assegno sociale reddito e patrimonio

Il requisito economico per la percezione dell'assegno sociale, si computa il patrimonio o solo i redditi?
 
 
L’art. 3 comma 6 l. 335/1995 prevede: “con effetto dal 1° gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a lire 6.240.000, denominato "assegno sociale". Se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell'importo predetto, se non coniugato, ovvero fino al doppio del predetto importo, se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell'eventuale assegno sociale di cui il medesimo sia titolare. I successivi incrementi del reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sospensione dell'assegno sociale. Il reddito è costituito dall'ammontare dei redditi coniugali, conseguibili nell'anno solare di riferimento. L'assegno è erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonchè gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonchè il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Agli effetti del conferimento dell'assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contribuivo ai sensi dell'art. 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale”.
 
Con riferimento all'assegno sociale si è posta in giurisprudenza la questione se il requisito economico richiesto per la percezione della provvidenza debba essere inteso, in conformità con la lettera della norma, come riferito solo ai redditi percepiti o come inclusivo anche delle generali condizioni patrimoniali del soggetto che ne avanzi la domanda. Per una nozione ampia di reddito si è di recente pronunciata la Corte di Appello di Trieste, mentre, a favore dell'interpretazione letterale della norma, il Tribunale di Udine e il Tribunale di Milano
 
Corte di Appello di Trieste 8 giugno 2017
 
si tratta cioè di decidere se il termine "redditi", utilizzato dall'art.3 com-ma 6 della legge 335/95, debba essere inteso in senso stretto e cioè come riferito esclusivamente alle entrate conseguite in un determinato periodo; oppure in senso ampio ed estensivo e cioè in modo da ricomprendervi tutti gli elementi patrimoniali indicativi delle condizioni economiche di colui che richiede l'assegno sociale.
Quest'ultima soluzione è quella che appare più corretta, in base al testo della norma, che attribuisce rilievo ai redditi "di qualsiasi natura"; e soprattutto alla sua ratio: non si deve dimenticare infatti che l'assegno sociale è una prestazione di ca-rattere assistenziale, finalizzata a sovvenire ai bisogni essenziali di vita di chi si tro-vi in uno stato di disagio economico, e quindi si deve ritenere per sua natura incom-patibile con la titolarità di un patrimonio tale da consentire alla persona di procurar-si i necessari mezzi di sostentamento.
La tesi contraria, sostenuta dall'appellato, potrebbe portare evidentemente a risultati paradossali e assurdi: l'assegno sociale dovrebbe infatti essere erogato, ad esempio, anche a chi fosse titolare di un ingente compendio immobiliare o di rile-vanti somme di denaro depositate in Banca o di significative partecipazioni societa-rie, solo perchè non si tratta, di per sè, di redditi (nel senso di "entrate" in senso pro-prio).
 
