La Suprema Corte, con la recente sentenza n 24202 del 16 novembre 2009, ha dichiarato la legittimità del provvedimento regolamentare che ha implicitamente abrogato l'art 21 della legge n 576 del 1980 nell'introdurre la pensione contributiva ritenendo che si tratti di un provvedimento rientrante nell'ambito della sfera di poteri normativi riconosciuti dall'art. 3 comma 12 della L. n. 335/1995 agli enti previdenziali privatizzati. In particolare la Suprema Corte ha osservato come l'esclusione della restituzione dei contributi si correli con la scelta della Cassa, consentita dall'art. 3 comma 12 della L. n. 335 del 1995, di optare per il sistema contributivo. Nella medesima sentenza, però, la Suprema Corte ha ribadito con forza il proprio precedente orientamento secondo cui i provvedimenti che gli enti previdenziali sono legittimati ad adottare sono soltanto quelli elencati all'art. 3 comma 12 della L. n. 335/1995 e come i limiti individuati da tale articolo costituiscano parametro per valutare la legittimità degli atti d'autonomia regolamentare posti in essere dalla casse di previdenza dei liberi professionisti. La Suprema Corte ha anche ritenuto di precisare che un chiaro limite individuato dall'art. 3 comma 12 della L. n. 335/1995 è quello del pro rata da intendersi nel medesimo senso in cui è stato previsto dall'art. 1 comma 12 per la generalità dei lavoratori. Ciò significa, secondo la Corte, che, in caso di innovazioni concernenti le modalità di calcolo della pensione, la stessa dovrà calcolarsi in quote delle quali la prima da liquidarsi in base alla normativa previgente e la seconda con le nuove regole introdotte per via regolamentare. Così facendo la Corte prende esplicitamente le distanze dal proprio precedente n 14701/2007 qualificato espressamente come privo di qualsivoglia supporto giuridico.
Con la sentenza ora denunciata, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense contro la sentenza del Tribunale della stessa sede - che aveva accolto la domanda, proposta da (…) contro la Cassa, per ottenere declaratoria del proprio diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici (ai sensi dell’articolo 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576. Riforma del sistema previdenziale forense), avendo compiuto sessantacinque anni ed “intenzione di cancellarsi dall’albo” senza essere in possesso del requisito contributivo per l’accesso alla pensione (di trenta anni di contributi, avendone soltanto ventisei) rigettava la domanda - pur confermando il riconoscimento della sussistenza dell’interesse ad agire per l’accertamento del diritto alla restituzione dei contributi, “ancora prima di dare corso alla cancellazione (dall’albo)” - in base, essenzialmente, ai rilievi seguenti:
- “l’interesse ad agire con un azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della lesione di un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza del diritto”;
- è ben vero, infatti, che la legge (articolo 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576) “assicurava al solvens - una volta cancellatosi dalla Cassa senza avere maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione - di ottenere la restituzione di quanto pagato con l’aggiunta degli interessi (…)”;
- tuttavia “la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, al pari di altre casse è stata oggetto di un processo di privatizzazione, iniziato con la legge delega n. 537 del 1993 ed il decreto legislativo n. 509 del 1994 ha poi provveduto alla trasformazione dell’ente pubblico Cassa forense, istituto con la legge n. 6 del 1952, in una fondazione di diritto privato munita di autonomia gestionale, contabile e organizzativa;
- “ciò significa - evidentemente - che essi hanno potestà autonome, tranne in determinate materie per le quali è prevista una riserva di legge (vedi la composizione degli organi collegiali e l’obbligo di iscrizione e contribuzione:
articolo 1, comma 4, lettera a, articolo 3, comma 4, articolo 1, comma 3, decreto legislativo n. 509/94), ergo, nelle altre materie, quale quella che ci occupa, è possibile disporre in deroga alla legge, risultando modificati gli strumenti di gestione dell’ente per effetto della trasformazione ed assunzione della personalità di diritto privato”;
- “in siffatto contesto, appare pertanto immune da censure la modifica introdotta con l’articolo 4 del regolamento, che ha disposto l’impossibilità di ripetizione dei contributi versati non utilizzabili a fini pensionistici, la quale trova giustificazione e contemperamento in relazione alla previsione della pensione contributiva, nella cui base di calcolo vengono considerati tutti i contributi inutilmente versati”;
