribuzione dell'immobile ritenuto non comodamente divisibile, il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall'art. 720 c.c., da cui gli deriva, al contrario, un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell'obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all'uno piuttosto che all'altro degli aspiranti all'assegnazione (così esaminando i contrapposti interessi dei condividenti in proposito), e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità, a condizione che sia adeguatamente e logicamente motivato.
L'art. 720 c.c., nel disciplinare l'ipotesi in cui l'immobile oggetto di comunione non sia divisibile o comodamente divisibile a prescindere dal fatto che le quote dei condividenti siano o meno eguali, configura la vendita all'incanto come rimedio residuale cui ricorrere quando nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell'intero.
Il giudice può discostarsi dal criterio preferenziale sancito dall'art. 720 c.c., avendo egli un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnare l'immobile indivisibile, potere che trova il suo contemperamento nei criteri di opportunità che debbono ispirare la scelta e nell'obbligo di indicarne i motivi. Pertanto, nel caso in cui il giudice si discosta dal criterio preferenziale di attribuire l'immobile indivisibile al condividente titolare della quota maggiore, ha l'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione di tale diversa opzione.
L'art. 720 c.c., nel disciplinare l'ipotesi in cui l'immobile oggetto di comunione non sia divisibile o comodamente divisibile a prescindere dal fatto che le quote dei condividenti siano o meno eguali, configura la vendita all'incanto come rimedio residuale cui ricorrere quando nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell'intero.
Il giudice può discostarsi dal criterio preferenziale sancito dall'art. 720 c.c., avendo egli un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnare l'immobile indivisibile, potere che trova il suo contemperamento nei criteri di opportunità che debbono ispirare la scelta e nell'obbligo di indicarne i motivi. Pertanto, nel caso in cui il giudice si discosta dal criterio preferenziale di attribuire l'immobile indivisibile al condividente titolare della quota maggiore, ha l'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione di tale diversa opzione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 1-2-2001 V.M.E. conveniva in
giudizio dinanzi al Tribunale di Cassino M.R. chiedendo dichiararsi lo
scioglimento della comunione esistente tra le parti sulla porzione
immobiliare del fabbricato sito in (OMISSIS) via (OMISSIS), costituita
da un appartamento al piano terra composto di tre vani, servizi e
accessori, e, in caso di accertata non comoda divisibilità
dell'immobile, ordinarsi l'attribuzione in favore dell'istante, avente
diritto alla quota maggiore, dell'intero appartamento con addebito
dell'eccedenza ex artt. 720 e 1116 c.c..
La convenuta si costituiva in giudizio chiedendo l'accertamento della
comoda divisibilità dell'immobile e, in caso contrario, l'attribuzione
in suo favore per intero del bene con riconoscimento all'attrice di una
somma corrispondente al valore della sua quota.
Il Tribunale adito con sentenza del 26-8-2004 dichiarava l'immobile non
comodamente divisibile e lo assegnava alla V. stabilendo il relativo
conguaglio in favore della M..
Proposta impugnazione da parte di quest'ultima cui resisteva la V. la
Corte di Appello di Roma con sentenza del 20-7-2005 ha rigettato il
gravame.
Per la cassazione di tale sentenza la M. ha proposto un ricorso
articolato in quattro motivi cui la V. ha resistito con controricorso
depositando successivamente una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa
applicazione dell'art. 720 c.c., censura la sentenza impugnata per aver
ritenuto non comodamente divisibile l'immobile oggetto di comproprietà
tra le parti.
La M., premesso che lo stesso C.T.U. aveva prospettato la possibilità
di un concreto frazionamento del bene in due porzioni, ritiene
infondate le argomentazioni in proposito espresse dal giudice di
appello con riferimento da un lato, al fatto che la divisione avrebbe
comportato per la porzione da attribuire all'appellante la mancanza di
servizi igienici, e,dall'altro,alla conseguenza dell'assegnazione
all'appellata di una porzione priva di ingresso autonomo; sotto un
primo profilo infatti le attuali soluzioni tecniche avrebbero
consentito di risolvere agevolmente il problema relativo ai servizi,
mentre, quanto al secondo rilievo, si è trascurata l'esistenza di una
scala che, ripristinata, avrebbe consentito "il collegamento tra le due
quote".