 
Tribunale di udine 23.2.2016
 
come risulta dal tenore letterale della legge, lo stato di bisogno, quale necessario presupposto per l'erogazione dell'assegno sociale, non può essere inteso in modo generico, ma al contrario è definito dalla norma di cui all'art. 3 comma 6 l. 335/1995 sulla base di un criterio certo e oggettivo, rappresentato dal reddito delle persone fisiche. 
Ciò che rileva quindi ai fini della concessione del contributo assistenziale è il fatto che il soggetto richiedente abbia un livello reddituale inferiore rispetto a quello indicato dalla legge, mentre non ha rilevanza, come si dirà meglio subito infra, la sua situazione patrimoniale genericamente intesa.  
Sul punto deve rilevarsi che la ricorrente ha adeguatamente fornito la prova, gravante a suo carico come indicato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 23477/2010: “in tema di assegno sociale, ai sensi dell'art. 3 comma 6 della legge n. 335 del 1995, spetta all'interessato che ne abbia fatto istanza l'onere di dimostrare il possesso del requisito reddituale, determinato in base ai rigorosi criteri richiesti dalla legge speciale”), della mancanza di redditi (stipendi, pensioni, rendite) a lei imputabili...il reddito della casa di abitazione è escluso dal calcolo per la determinazione dei redditi rilevanti ai fini dell'assegno sociale. L'art. 3 comma 6 l. 335/1995 prevede chiaramente infatti che “non si computano nel reddito  i  trattamenti di  fine  rapporto  comunque   denominati,   le   anticipazioni   sui trattamenti stessi, le competenze  arretrate  soggette  a  tassazione separata, nonche' il proprio assegno  e  il  reddito  della  casa  di abitazione”. L'esclusione del reddito della casa di abitazione è stato anche recentemente confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte: “così come per la pensione di inabilità, per la corresponsione dell'assegno mensile di invalidità, ai fini del requisito reddituale non va calcolato il reddito della casa di abitazione, in quanto l'art. 12 della legge n. 118 del 1971, rinvia per le condizioni economiche all'art. 26 della legge n. 153 del 1969, che, per la pensione sociale, esclude dal computo il reddito della casa di abitazione. Né rileva, in senso contrario, la previsione di cui all'art. 2 del d.m. n. 553 del 1992, che impone, ai fini assistenziali, la denuncia dei redditi al lordo degli oneri deducibili, in quanto la casa di abitazione non costituisce, a tale scopo, un onere deducibile, ma una voce di reddito” (Cass. 4674/2015). 
Quanto agli altri cespiti immobiliari di co-proprietà della ricorrente, anche in questo caso devono seguirsi le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che non vi può essere confusione tra il concetto di reddito e quello di patrimonio: infatti secondo la Cassazione “deve ritenersi che il reddito valutabile ai fini della pensione sociale è solo quello assoggettabile ad imposta, a nulla rilevando, se non sotto questo profilo puntuale, la capacità economica del soggetto rapportabile al patrimonio, genericamente inteso (in questi termini Cass. 3958/2001, Cass. 2273/1986, n. 6472/1985; Cass. 6085/1991, Cass. 317/1996, Cass. 5326/1999, Cass. 13109/2013).
Inoltre, sulla necessità di distinguere tra reddito e patrimonio e di dare rilievo, in materia di prestazioni assistenziali, ad una nozione di reddito che sia effettiva e non meramente “formale” si veda anche la pronuncia della Cassazione n. 6570/2010: “in tema di assegno sociale, l'art. 3 l. n. 335 del 1995 - secondo cui il trattamento erogato provvisoriamente sulla base delle dichiarazioni del richiedente è oggetto di conguaglio sulla base degli importi effettivamente ricevuti - assegna rilievo non alla mera titolarità del redditi ma alla loro effettiva percezione. Ne consegue che il reddito incompatibile al riconoscimento della prestazione sociale assume rilievo solo se effettivamente percepito, atteso che anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, in mancanza di tale percezione l'interessato versa nella stessa situazione reddituale degli aventi diritto all'assegno sociale”. 
Quindi, se anche la ricorrente risulta proprietaria di diversi immobili, ciò (se può avere rilievo con riguardo alla sua situazione patrimoniale) non influisce sulla situazione reddituale della stessa, unica condizione che rileva ai fini della corresponsione dell'assegno sociale secondo quanto disposto dall'art. 3 comma 6 l. 335/1995.
 