- infatti l’articolo 4 del regolamento della Cassa (nel nuovo testo risultante dalla delibera del 28 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati, ai sensi dell’articolo 2, commi 25 e 26, della legge n. 335 del 1995, ed approvata dai Ministeri vigilanti) “non si è limitato a stabilire tout court la non restituibilità” dei contributi versati, ma ha collegato tale aspetto alla maturazione, dopo solo cinque anni di contribuzione ed al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, del diritto a pensione, in tal modo adeguando la previdenza forense al sistema contributivo, da ritenersi, alla stregua della legge n. 335/95, come modello base per tutti coloro che abbiano versato tra i cinque ed i trent’anni di contributi”;
- il risultato interpretativo raggiunto “si rivela - del resto - maggiormente in armonia con la ratio della legge di riforma del sistema previdenziale, la legge n. 335/95, che è quella di far sì che ogni tipo di attività abbia una propria copertura assicurativa e, quindi, proprio in linea con tale principio ispiratore, la Cassa medesima ha inteso, nell’anno 2004, sostituire al beneficio straordinario della restituzione dei contributi, previsto dalla normativa previgente, un trattamento previdenziale liquidato con il sistema contributivo”;
- d’altronde, lo stesso risultato interpretativo è coerente, altresì, con l’obiettivo dell’armonizzazione - che costituisce principio dell’intera riforma - in quanto non esiste - nel sistema delle assicurazioni sociali - un “principio generale di restituzione dei contributi legittimamente versati, in relazione ai quali non si siano verificati i presupposti per la maturazione del diritto ad una prestazione previdenziale”;
- “infine va rilevato che - a tutto concedere - opererebbe comunque, nel caso specifico, l’effetto sanante assicurato dall’articolo 1, comma 763, della legge finanziaria n. 206 del 1996 (”sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al comma 1 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della presente legge”), che non vi è ragione per ritenere non applicabile alla fattispecie oggetto della controversia, tale da rientrare a pieno titolo nella previsione di cui alla “salvezza”, che ha suscitato infondati dubbi nel primo giudice”.
Avverso la sentenza d’appello, (…) propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi ed illustrato da memoria.
L’intimata Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense resiste con controricorso e propone, contestualmente, ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.
1. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso incidentale condizionato al ricorso principale, in quanto proposti separatamente contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. Con il primo motivo del ricorso principale - denunciando (ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1 Disposizioni sulla legge in generale, R.D. 16 marzo 1942, n. 267; art. 21 della legge n. 576/1980, Riforma del sistema previdenziale forense; articolo 65 del R.D. 30 giugno 1941, n. 12) - (…) censura la sentenza impugnata per avere rigettato la domanda di accertamento del proprio diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici (ai sensi dell’articolo 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576, cit.) - “adducendo che il decreto legislativo n. 509 del 1994 di trasformazione dell’ente pubblico Cassa forense in una fondazione di diritto privato avrebbe attribuito a quest’ultima un’ampia “autonomia gestionale, organizzativa e contabile”, nel cui ambito rientra anche il potere di procedere alla soppressione di una norma di legge statuale, quale l’articolo 21 della legge 576/1980″ - sebbene inducesse ad opposta decisione, essenzialmente, “l’attuale vigenza” della stessa norma di legge (articolo 21 della legge 576/1980, appunto), affermata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione dopo la privatizzazione della Cassa (vedine le sentenze n. 10458/98, 3921 e 10190/2002, 5098/2003, 2392/2005) - dalla cui uniforme interpretazione (ai sensi dell’articolo 65 del R.D. 30 giugno 1941, n. 12 cit.), quindi, si discosta la sentenza impugnata - formulando, quindi, il quesito di diritto seguente:
“Dica la Corte se, anche dopo l’emanazione del D.lgs. 509/94 e della legge 335 del 1995 di riforma eterogenea rispetto a quella riconducibile alla cassa forense), il professionista, in caso di cancellazione dall’albo forense in epoca antecedente alla maturazione dei requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, abbia diritto - alla luce del non equivoco significato letterale del combinato disposto degli artt. 10 e 21 della legge n. 576 del 1980 - al rimborso di tutti i contributi soggettivi versati (e cioè, oltre a quello corrispondente al dieci per cento per i redditi fino a lire quaranta milioni, anche a quello corrispondente al tre per cento del reddito eccedente quella cifra), senza che rilevi la circostanza della anteriorità o meno alla privatizzazione (ed alla successiva trasformazione della Cassa in fondazione ex D.lgs 509/94 cit) della fattispecie oggetto del giudizio”.
