Il criterio di calcolo dell'indennità di buonuscita dei dipendenti pubblici, e la nozione di retribuzione contributiva da utilizzare ai fini del calcolo dell'indennità
L’art. 4 comma 1 della l. n. 152/1968, che prevede l’indennità di buonuscita, stabilisce che “Per i casi di cessazione dal servizio che si verifichino a partire dall'entrata in vigore della presente legge, l'indennità premio di servizio, prevista dagli artt. 2 e 3, sarà pari a un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi, considerata in ragione dell'80 per cento ai sensi del successivo art. 11, per ogni anno di iscrizione all'Istituto..”.
L’art 11, comma 3 della medesima legge definisce la retribuzione contributiva, sulla base della quale si calcola l’indennità di cui all’art. 4, nei termini seguenti “La retribuzione contributiva è costituita dallo stipendio o salario comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte integrante ed essenziale dello stipendio stesso…”.
La Suprema Corte di Cassazione, chiamata più volte a stabilire in concreto se talune voci della retribuzione corrisposta ai dipendenti della PA fossero da ricomprendere o meno nella retribuzione contributiva ai fini del calcolo dell’indennità di cui all’art. 4 della l. n. . 152/68 ha fornito, di tale retribuzione contributiva, un’interpretazione restrittiva enunciando il principio secondo cui “l'indennità premio di servizio, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall'art. 11, comma 5, della legge medesima, la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione "stipendio o salario" richiede un'interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici di anzianità, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura”(sulla base di tale principio, Cass n. 176/2013 ha ritenuto che “non possono assumere rilievo, ai fini della determinazione della suindicata indennità, gli incrementi dell'indennità di qualificazione professionale e valorizzazione delle responsabilità (art. 45 c.c.n.l. Comparto Sanità 1994 - 1997), in quanto detta indennità non fa parte degli emolumenti specificamente indicati dalla norma e i relativi incrementi non possono considerarsi come componente dello stipendio” e Cass 18999/2010 ha escluso dal computo “le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori, in quanto tali competenze non fanno parte degli emolumenti specificatamente indicati dalla norma e non possono essere considerate come componenti fisse dello stipendio, avendo l'amministrazione la facoltà di porre fine all'assegnazione delle mansioni superiori”.
Non pare, poi, diversamente da quanto ritenuto da alcuni giudici di merito (cfr. Corte di Appello di Firenze n. 1560 del 14.11.2006) che i contratti collettivi possano (o, meglio, potessero) derogare alla disciplina dell’indennità di buonuscita in quanto si tratta di una prestazione di natura previdenziale regolata per legge che non ha alcuna attinenza con la disciplina del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione ed in quanto è solo con riguardo alla disciplina del rapporto di lavoro che l’art. 2 del d.lgs. n. 165/01 dispone(va) che “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”.
D’altronde, diversamente opinando, si finirebbe per consentire alle fonti collettive di incidere pesantemente sul bilancio dello Stato includendo o escludendo determinate voci dalla base di computo di un’indennità il cui onere grava sulla collettività.
L’indennità di buonuscita, poi, ha una natura ed un meccanismo di computo profondamente diversi dal T.F.R. in quanto, mentre la prima non è correlata alla effettiva retribuzione percepita dal lavoratore nel corso della vita lavorativa (calcolandosi solo sulla base della retribuzione - contributiva - dell’ultimo anno), il T.F.R. si calcola, anno per anno, sulla base della retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore secondo il criterio dell’omnicomprensività.
Il che significa anche che, mentre il principio dell’omnicomprensività di cui all’art. 2120 c.c. appare giustificato quanto al calcolo del TFR, trattandosi di un trattamento legato all’effettiva retribuzione percepita dal lavoratore nel corso dell’intera vita lavorativa, la diversa modalità di computo dell’indennità di buonuscita, basandosi sulla retribuzione dell’ultimo anno e non essendo correlata all’effettiva retribuzione percepita dal dipendente nel corso del rapporto di lavoro, rende del tutto ragionevole la differente scelta del Legislatore di individuare con precisione gli elementi costitutivi della retribuzione da prendere in considerazione nella base di computo ed altrettanto logica e condivisibile l’interpretazione restrittiva della nozione di retribuzione contributiva abbracciata dalla Suprema Corte e di cui si è dato sopra conto.