Tribunale di Milano sent. 14 settembre 2017
 
 
A prescindere dalla circostanza che la ricorrente abbia o meno rinunciato all’assegno di mantenimento per la difficoltà di riscuotere lo stesso, va evidenziato che l' art. 3 commi 6 e 7 della L. n. 335 del 1995 stabilisce che a decorrere dall'1.1.96, ai cittadini italiani residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni di età e versino nelle previste situazioni reddituali, sia assegnato loro un assegno non reversibile denominato "assegno sociale" . 
Non risultano altri requisiti imposti dalla norma e lo stato di bisogno, lungi dall'essere previsto come clausola residuale, è presunto iuris et de iure dal legislatore sulla base delle soglie reddituali, nel caso di specie non specificamente contestate (in tal senso, Trib. Catania, ord. 20.12.2016; Trib. Napoli, 30.11.2016). Del resto, in relazione alla pensione sociale di cui all’art. 26 comma 1 l. 153/1969 (oggi sostituita appunto dall’assegno sociale), la cui erogazione era pure subordinata al possesso di requisiti reddituali (“reddito assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche”), la S.C. aveva ritenuto che lo stato di bisogno rilevante ai fini della concessione della provvidenza assistenziale fosse solo quello definito dalla legge sulla base dell’oggettivo criterio reddituale (v. Cass. civ. sez. lav. n. 3958/2001, secondo cui “ad integrare il requisito economico richiesto per il diritto alla provvidenza … non può concorrere lo stato di bisogno, che dovrebbe essere escluso ogni qual volta vi sia un patrimonio, il quale è invece valutabile solo in quanto abbia prodotto un reddito. … D’altra parte, assumendo a parametro ulteriore un generico stato di bisogno non si saprebbe come individuarne gli estremi, dal momento che la norma suggerisce un unico criterio per la sua identificazione, che è quello del reddito”). 
Né, di contro, possono essere ritenute indicative dell'assenza dello stato di bisogno la rinuncia al mantenimento ovvero eventuali dichiarazioni di autosufficienza economica rese in sede di separazione consensuale o di concorde richiesta di divorzio, atteso che tali affermazioni risultano molto spesso formulate per evitare l'alea e le spese di giudizio, in un contesto di tipo conciliativo e/o transattivo, non prettamente contenzioso (in tal senso, v. Trib. Vallo della Lucania Sez. lavoro, Sent., 17/09/2014; Trib. Catania, 20.12.2016). Lo stesso deve ritenersi in relazione alla convenzione di negoziazione assistita in atti, che costituisce un negozio giuridico lecito e, anzi, espressamente previsto dalla legge, volto a facilitare la definizione concordata/conciliativa delle controversie di separazione e divorzio.
Del resto, la richiesta di contributo economico al coniuge non costituisce circostanza rilevante e prodromica ai fini dell’ottenimento dell’assegno, poiché, se è vero che ci si può sempre rivolgere al coniuge separato per ottenere l’assegno di mantenimento o ai parenti elencati nell’art. 433 c.c. per chiedere gli alimenti, è altrettanto vero che la legge n. 335 del 1995 non richiede, tra i requisiti espressamente indicati, che il soggetto interessato si rivolga in primis al nucleo familiare e solo in subordine all’Inps (così Trib. Milano, Sez. lavoro, 28-01-2015; Trib. Bari, 26.1.2017).
Inoltre, essendo, quella in scrutinio, una prestazione assistenziale, finalizzata a proteggere situazioni di bisogno costituzionalmente tutelate, ex art. 38 Cost. (arg. C. Cass. 6570/2010), non appare conforme a Costituzione formulare interpretazioni che di fatto determinano l’introduzione di requisiti non espressamente richiesti dalla legge, apparendo, invece, necessario attenersi in modo rigoroso a quanto previsto dal diritto positivo.
Né può essere valorizzata, in senso ostativo alla concessione della prestazione, la circostanza che la ricorrente abbia incrementato il proprio patrimonio ricevendo dal coniuge le quote di proprietà della casa familiare, posto che il reddito derivante dalla casa di abitazione è, per legge, escluso dal computo dei redditi preclusivi alla concessione dell’assegno sociale.
In conclusione, in assenza di elementi volti a provare, seppur presuntivamente, il conseguimento di un reddito superiore ai limiti di legge, e non potendo le dichiarazioni rese in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio apparire di per sé preclusive ai fini di causa, deve essere riconosciuto in capo alla parte ricorrente il diritto all'ottenimento della prestazione invocata, con i relativi accessori, come per legge, dal primo giorno del mese successivo alla data di presentazione della domanda amministrativa (23/9/2015)
 
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