Con il secondo motivo - denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 4 Disposizioni sulla legge in generale, R.D. 16 marzo 1942, n. 267; art. 21 della legge n. 576/1980, Riforma del sistema previdenziale forense), nonché vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.) - il ricorrente principale censura la sentenza impugnata - per avere rigettato la domanda di accertamento del proprio diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici del beneficio da parte della legge” (articolo 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576 cit.) - sebbene inducessero ad opposta decisione, essenzialmente, le circostanze e le considerazioni seguenti:
- “ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, la trasformazione in persona giuridica privata della Cassa forense non ha abrogato, né modificato la disciplina dei rapporti attivi e passivi facenti capo alla stessa Cassa; pertanto, in difetto di abrogazione per altro titolo, è tuttora in vigore la legge 20 settembre 1980, n. 576″ (così, testualmente, cass. 7 febbraio 2005 n. 2392);
- nell’esercizio della propria “autonomia gestionale, organizzativa e contabile” la Cassa può, bensì, “regolamentare con lo statuto l’organizzazione e la vita dell’ente” (come ritenuto da Corte Cost. n. 15 del 5 febbraio 1999), ma non può, tuttavia. “sopprimere il diritto autonomamente attribuito dalla legge all’iscritto”;
- inoltre i regolamenti - di qualsiasi autorità - “non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge” art. 4 1° e 2° comma r.d. 16 marzo 1942, n. 267 cit.);
- dottrina e giurisprudenza, poi, “concordemente affermato il principio, (secondo cui) si ha delegificazione in senso tecnico (ai sensi dell’articolo 17, comma 2, legge 23 agosto 1988, n. 400) allorché la legge, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare da parte di organi diversi dal potere legislativo, determini le norme generali regolatrici della materia e disponga (essa legge) l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dalla entrata in vigore delle norme regolamentari”;
- formula, quindi, il quesito di diritto seguente:
“Dica la Corte de il D.lgs. 509/94, nell’abilitare gli enti privatizzati ad operare “in condizioni di autonomia gestionale, organizzativa e contabile”, abbia implicitamente concesso ad essi il potere di incidere su di una posizione di diritto soggettivo quesito, escludendo l’operatività di un beneficio riconosciuto all’iscritto ex lege e così abrogando ipso facto la fonte normativa primaria espressamente ricognitiva di quel diritto; se, cioè, la trasformazione in persona giuridica della cassa forense abbia abrogato o modificato la disciplina dei rapporti attivi e passivi facenti capo alla stessa cassa, ovvero se, in difetto, di efficace e legittima abrogazione (da successivo intervento di altra fonte primaria: in difetto, cioè, di un esplicito intervento legislatore), risulti tuttora vigente il plesso normativo di cui ala combinato disposto dell’art. 10 e 21 della legge 576/80, atteso che, opinando in senso diverso, risulterebbe altresì violata la disposizione, di cui all’art. 4 primo e secondo R.D. 267/1942. a mente della quale i regolamenti (anche “di altre autorità”) non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di “legge”.
Con il terzo motivo - denunciando violazione e falsa applicazione dei principi di diritto in materia di abrogazione della legge, nonché vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.) - il ricorrente principale censura la sentenza impugnata - per avere rigettato la domanda di accertamento del proprio diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici, che si basa su espressa previsione di legge (articolo 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576, cit.) - sebbene la disposizione stessa non possa ritenersi abrogata dal principio di armonizzazione o da altri principi ispiratori della sopravvenuta riforma del sistema previdenziale (legge n. 335 del 1995) - in quanto la riforma stessa, come la sentenza impugnata ammette, “riguarda la realtà previdenziale esterna alla Cassa forense” - Formulando, quindi il quesito di diritto seguente:
“Dica la Corte se il sistema normativo italiano, fondato (a differenza degli ordinamenti di common law) sul criterio della legislazione “per fattispecie”, sia compatibile con un ipotetico effetto abrogativo di una legge primaria in conseguenza di una pretesa individuazione e applicazione di “clausole e principi generali” ispiratori di una legge diversa (nella specie, la legge 335 del 1995, destinata all’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici) ed estranea alla normativa destinata a disciplinare la specifica materia previdenziale forense”.
Con il quarto motivo - denunciando (ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.) violazione falsa applicazione di norme di diritto (art. 1) - il ricorrente principale censura la sentenza impugnata - per avere ritenuto che, in relazione alla delibera del Comitato dei delegati della Cassa (del 28 febbraio 2004), “opererebbe (…) l’effetto sanante assicurato dall’articolo 1, comma 763, della legge finanziaria n. 206 del 1996 (”sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al comma 1 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della presente legge”) - sebbene lo stesso effetto sanante non possa salvare le delibere - che, come nella specie, “abbiano inciso su una disposizione di legge speciale attribuita al privato di un diritto soggettivo perfetto” - formulando, quindi, il quesito di diritto seguente:
Dica la Corte se, sulla delibera assunta dal comitato dei delegati della cassa forense volta all’abrogazione dell’art. 21 della legge 576/1980, possa operare un preteso effetto sanante di cui all’art. 1 comma 763 della legge 206/2006 (legge finanziaria per l’anno 2006) ovvero se tale effetto sanante sia destinato a risolversi nel mero ampliamento temporale entro cui la cassa era stata chiamata a salvaguardare l’equilibrio finanziario dell’ente, così restando salvi, del tutto eccezionalmente, i soli atti e le sole deliberazioni non conformi ai criteri temporali introdotti dalla norma di legge de qua, inidonea per altro verso ad incidere sulle delibere aventi tutt’altro oggetto (inidonee, in particolare, ad incidere su di una disposizione di legge speciale attributiva al privato di un diritto soggettivo perfetto)”.
All’esito dell’esame congiunto - suggerito dalla reciproca concessione logico giuridica - i primi quattro motivi del ricorso principale risultano infondati.
2.1. Invero il governo è stato delegato (con l’articolo 1, commi 32 e 33, lettera a), punto 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, Interventi correttivi di finanza pubblica) - per quel che qui interessa - “ad emanare uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti pubblici di previdenza e assistenza”, attenendosi, tra l’altro, al principio e criterio direttivo seguente:
“privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti”.
2.2. In attuazione della delega, la legge delegata (decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) ribadisce, coerentemente, sia la trasformazione in associazioni o fondazioni con deliberazione dei competenti organi (articolo 1, comma 1) degli “enti di cui all’elenco A allegato” (quale la Cassa nazionale di previdenza e assistenza avvocati) - contestualmente subordinata alla “condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario”, ed esplicitamente sottolineando la continuità della loro collocazione nel sistema, quali enti senza scopo di lucro con personalità giuridica di diritto privato, titolari dei rapporti attivi e passivi dai corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni, deputati a svolgerne le “attività previdenziale e assistenziali ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione” - sia la loro autonomia organizzativa, amministrativa e contabile (art. 2) - “nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolte” - e con l’obbligo di “assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico”.
In ragione della mutata veste giuridica e della permanente natura pubblica dell’attività, tuttavia, alla prospettata autonomia degli enti previdenziali privatizzati fanno risconto un articolato sistema di poteri ministeriali di controllo sui bilanci e d’intervento sugli organi di amministrazione ed una generale funzione di controllo sulla gestione da parte della Corte dei conti (articolo 3), nonché il controllo politico della Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale (istituita con l’articolo 56 della legge 09 marzo 1989, n. 88, Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro).
2.3.Ne risulta, quindi, che la prevista “trasformazione (in persone giuridiche private, appunto) ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l’obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale” (così, testualmente Corte Costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997), oltre che del principio di autofinanziamento (vedi Corte Cost. n. 340 del 24 luglio 2000).