Infine la ricorrente assume che la sentenza impugnata ha disatteso il
principio normativo secondo cui, qualora non sia possibile addivenire
alla formazioni di due porzioni perfettamente rispondenti ai diritti
dei condividenti, trova applicazione il rimedio del conguaglio.
La censura è infondata.
Il giudice di appello, premesso che l'immobile per cui è causa era sito
al piano terra con ingresso indipendente dalla residua porzione di
fabbricato, ed era costituito da un tratto di cortile pertinenziale, da
un corridoio centrale, da quattro vani e da un piccolo bagno, ha
rilevato, sulla base della relazione di C.T.U., che la divisione del
bene in due parti avrebbe comportato, oltre alla necessità di eseguire
una serie di interventi sulla porzione da attribuire all'appellante
(che, a seguito della divisione, sarebbe rimasta priva di servizi
igienici), l'assegnazione alla appellata di una porzione di fabbricato
priva di ingresso autonomo e dotata solo di un accesso, ottenibile
mediante la riapertura di una vecchia scala interna, con ingresso al
piano superiore, già di proprietà dell'appellata; la Corte territoriale
ha quindi ritenuto che tale soluzione non avrebbe certamente consentito
la ripartizione del bene in due unità, ciascuna autonoma e funzionale,
ed avrebbe comportato da un lato un eccessivo frazionamento
dell'immobile e dall'altro un sensibile deprezzamento del valore della
quota assegnata all'appellata, posto che la porzione assegnatale non
sarebbe stata suscettibile di utilizzazione autonoma, attesa la
necessità di accedervi dal primo piano.
Orbene, avendo la sentenza impugnata indicato chiaramente le fonti del
suo convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto
sorretto da congrua e logica motivazione, come tale insindacabile in
questa sede, dove del resto la ricorrente sostanzialmente non contesta
gli inconvenienti evidenziati dal giudice di appello in ordine alla
divisibilità dell'immobile, ma li ritiene facilmente superabili in base
ad una diversa valutazione di merito.
Il richiamo poi della M. al diritto del condividente al perseguimento
in natura di una parte dei beni in comune previsto dall'art. 718 c.c.,
non tiene conto che tale norma fa salve le disposizioni degli articoli
seguenti, tra cui appunto l'art. 720 c.c., riguardante gli immobili non
divisibili.
Infine il profilo di censura relativo al conguaglio è irrilevante,
essendo quest'ultimo un meccanismo tendente alla equiparazione di
porzioni di valore diseguali, e riguardando dunque l'ipotesi di
divisibilità dei beni oggetto della comunione, nella specie non
ricorrente.
Con il secondo motivo la M., denunciando violazione e falsa
applicazione dell'art. 720 c.c. ed omessa e insufficiente motivazione,
assume che erroneamente la Corte territoriale ha confermato
l'attribuzione dell'immobile per cui è causa nella sua interezza alla
V. quale titolare della quota maggiore rispetto a quella di spettanza
all'esponente; invero il riferimento dell'art. 720 c.c.,
all'attribuzione dell'immobile indivisibile "preferibilmente" al
condividente avente diritto "alla quota maggiore" riconosce ai giudice
un potere discrezionale nella scelta del condividente cui assegnare il
bene, che trova il suo contemperamento soltanto nell'indicazione dei
criteri che debbono ispirare la scelta e nell'obbligo di indicarne i
motivi, incombenti nella specie non espletati; pertanto l'attribuzione
acritica dell'immobile indivisibile al titolare della quota maggiore
non può essere condivisa, così come non può essere seguito il criterio
relativo ad un interesse comune dei condividenti, essendo evidentemente
molto difficile individuare un interesse comune tra due condividenti
che richiedono l'attribuzione dello stesso bene.
La ricorrente in definitiva rileva che la sentenza impugnata non ha
compiuto alcuna valutazione delle contrapposte domande di attribuzione
nè alcuna comparazione dei rispettivi interessi delle parti.
La censura è infondata, poichè il dispositivo della sentenza impugnata
è conforme a diritto, anche se la motivazione deve essere parzialmente
corretta nei termini che saranno tra poco chiariti.
