Gli incentivi per le assunzioni dei lavoratori collocati in mobilità in ipotesi di trasferimento d'azienda, le diverse soluzioni date dalla Corte di Cassazione sulla spettanza degli incentivi di legge
L'art. 8 della l. n. 223 del 1991, comma 4 prevede che "Al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità è concesso, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore". Il successivo comma 4 bis prevede che "Il diritto ai benefici economici di cui ai commi precedenti e' escluso con riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilita', nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o di diverso settore di attivita' che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume ovvero risulta con quest'ultima in rapporto di collegamento o controllo".
Si è posta in giurisprudenza la questione se, in ipotesi di trasferimento di ramo d'azienda, il beneficio di cui al comma 4 spetti.
In caso di trasferimento d'azienda, infatti, il lavoratore passa alle dipendenze del nuovo datore di lavoro in virtù di uno specifico meccanismo legislativo con la conseguenza che neppure, a rigore, sembra poter essere ipotizzata la messa in mobilità da parte del primo datore di lavoro di un lavoratore che non figura più nel proprio organico.
Cionondimeno, la Suprema Corte, con la sentenza n. 14247/2012 ha affermato il principio che "l'art. 8, comma 4, della legge n. 223 del 1991 concede il beneficio della decontribuzione al datore di lavoro che, "senza esservi tenuto ai sensi del comma 1", assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, sicché l'agevolazione compete anche nei casi in cui chi assume i lavoratori in mobilità vi sia tenuto, purché l'obbligo di assunzione non discenda dalla previsione del comma 1 dell'art. 8, attinente al diritto di precedenza nell'assunzione dei lavoratori licenziati presso la medesima azienda. Ne consegue che, in caso di trasferimento di azienda che non si risolva in operazione puramente fittizia preordinata all'indebita fruizione del beneficio, questo spetta al cessionario che assuma i lavoratori collocati in mobilità dal cedente, non essendo egli tenuto ad osservare l'obbligo di precedenza nelle assunzioni prescritto al comma 1 dell'art. 8, ma solo ad assumere i lavoratori ancora in forza presso l'azienda cedente".
In base a tale indirizzo, dunque, anche in caso di operatività del meccanismo di cui all'art. 2112 c.c., i benefici previsti dall'art. 8 della l. n. 223 del 1991 spetta per i lavoratori collocati in mobilità dall'azienda cedente, anche se si tratta di lavoratori che facciano parte del ramo aziendale ceduto.
Con una più recente pronucnia, tuttavia, la S.C., senza dare conto dell'indirizzo contrario del 2012, ha affermato che "l'art. 8, comma 4, della l. n. 223 del 1991 prevede il beneficio della decontribuzione in favore del datore di lavoro che, "senza esservi tenuto", assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, al fine di incentivare le assunzioni dei lavoratori espulsi dal mercato del lavoro e presuppone la creazione di nuovi posti per esigenze proprie dell'azienda, in assenza di un obbligo all'assunzione, sicché l'agevolazione non compete nelle ipotesi di automatico trasferimento dei rapporti di lavoro subordinato, esistenti al momento della cessione, effettuato ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., senza soluzione di continuità, in capo al cessionario". La Corte prosegue il proprio ragionamento evidenziando, poi che "a nulla rileva che, prima della cessione, la procedura di cessazione di attività o di licenziamento collettivo fosse terminata e che fosse stato corrisposto il trattamento di fine rapporto dalle aziende cedenti. Ed infatti, a norma dell'art. 2112 c.c., comma 1, in caso di trasferimento di azienda (o di un suo ramo), il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. E' dunque evidente che la società ricorrente era tenuta all'assunzione dei lavoratori, circostanza questa che esclude il diritto alle agevolazioni contributive".
Cassazione civile, sez. lav., 09/09/2015, n. 17838
L'art. 8, comma 4, della l. n. 223 del 1991 prevede il beneficio della decontribuzione in favore del datore di lavoro che, "senza esservi tenuto", assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, al fine di incentivare le assunzioni dei lavoratori espulsi dal mercato del lavoro e presuppone la creazione di nuovi posti per esigenze proprie dell'azienda, in assenza di un obbligo all'assunzione, sicché l'agevolazione non compete nelle ipotesi di automatico trasferimento dei rapporti di lavoro subordinato, esistenti al momento della cessione, effettuato ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., senza soluzione di continuità, in capo al cessionario.
