Inarcassa divieto di iscrizione solo in caso di svolgimento effettivo di diversa attività

 

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Con la sentenza n. 1389/2006, la Suprema Corte di Cassazione si inserisce, con importanti precisazioni, nell’ambito di un filone giurisprudenziale formatosi con riferimento al sistema previdenziale di Inarcassa, con riferimento alla questione dell’esclusione dall’iscrizione all’ente di previdenza di professionisti già coperti da altra forma di tutela previdenziale in dipendenza di altra attività di lavoro contestualmente svolta.

Nella fattispecie, l’Inarcassa sosteneva che l’iscrizione dell’ingegnere alla Cassa Geometri fosse, di per sé, preclusiva dell’iscrizione all’Inarcassa e ciò in forza del disposto di cui all’art. 2 della L. n. 1046/1971 e di cui al comma 5 dell’art. 21 della L. n. 6 del 1981 che prevedono l’esclusione dall’iscrizione alla Cassa degli ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza obbligatoria in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata. 

La tesi, condivisa dai Giudici del merito, era avversata dal professionista che sosteneva una diversa interpretazione della norma a mente della quale soltanto un’iscrizione a diversa forma previdenziale accompagnata dall’effettivo esercizio della diversa attività lavorativa oggetto di tutela potesse giustificare l’esclusione dall’iscrizione a Inarcassa.

La Suprema Corte di Cassazione, aderendo all’interpretazione della norma caldeggiata dal professionista ricorrente, ha cassato l’impugnata sentenza.

Nella parte motiva della sentenza, la diversa interpretazione prospettata dall’Inarcassa e posta a fondamento del provvedimento di cancellazione adottato a carico del professionista, viene disattesa, in primo luogo, sulla base di un argomento letterale.

La norma della cui applicazione si controverte, infatti, dispone espressamente che l’esclusione si verifica in relazione ad un iscrizione a diversa forma previdenziale legata a una diversa attività di lavoro dipendente o autonomo effettivamente esercitata.

Non è, in sostanza, sufficiente l’iscrizione a una diversa forma previdenziale, per configurare l’ipotesi d’esclusione di cui all’art. 2 della L. n. 1046/1971, ma è necessario che quest’ultima sia conseguente ad una diversa attività esercitata (tale ricostruzione interpretativa si pone, tra l’altro, perfettamente in linea con la pronuncia n. 108/1989 della Corte Costituzionale secondo cui l’esclusione dall’iscrizione trova la propria ratio in ragioni d’equlibrio finanziario e, segnatamente, nella necessità di evitare che soggetti con capacità contributive limitate siano tutelati previdenzialmente dall’Inarcassa).

Il Giudice delle Leggi e la Suprema Corte erano già stati investiti della questione sotto il profilo di una presunta contrarietà della disposizione con gli artt. 38 e 3 della Costituzione (in riferimento ad altri sistemi, come quello della Cassa Forense, che tale esclusione non contemplavano), in quanto l’esclusione dall’iscrizione a Inarcassa avrebbe compromesso la tutela previdenziale di soggetti a cui la diversa posizione assicurativa non avrebbe potuto, neppure astrattamente, garantire una prestazione pensionistica.

La Corte Costituzionale aveva precisato come la categoria degli ingegneri fosse caratterizzata, rispetto a quella forense, da una diversità di condizioni che spiega e giustifica la differente disciplina del caso. Ed infatti, stante l’ampiezza della gamma di attività, sia di lavoro autonomo sia di lavoro subordinato, compatibili con l'esercizio della professione di ingegnere (di gran lunga più ampia di quella delle attività compatibili con l'esercizio dell'avvocatura), l’esclusione dall’iscrizione degli ingegneri esercenti diversa attività lavorativa rispondeva a logiche d’equilibrio finanziario, in quanto, nella maggior parte dei casi, gli ingegneri impegnati in altre forme di attività, a causa della conseguente marginalità dell'esercizio professionale, ridurrebbero il loro apporto alla Cassa al contributo minimo.

La Suprema Corte di Cassazione è, poi, andata oltre nell’interpretazione della norma e ne ha ricercato le origini storiche.

Secondo la Corte, infatti, non potrebbe darsi alcuna forma di previdenza obbligatoria senza l’esercizio dell’attività a cui la medesima assicurazione è preordinata, sicchè la previsione dell’iscrizione in dipendenza dell’esercizio di una diversa attività di lavoro sarebbe da considerarsi pleonastica e legata a un diverso momento storico della previdenza libero professionale allorquando l’iscrizione all’ente di previdenza poteva essere legata (ed in effetti per Cassa Geometri e per Inarcassa lo era) alla mera iscrizione all’Albo ed il contributo era fissato in misura fissa e non in dipendenza al reddito professionale prodotto.

Tale ulteriore chiave argomentativa della Suprema Corte non convince completamente in quanto esistono ancora ordinamenti, come quello dei consulenti del lavoro, in cui l’iscrizione è obbligatoria a prescindere dal reddito professionale prodotto ed in cui è previsto un contributo fisso che prescinde dal reddito professionale e dal volume d’affari prodotto.

Nel caso dei consulenti del lavoro, peraltro, si potrebbe porre un diverso problema in quanto l’iscrizione all’Enpacl, in caso di preesistente iscrizione ad altro ente di previdenza obbligatoria, è facoltativa, sicchè un ingegnere già iscritto a Inarcassa potrebbe volontariamente iscriversi all’Enpacl ed esercitare l’attività di consulente del lavoro senza incorrere nel divieto posto dall’art. 21 comma 5 della L. n. 6/1981.

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