Coerentemente, “la garanzia dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile degli enti privatizzati, che costituisce un principio direttivo della delega, non attiene tanto alla struttura dell’ente quanto piuttosto all’esercizio delle sue funzioni” e, comunque, non esclude “l’eventuale indicazione di limiti entro i quali l’autonomia debba essere esercitata” (così, testualmente, Corte Costituzionale n. 15 del 5 febbraio 1999).
2.4. Ne risulta, per quel che qui interessa, una sostanziale delegificazione - affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti (vedi, per tutte, Cass. n. 28829 del 19 dicembre 2008, sia pure con riferimento a delegificazione affidata all’autonomia collettiva, nel rapporto contributivo, ferma restando, tuttavia, l’obbligatorietà della contribuzione e del rapporto contributivo - ferma restando, tuttavia, l’obbligatorietà della contribuzione e del rapporto previdenziale, concernente le prestazioni a carico degli stessi enti, anche in deroga a disposizioni di legge precedenti.
Al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie, tuttavia, gli atti di delegificazione ne investe il rispetto, da un lato, dei limiti imposti alla autonomia degli enti - dal quale dipende la loro idoneità a realizzare l’effetto perseguito, di abrogare, appunto, o derogare disposizioni di legge (vedi Corte Cost. 1 dicembre 2006, n. 401, sia pure con riferimento a delegificazione affidata a disposizioni regolamentari), e dall’altro, dei limiti costituzionali, in funzione della (eventuale) caducazione degli atti medesimi (art. 1418 e 1324 c.c.) per contrasto con norma imperative (vedi Cass. n. 15135/04, sia pure con riferimento a delegificazione affidata all’autonomia collettiva, nel rapporto di impiego pubblico privatizzato).
Lo stesso sindacato giurisdizionale, circa il rispetto dei limiti imposti all’autonomia degli enti, appunto, e dei limiti costituzionali - investe (anche gli atti di delegificazione, posti in essere dagli enti sulla base della legislazione successiva.
2.5. Intanto la disposizione (articolo 3, comma 12, legge 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che costituisce base giuridica e parametro di legittimità dell’articolo 4 del regolamento della Cassa (nel nuovo testo risultante dalla delibera del 28 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati, ai sensi dell’articolo 2, commi 25 e 26, della legge n. 335 del 1995, ed approvata dai Ministeri vigilanti), applicabile ratione temporis alla dedotta fattispecie - sancisce testualmente:
“Nel rispetto dei principio di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione del coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti. Nei regimi pensionistici gestiti dai predetti enti, il periodo di riferimento per la determinazione della base pensionabile è definito, ove inferiore, secondo i criteri fissati all’art. 1, comma 17, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostituitive e al medesimo art. 1, comma 18 per gli altri enti. Ai fini dell’accesso ai pensionamenti anticipati di anzianità, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 1, commi 25 e 26 per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostituive, e al medesimo art. 1, comma 28, per gli altri enti. Gli enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge”.
2.6. Ne risultano, quindi, richiamate le disposizioni (di cui all’articolo 2 decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 cit. spec.commi 1 e 2), ribadendone i principi di autonomia e lo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio degli enti previdenziali privatizzati.
In coerenza con le indicazioni risultanti dal bilancio tecnico (funzionali alla garanzia di stabilità delle gestioni, da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni), poi, gli stessi enti risultano contestualmente abilitati ad adottare - “nel rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianità già maturate” - provvedimenti di “variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione del coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”.
2.7. Ora il principio del pro rata - come questa Corte ha già avuto occasione di ritenere (vedi la sentenza n. 2240 del 25 novembre 2004) - non può che essere inteso nel senso enunciato (dall’articolo 1, comma 12, della stessa legge 8 agosto 1995, n. 335, cit), laddove - con riferimento specifico ai lavoratori (iscritti all’assicurazione generale obbligatoria ed a forme sostitutive ed esclusive della stessa e) soggetti, nel passaggio da sistema retributivo al sistema contributivo di calcolo della pensione, ad entrambi i sistemi (cioè ai lavoratori che possono far valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni) - stabilisce che, in tale caso, “la pensione è determinata dalla somma: a) della quota di pensione - corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 (cioè, alla entrata in vigore del sistema contributivo) - calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data; b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo”.
Analogamente, i lavoratori iscritti ad enti previdenziali privatizzati - nel caso di successione, durante il periodo dell’iscrizione, di sistemi diversi di calcolo della pensione - hanno, quindi, diritto - in ossequio, appunto, al principio del pro rata - ad altrettante quote di pensione, da calcolare - in relazione a ciascun periodo dall’anzianità maturata - secondo il sistema, rispettivamente, in vigore.
La Corte - così decidendo - consapevolmente si discosta dal proprio precedente in senso contrario (Cass. n. 14701 del 25 giugno 2007), che - trascurando la prospettata normativa di fonte legislativa - perviene alla conclusione - che non pare, tuttavia, sorretta da alcuna base giuridica - secondo cui il principio del pro rata “deve intendersi fatto dal legislatore con riferimento ai parametri suscettibili di frazionamento nel tempo e di separata valutazione in relazione ai periodi temporali di vigenza di diverse normative” con la conseguenza che non sarebbe “applicabile al sistema di calcolo della pensione, che non è suscettibile di frazionamento, (in quanto) può avvenire esclusivamente al momento dell’accoglimento della domanda di pensionamento e deve essere eseguito secondo le norme in vigore in quel momento”.
2.8. Ne risultano, peraltro, contestualmente definiti i tipi di provvedimento (di variazione aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento, appunto, o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico), che gli enti previdenziali privatizzati sono abilitati ad adottare.
La riconducibilità del provvedimento, in concreto adottato, ad uno dei tipi previsti - che sembrano costituire un numerus clausus, quindi, con il rispetto del principio del pro rate, ad integrare i limiti imposti all’autonomia - contestualmente riconosciuta - agli enti previdenziali privatizzati (in tal sensi, vedi Cass. n. 2240 del 25 novembre 2004 cit.).
2.9. Rispettosa dei limiti - imposti all’autonomia degli enti - risulta, tuttavia, la disposizione (intitolata Restituzione dei contributi e pensione contributiva) - adottata nell’esercizio dell’autonomia ed applicabile, ratione temporis, alla dedotta fattispecie (articolo 4 del regolamento della Cassa, nel nuovo testo risultante dalla delibera del 287 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati, ai sensi dell’articolo 2, commi 25 e 26, della legge n. 335 del 1995, ed approvata dai Ministeri vigilanti, cit.) - che sancisce testualmente:
“1. Tutti i contributi versati legittimamente alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense non sono restituibili all’iscritto o ai suoi aventi causa, ad eccezione di quelli relativi agli anni di iscrizione dichiarati inefficaci ai sensi dell’art. 22 ultimo comma L. N. 576/80.
2. Gli iscritti che abbiano compiuto il 65° anno di età e maturato più di cinque anni ma meno di trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e che non si siano avvalsi dell’Istituto della ricongiunzione ovvero della totalizzazione, hanno diritto a chiedere la liquidazione di una pensione calcolata con il criterio contributivo, salvo che intendano proseguire nei versamenti dei contributi al fine di raggiungere una maggiore anzianità o maturare prestazioni di tipo retributivo.
3. La pensione contributiva decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.
4. Il calcolo della pensione contributiva e effettuato secondo i criteri previsti dalla Legge 335/95 e successive modificazioni in rapporto al montare dei contributi soggettivi versati entro il tetto reddituale di cui all’art. 10 comma 1 lett. a) della Legge n. 576/80, nonché delle somme corrisposte a titolo di riscatto o di ricongiunzione, con esclusione del diritto alla pensione minima garantita. (…)”.
2.10. Fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la disposizione in esame (comma 2) - sulla falsariga di quanto stabilito, per l’assicurazione generale obbligatoria e le forme sostitutive ed esclusive della stessa (dall’articolo 1, comma 23 in relazione ai commi 12 e 13, della legge n. 335 del 1995 cit.) - introduce la facoltà di optare - per la liquidazione del trattamento pensionistico con le regole del sistema contributivo - stabilendone, contestualmente, i requisiti - meno rigorosi e, perciò, di maggior favore per gli iscritti - e mutandone (comma 4) i criteri di calcolo (dalla stessa legge n. 335 del 1995 cit.).