Cassazione civile, sez. lav., 08/08/2012, n. 14247
L'art. 8, comma 4, della legge n. 223 del 1991 concede il beneficio della decontribuzione al datore di lavoro che, "senza esservi tenuto ai sensi del comma 1", assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, sicché l'agevolazione compete anche nei casi in cui chi assume i lavoratori in mobilità vi sia tenuto, purché l'obbligo di assunzione non discenda dalla previsione del comma 1 dell'art. 8, attinente al diritto di precedenza nell'assunzione dei lavoratori licenziati presso la medesima azienda. Ne consegue che, in caso di trasferimento di azienda che non si risolva in operazione puramente fittizia preordinata all'indebita fruizione del beneficio, questo spetta al cessionario che assuma i lavoratori collocati in mobilità dal cedente, non essendo egli tenuto ad osservare l'obbligo di precedenza nelle assunzioni prescritto al comma 1 dell'art. 8, ma solo ad assumere i lavoratori ancora in forza presso l'azienda cedente.
Cassazione civile, sez. lav., 02/07/2015, n. 13583
4.1. La Corte d'Appello ha affermato la sussistenza di un'unica compagine proprietaria, in grado di compiere un'operazione coordinata di ristrutturazione, in ragione di una sostanziale coincidenza dell'assetto proprietario, atteso che, nella specie, anche in presenza di differenziazioni nella compagine del capitale, poteva presumersi una proprietà sostanzialmente comune considerato che i soci ( S. e A.) facevano parte dello stesso nucleo familiare.
4.2. La L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4-bis, ha lo scopo di ostacolare le operazioni messe in atto esclusivamente per lucrare fraudolentemente e indebitamente le agevolazioni contributive ed economiche previste dal legislatore al fine di facilitare il collocamento dei lavoratori coinvolti da provvedimenti di riduzione di personale, nonchè di evitare che i benefici relativi a dette agevolazioni finissero per incentivare operazioni coordinate di ristrutturazione produttiva, che pur eventualmente non giustificate esclusivamente dall'intento di lucrare il beneficio di legge, fossero impropriamente influenzate da tale prospettiva, determinando così un'utilizzazione dei benefici in questione per finalità ben diverse da quelle per cui essi sono stati concepiti e calibrati nella loro particolare consistenza.
La corresponsione dei benefici è, quindi, condizionata alla inesistenza di assetti proprietari sostanzialmente coincidenti fra l'impresa che licenzia e quella che assume, così come alla inesistenza di un rapporto di collegamento o controllo.
Per "assetti proprietari sostanzialmente coincidenti" possono ritenersi tutti quelli che facciano presumere la presenza di un comune nucleo proprietario, in grado di ideare e fare attuare un'operazione coordinata di ristrutturazione, comportante il licenziamento di taluni dipendenti da una azienda, e la loro assunzione da parte dell'altra (Cass., sentenza n. 9532 del 2002, sentenza n. 8988 del 2008, ordinanza n. 16288 del 2011).
Gli assetti proprietari sostanzialmente coincidenti sono, pertanto, qualcosa di diverso rispetto al concetto di proprietà, avendo il legislatore volutamente utilizzato una espressione atecnica che facesse riferimento a tutte le ipotesi in cui l'impresa che assumeva non fosse del tutto estranea a quella che aveva licenziato.
La norma richiede quindi una indagine sostanziale, per cui quando l'impresa presenti un assetto proprietario sostanzialmente coincidente - nel senso sopra indicato - implicando ciò un collegamento o controllo con l'impresa precedente, il rapporto di lavoro non viene considerato nuovo agli effetti contributivi.
Si tratta di indagine in fatto, mediante la quale il giudice accerta se tra impresa che ha proceduto al licenziamento e impresa che ha assunto la forza lavoro, sussista o meno una sostanziale diversità (Cass., n. 2164 del 2009).
4.3. Orbene, nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato, con motivazione adeguata, l'esistenza di elementi di continuità fra gli assetti proprietari, intesi nel predetto senso atecnico, concludendo per la non spettanza dei benefici contributivi richiesti.
Ed infatti la circostanza del rapporto di coniugio tra la socia/amministratore S. dell'una società e il socio A. dell'altra società, la presenza in entrambe le società dell'altro socio della Natura Nova, il numero ridotto dei soci, offre argomenti adeguati alla statuizione adottata.
4.4. Con riguardo alla decisione sul requisito temporale, analogamente, congrua e corretta è la decisione della Corte d'Appello circa il governo dell'onere della prova, atteso che grava sull'impresa che intende far valere in giudizio il diritto ai benefici contributivi, in deroga all'ordinario obbligo contributivo, l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., la sussistenza dei relativi requisiti, e ciò anche mediante la dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o di fatti dai quali trarre presunzioni circa la insussistenza del fatto negativo (Cass., n. 5427 del 2002; n. 18487 del 2003; n. 23229 del 2004). Nella specie, la determinazione del lasso di tempo tra licenziamento ed assunzione si è avvalsa delle attestazioni del libro matricola, non contestate dall'odierna ricorrente, che si è limitata a richiamare il verbale ispettivo, che indicava solo la seconda data (di assunzione) e non la prima, peraltro, come accertato, risultante dal libro matricola.