Il giudice di appello, premesso che nell'ipotesi di immobile
indivisibile deve assegnarsi preferibilmente il bene al condividente
titolare della quota maggiore, salva la possibilità di discostarsi da
tale criterio per motivi gravi ed attinenti agli interessi comuni dei
condividenti, ha ritenuto che nella specie non ricorrevano i
presupposti per tale deroga, non rilevando in proposito soltanto gli
interessi morali cui aveva fatto cenno l'appellante.
In linea di diritto questa Corte osserva che in relazione ai criteri di
attribuzione di un immobile fissati dall'art. 720 c.c., sussiste un
primo orientamento giurisprudenziale secondo il quale il criterio
preferenziale della attribuzione del bene al condividente titolare
della quota maggiore può essere derogato solo per motivi gravi ed
attinenti all'interesse comune dei condividenti (Cass. 13-7-1983 n.
4775; Cass. 21-2-1985 n. 1528; Cass. 11-7.1995 n. 7558); invece secondo
un diverso indirizzo di questa Corte divenuto ormai prevalente il
giudice può discostarsi dal criterio preferenziale sancito dall'art.
720 c.c., avendo egli un potere prettamente discrezionale nella scelta
del condividente cui assegnare l'immobile indivisibile, potere che
trova il suo contemperamento nei criteri di opportunità che debbono
ispirare la scelta e nell'obbligo di indicarne i motivi (Cass. 7-5-1987
n. 4233; Cass. 11-8-1990 n. 8201; Cass. 19-3 2003 n. 4013; Cass.
22-3-2004 n. 5679; Cass. 16- 2- 2007 n. 3646; Cass. 25-9-2008 n. 24053).
Il Collegio ritiene di aderire a questo secondo orientamento in quanto
più rispondente alla lettera ed alla "ratio" dell'art. 720 c.c..
Invero l'espressione "preferibilmente" contenuta in tale disposizione
rende esplicita sotto un profilo letterale la scelta legislativa per
l'attribuzione di un immobile indivisibile tendenzialmente al titolare
della quota maggiore, senza quindi escludere la legittimità di una
opzione diversa e senza peraltro indicare i presupposti che consentano
tale deroga; la formulazione della norma quindi attribuisce al giudice
un ampio potere discrezionale che, per non sconfinare nell'arbitrio,
deve pur sempre tener conto dei concreti elementi di fatto che
caratterizzano le singole fattispecie e della esigenza quindi di
esaminare i contrapposti interessi dei condividenti in proposito; ciò
comporta pertanto l'obbligo del giudice, nel discostarsi dal criterio
preferenziale dell'attribuzione dell'immobile indivisibile al
condividente titolare della quota maggiore, di fornire adeguata e
logica motivazione di tale diversa opzione.
Deve del resto aggiungersi che il diverso orientamento (cui ha aderito
la sentenza impugnata) che restringe la suddetta deroga all'esistenza
di gravi motivi attinenti all'interesse comune dei condividenti
introduce nell'interpretazione del contenuto precettivo dell'art. 720
c.c., una limitazione che la norma non prevede e che si configura in
concreto di difficile individuazione (ed invero la richiamata pronuncia
di questa Corte dell'11-7.1995 n. 7588 che sostiene tale assunto non
specifica in cosa consistano tali gravi motivi attinenti all'interesse
comune del condividenti); al riguardo deve osservarsi che un giudizio
di divisione immobiliare in cui vi sia contrasto tra le parti circa
l'attribuzione all'una o all'altra di esse di un immobile indivisibile
si risolve in una controversia caratterizzata dalla contrapposizione
degli interessi dei condividenti in ordine alle diverse modalità di
attuazione della divisione stessa, cosicchè è ben comprensibile la
difficoltà di ravvisare dei motivi gravi e comuni ai condividenti che
possano legittimare la deroga al criterio preferenziale secondo
l'orientamento giurisprudenziale cui non si ritiene di poter aderire.
Ciò premesso sotto il profilo strettamente giuridico, deve peraltro
aggiungersi che la M. non ha dedotto almeno specificatamente le ragioni
che avrebbero giustificato la deroga al criterio preferenziale
dell'attribuzione dell'immobile indivisibile al condividente titolare
della quota maggiore; in particolare correttamente la sentenza
impugnata ha ritenuto irrilevanti l'accenno dell'appellante ad asseriti
interessi morali, riferimento invero del tutto generico e come tale
inidoneo ad una diversa valutazione delle contrapposte pretese delle
parti in ordine alla attribuzione dell'immobile per cui è causa; del
resto anche in questa sede la ricorrente si limita ad un accenno
altrettanto generico a suoi motivi personali e familiari contrapposti
ai motivi materiali e meramente speculativi della controparte, senza
quindi apportare argomentazioni specifiche in ordine alla censura alla
statuizione della Corte territoriale che ha rilevato l'assenza di
apprezzabili elementi che potessero giustificare una deroga al criterio
preferenziale dell'attribuzione dell'immobile in questione al
condividente titolare della quota maggioritaria.
Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo vizio di motivazione,
censura la sentenza impugnata per aver disatteso senza chiarire le
ragioni di tale diniego la richiesta dell'esponente di un rinnovo della
C.T.U., così adeguandosi acriticamente alle conclusioni della
consulenza tecnica espletata nel primo grado di giudizio, trascurando
quindi le critiche apportate dalla M. ai criteri seguiti dal C.T.U.
nella determinazione della stima dell'immobile, trattandosi di una
intera palazzina sita nel centro storico del paese "il cui valore
trascendeva quello puro e semplice della quota".
La censura è infondata.
Il giudice di appello ha affermato che la contestazione in ordine al
valore attribuito all'immobile era del tutto generica e non teneva
conto del fatto che tale valutazione era stata effettuata correttamente
dal C.T.U. sulla base "non solo della ubicazione del bene e della
porzione di giardino di pertinenza, ma anche delle fatiscenti
condizioni di degrado, che rendono necessari interventi di
ristrutturazione consistenti nel rifacimento integrale dell'impianto
elettrico, nel risanamento igienico funzionale dei locali, previa
eliminazione delle cause che determinano l'umidità nelle murature
portanti, nel rifacimento dell'impianto idrico, nella sostituzione
degli intonaci e nella sostituzione di tutti i pavimenti".
Pertanto la sentenza impugnata, contrariamente all'assunto della
ricorrente, ha esaminato esaurientemente il motivo di appello, definito
generico, relativo alla determinazione della stima dell'immobile,
aderendo alle ragioni espresse dal C.T.U. che giustificavano il valore
ad esso attribuito; orbene in questa sede la M. conferma l'assoluta
genericità della censura al riguardo proposta nel giudizio di appello,
in effetti limitata alla deduzione dell'ubicazione del bene in
questione nel centro storico di (OMISSIS) e priva di qualsiasi
specifica contestazione alle condizioni di degrado di esso che avevano
concorso alla sua concreta valutazione.
Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa
applicazione dell'art. 720 c.c., ed omessa ed insufficiente
motivazione, censura la sentenza impugnata per aver affermato che la
vendita all'incanto configura un rimedio residuale cui ricorrere
qualora nessuno dei condividenti abbia richiesto l'attribuzione del
bene indivisibile.
La M. assume che in realtà la questione sottoposta al giudice di
appello e da esso non risolta era diversa, trattandosi del criterio da
adottare allorchè entrambi i condividenti abbiano richiesto
l'attribuzione del bene; nella specie, infatti, occorreva accertare se
ricorressero motivi di opportunità che sconsigliassero l'attribuzione
dell'immobile ad uno dei condividenti con conseguente adozione del
criterio residuale della sua vendita all'incanto.
La censura è infondata.
La Corte territoriale, premesso che l'art. 720 c.c., configura la
vendita all'incanto degli immobili non divisibili come rimedio
residuale cui ricorrere quando nessuno dei condividenti possa o voglia
giovarsi della facoltà di attribuzione dell'intero, ha escluso nella
fattispecie la possibilità di adottare tale criterio per
l'insussistenza dei presupposti per la sua operatività.
Tale convincimento è certamente corretto, avuto riguardo nella
fattispecie alle rispettive domande di ciascuna delle parti di
attribuzione in proprio favore del bene in questione, e considerato che
l'art. 720 c.c., configura chiaramente la vendita all'incanto
dell'immobile indivisibile quale criterio residuale (Cass. 27-10-2000
n. 14165); pertanto la censura in esame trascura palesemente tale
disposizione di legge, richiamandosi oltretutto a supporto della sua
pretesa di vendita all'incanto del bene a non meglio precisate ragioni
di opportunità, onde sotto tale profilo il motivo in esame è anche
estremamente generico.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso