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L'indulto o condono è un atto di clemenza generale ed astratto, di competenza del Parlamento, che lo delibera a maggioranza di due terzi dei suoi componenti, con il quale la pena, per l'appunto, viene condonata in tutto o in parte con riferimento a tutti i reati commessi sino al giorno precedente l'emanazione del decreto.
Si distingue l'indulto proprio, che interviene durante l'esecuzione della pena, dall'indulto improprio che viene applicato dal giudice di cognizione con la sentenza. Esso, in ogni caso, non presuppone una sentenza irrevocabile.
L'indulto estingue la pena principale ma non le pene accessorie.
A tale atto clemenziale si è fatto, di recente, ricorso per la soluzione della problematica del sovraffollamento carcerario con la L. n. 241 del 31 luglio 2006.
Per effetto della menzionata legge, con riferimento ai reati commessi sino alla data del 2 maggio 2006, viene condonata la pena detentiva sino a tre anni e quella pecuniaria sino ad Euro 10.000. L'indulto è applicabile anche con riferimento alle sanzioni sostitutive, anche se qualche dubbio è stato sollevato con riferimento alla misura della libertà controllata.
L'indulto è stato ritenuto strutturalmente incompatibile con la pena dell'ergastolo che è insuscettibile di essere condonata in parte potendo esclusivamente essere integralmente condonata o commutata.
Il provvedimento d'indulto in esame ha previsto, poi, l'esclusione, dal suo ambito di applicazione, di una serie di fattispecie di reato in relazione alla loro gravità (ad esempio l'associazione sovversiva, quella di stampo mafioso, quella terroristica ecc ecc). La Suprema Corte ha, altresì, affermato che, nel novero dei reati esclusi, debbono ricomprendersi anche reati che si pongano in continuità normativa con fattispecie espressamente elencate.
L'indulto è, poi, revocato di diritto ove chi ne abbia usufruito commetta, nei cinque anni dalla concessione della misura, un delitto non colposo per il quale riporti una condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
Già in precedenza, con la L. n. 207 del 2003, era stato approvato il c.d. indultino, un provvedimento, cioè, per effetto del quale, il condannato che abbia già scontato almeno metà della pena detentiva, può fruire della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena residua nel limite massimo di due anni. La sospsensione condizionata di tale pena viene revocata ove, nel termine di cinque anni dalla sua concessione, il beneficiario commetta un nuovo delitto non colposo per il quale debba essere applicata una pena detentiva non inferiore a sei mesi. Esso è, altresì, revocato ove il beneficiario non ottemperi agli obblighi al medesimo imposti.
Anche per il c.d. indultino sono previste esclusioni oggettive connesse alla gravità del rearto nonchè soggettive in quanto tale beneficio non è applicabile in favore dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Si distingue l'indulto proprio, che interviene durante l'esecuzione della pena, dall'indulto improprio che viene applicato dal giudice di cognizione con la sentenza. Esso, in ogni caso, non presuppone una sentenza irrevocabile.
L'indulto estingue la pena principale ma non le pene accessorie.
A tale atto clemenziale si è fatto, di recente, ricorso per la soluzione della problematica del sovraffollamento carcerario con la L. n. 241 del 31 luglio 2006.
Per effetto della menzionata legge, con riferimento ai reati commessi sino alla data del 2 maggio 2006, viene condonata la pena detentiva sino a tre anni e quella pecuniaria sino ad Euro 10.000. L'indulto è applicabile anche con riferimento alle sanzioni sostitutive, anche se qualche dubbio è stato sollevato con riferimento alla misura della libertà controllata.
L'indulto è stato ritenuto strutturalmente incompatibile con la pena dell'ergastolo che è insuscettibile di essere condonata in parte potendo esclusivamente essere integralmente condonata o commutata.
Il provvedimento d'indulto in esame ha previsto, poi, l'esclusione, dal suo ambito di applicazione, di una serie di fattispecie di reato in relazione alla loro gravità (ad esempio l'associazione sovversiva, quella di stampo mafioso, quella terroristica ecc ecc). La Suprema Corte ha, altresì, affermato che, nel novero dei reati esclusi, debbono ricomprendersi anche reati che si pongano in continuità normativa con fattispecie espressamente elencate.
L'indulto è, poi, revocato di diritto ove chi ne abbia usufruito commetta, nei cinque anni dalla concessione della misura, un delitto non colposo per il quale riporti una condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
Già in precedenza, con la L. n. 207 del 2003, era stato approvato il c.d. indultino, un provvedimento, cioè, per effetto del quale, il condannato che abbia già scontato almeno metà della pena detentiva, può fruire della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena residua nel limite massimo di due anni. La sospsensione condizionata di tale pena viene revocata ove, nel termine di cinque anni dalla sua concessione, il beneficiario commetta un nuovo delitto non colposo per il quale debba essere applicata una pena detentiva non inferiore a sei mesi. Esso è, altresì, revocato ove il beneficiario non ottemperi agli obblighi al medesimo imposti.
Anche per il c.d. indultino sono previste esclusioni oggettive connesse alla gravità del rearto nonchè soggettive in quanto tale beneficio non è applicabile in favore dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza.