Il reato di infedeltà patrimoniale

Articolo  2634  c.c.   Infedeltà patrimoniale (1).

[I]. Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
[II]. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.
[III]. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo.
[IV]. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.

(1) V. nota al Titolo XI.

 
 
Cassazione Penale  sez. V del 23 giugno 2003  n. 38110
A seguito dell'introduzione della figura criminosa della infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.) - e in particolare del comma 3 della citata disposizione, che espressamente dichiara non giusto "il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo" - non si è verificata una "abolitio criminis" rispetto alle condotte di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) degli amministratori di società nelle quali le somme oggetto della appropriazione siano state destinate o trattenute in vista di vantaggi economici dello stesso gruppo.

Il delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, previsto dal nuovo testo dell'art. 2634 c.c., è escluso - ai sensi del comma 3 della stessa norma - o in presenza di concreti vantaggi compensativi derivanti dell'appropriazione indebita, ovvero in presenza di vantaggi "prevedibilmente fondati", e cioè basati su elementi sicuri, e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa

La disposizione del comma 3 dell'art. 2634 c.c., che esclude la configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale, trova applicazione in presenza di concreti vantaggi compensativi dell'appropriazione e del conseguente danno provocato alle singole società, non essendo sufficiente la mera speranza, ma che i vantaggi corrispondenti, compensativi della ricchezza perduta, siano "conseguiti" o "prevedibili" fondatamente e, cioè, basati su elementi sicuri, pressoché certi e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa; deve trattarsi, quindi, di una previsione di sostanziale certezza.

Il reato di appropriazione indebita aggravata commesso da amministratori di società in danno delle medesime non può considerarsi depenalizzato (con conseguente revoca della relativa condanna ai sensi dell'art. 673 c.p.p.), per il solo fatto che gli autori abbiano operato avendo di mira il conseguimento di un profitto asseritamente non qualificabile come "ingiusto" ai sensi del comma 3 dell'art. 2634 c.c., nella formulazione introdotta dal d.lg. 11 aprile 2002 n. 61, potendo tale disposizione trovare applicazione solo in presenza non di una mera speranza, ma di concreti vantaggi compensativi dell'appropriazione e del conseguente danno provocato alle singole società, i quali siano "conseguiti o fondatamente prevedibili", e cioè basati su elementi sicuri, pressoché certi e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa.

Nel caso di abrogazione parziale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione chiamato a stabilire se il fatto per il quale era stata pronunciata condanna costituisca ancora reato, non può rivisitare il giudizio di merito, nè compiere accertamenti ulteriori, ma deve limitarsi ad interpretare il giudicato e, quindi, ad accertare se nella contestazione fatta all'imputato risultano anche tutti gli elementi costituenti la nuova categoria dell'illecito.


Cassazione Penale  Sez. I  del 24 giugno 2004 n. 30546
La nuova figura di reato della "infedeltà patrimoniale", prevista dall'art. 2634 c.c., nella formulazione introdotta dall'art. 1 d.lg. 11 aprile 2002 n. 61, non ha fatto venir meno la configurabilità anche del reato di appropriazione indebita aggravata commesso da amministratore di società, sussistendo tra le due norme incriminatici un rapporto di specialità reciproca. (Nell'affermare tale principio la Corte ha, tuttavia, lasciato impregiudicata, siccome priva di rilevanza nella fattispecie in esame, la giuridica possibilità che la rilevanza penale della condotta, anche agli effetti dell'appropriazione indebita, possa essere esclusa in presenza della condizione prevista dal comma 3 dell'art. 2634 c.c., secondo cui: "In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo").


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