La questione della legittimità degli avvisi di addebito emessi dall'Inps sulla base di avvisi di accertamento di maggior reddito dell'agenzia delle entrate in pendenza di lite fiscale
L'Inps, a seguito della comunicazione automatizzata da parte dell'agenzia delle Entrate degli avvisi di accertamento che essa forma e che concernono i maggiori imponibili fiscali dei contribuenti, ha formato in modo altrettanto automatizzato una serie di avvisi di addebito senza, però, verificare se il contribuente avesse proposto ricorso alla commissione tributaria avverso l'avviso di accertamento.
Ciò ha determinato un vasto contenzioso che ha la peculiare caratteristica:
di costituire un'iniziativa obbligata per il contribuente, il quale, per il merito, ha già proposto ricorso nel merito dinanzi alla Commissione Tributaria, e che, altrimenti, vedrebbe pregiudicata irrimediabilmente la propria possibilità di contestare la pretesa dell'Inps anche laddove risultasse poi vittorioso davanti al giudice tributario
e
di costituire un giudizio che non ha (salvo ulteriori e specifiche questioni come, ad esempio, quella della prescrizione) un oggetto da potere essere vagliato e giudicato dal giudice del lavoro adito, essendo fondato su una pretesa impositiva dell'Agenzia delle Entrata contestata, nel merito, dal contribuente (come doveroso) in altra sede.
Sul punto, è intervenuta la Suprema Corte di cassazione che ha rilevato, con la sentenza n. 8379 del 09/04/2014, che “In tema di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali, l'art. 24, comma 3, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia il provvedimento esecutivo del giudice, qualora l'accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all'autorità giudiziaria, va interpretato nel senso ch-e l'accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall'ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l'Agenzia delle entrate, né è necessario, ai fini della non iscrivibilità a ruolo, che, in quest'ultima ipotesi, l'INPS sia messo a conoscenza dell'impugnazione dell'accertamento innanzi al giudice tributario.…L'INPS prospetta che il comma 3, del trascritto art. 24, il quale inibisce l'iscrizione a ruolo della pretesa contributiva se l'accertamento su cui si fonda è impugnato davanti all'autorità giudiziaria, è da riferirsi esclusivamente a quello eseguito da esso Istituto…La tesi dell'INPS non trova riscontro alcuno nella disposizione legislativa. Questa, infatti, non distingue affatto tra accertamento eseguito dall'Istituto previdenziale e accertamento operato da altro ufficio, nè esclude l'inibizione all'emissione del ruolo nell'ipotesi in cui l'accertamento, su cui il credito dell'ente previdenziale si radica, sia impugnato davanti al Giudice tributario…La lettera della legge,infatti, è tale da non consentire alcuna interpretazione che subordini, nell'ipotesi di cui trattasi, la detta non iscrivibilità a ruolo alla sussistenza di condizioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle normativamente previste. Diversamente si opererebbe una integrazione della volontà legislativa che, non essendo avallabile in via interpretativa, non è consentita nel nostro ordinamento giuridico. Deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto: "in materia d'iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti previdenziali il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, il quale prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia provvedimento esecutivo del giudice qualora l'accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all'autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l'accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall'ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l'Agenzia delle entrate, nè è necessario, ai fini di detta non iscrivibilità a ruolo, che, in quest'ultima ipotesi, l'INPS sia messo a conoscenza dell'impugnazione dell'accertamento davanti all'autorità giudiziaria anche quando detto accertamento è impugnato davanti al Giudice tributario".
Alla luce del chiaro orientamento della Suprema Corte dovrebbe ritenersi che tutti gli avvisi di addebito emessi sulla base di un avviso di accertamento fiscale che sia stato opposto dinanzi al giudice tributario e in pendenza della lite fiscale siano illegittimi.
Da ciò, tuttavia, discendono conseguenze, sul piano processuale, che non sono univoche.
Per una parte della giurisprudenza, infatti, in considerazione dell'obbligo, sancito dalla Suprema Corte con riferimento al diverso profilo della tardività dell'iscrizione a ruolo (cfr. in tal senso Cass Civ Sez Lav n. 26395/13) per il giudicie adito di pronunciarsi comunque sul merito, va disposta la sospensione del processo in attesa dell'esito del giudizio tributario, stante la pregiudizialità della lite fiscale ai sensi dell'art. 295 c.p.c.
Per altra parte della giurisprudenza, invece, in mancanza di uno spazio di merito da potere conoscere, una volta acclarata l'illegittimità dell'avviso di addebito in quanto emesso in pendenza della lite fiscale in contrasto con il disposto di cui all'art. 24, comma 3 del d.lgs. n. 46/99, il giudizio va concluso con una sentenza di accoglimento dell'opposizione, sempre che il giudizio tributario risulti ancora pendente.
Va, inoltre, sottolineato che un ulteriore profilo processuale problematico è quello che concerne la possibilità per il giudice di sollevare d'ufficio la questione relativa alla legittimità dell'avviso di addebito per violazione dell'art. 24, comma 3 del d.lgs. n. 46/1999 in mancanza di una specifica eccezione della parte e quello relativo alle sorti dela giudizio laddove risulti che, nelle more del processo, il giudizio tributario sia stato definito con esito sfavorevole o solo parzialmente favorevole al contribuente, non potendosi seriamente dubitare che, in caso di esito completamente favorevole, il giudizio previdenziale debba seguire le sorti di quello tributario.