Evidente ne risulta, quindi, non solo la riconducibilità ad uno dei tipi di provvedimento previsti dalla legge - e, segnatamente, al criterio di determinazione del trattamento pensionistico, con riferimento alla pensione contributiva istituita contestualmente (immutato restando, invece, il regime della pensione retributiva) - ma anche il rispetto del principio del pro rata.
La permanente applicazione del sistema retributivo si coniuga, infatti, con il riconoscimento agli iscritti - in relazione alla medesima anzianità pregressa - della ulteriore facoltà di optare - a condizioni, appunto, di maggior favore - per la pensione contributiva.
Né sembrano configurabili violazioni di principi costituzionali.
2.11. Coerente con la facoltà di optare per il sistema contributivo (se non, addirittura, corollario di essa) - in quanto comporta, all’evidenza, un palese ampliamento dell’area di utilizzabilità a fini pensionistici dei contributi versati legittimamente alla Cassa (estendendola, appunto, alla pensione contributiva) risulta, poi, la previsione contestuale (comma 1 dello stesso articolo 4 del regolamento della Cassa, cit.) della non restituibilità dei contributi medesimi.
Al pari della opzione per il contributivo, la previsione della non restituibilità del contributi risulta, quindi, rispettosa dei prospettati limiti - all’autonomia degli enti previdenziali privatizzati - e, come tale, idonea ad abrogare - tacitamente - la contraria previsione di legge (di cui all’articolo 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576. Riforma del sistema previdenziale forense) del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili ai fini pensionistici (sul punto, vedi, per tutte, Cass. n. 5098/03, 10458/98).
La stessa coerenza con la facoltà di optare per il sistema contributivo, tuttavia, concorre - con regola generale della inesistenza di un diritto alla restituzione di contributi previdenziali legittimamente versati ed il carattere affatto eccezionale, che ne consegue, della (eventuale) previsione di tale diritto (in tal senso, vedi Corte cost. 439/2005, 404/2000; Cass. 13382/2001, 1839 16259/2004) - a sostegno della esclusione di qualsiasi contrasto - con al costituzione - per la previsione di non restituibilità dei contributi medesimi (di cui al comma 1 dell’articolo 4 del regolamento della Cassa cit.)
Non ne risulta, invero, la lesione di diritti quesiti - in quanto presuppone la loro maturazione, prima del provvedimento ablativo (vedi, per tutte, Corte cost. n. 446/2002 e giurisprudenza ivi citata) - né di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica, che sembrano costituzionalmente garantiti in prossimità della loro maturazione (oltre la sentenza testè citata, vedi, per tutte Corte Cost. n. 882/88, 573/90, 39/93, 6 e 16/94, 50 e 432/97, 525/2000; vedi, altresì Corte giust. 10 settembre 2009, in causa n. 201/08, e giurisprudenza ivi citata).
Infatti la previsione della non restituibilità dei contributi legittimamente versati (di cui al comma 1 dell’articolo 4 del regolamento della Cassa cit.) risulta coerente, da un lato, con la regola generale - nel medesimo senso - e, dell’altro, con la previsione contestuale della facoltà di optare - a condizioni di maggior favore - per il sistema contributivo di calcolo della pensione.
Tanto basta per rigettare - perché infondati - i primi quattro motivi del ricorso principale.
2.12. La ritenuta validità della disposizione - applicabile, ratione temporis, alla dedotta fattispecie (articolo 4 del regolamento della Cassa, cit.) - all’evidenza, priva di qualsiasi rilievo l’argomentazione - addotta, dalla sentenza impugnata, ad ulteriore sostegno della stessa conclusione - secondo cui ” opererebbe comunque, nel caso specifico, l’effetto sanante assicurato dall’articolo 1, comma 763, della legge finanziaria n. 206 del 1996 (”sono fatti salvi e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al comma 1 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della presente legge”), che non vi è ragione per ritenere non applicabile alla fattispecie oggetto della controversia, tale da ritenere a pieno titolo nelle previsioni di cui alla “salvezza”, che ha suscitato infondati dubbi nel primo giudice”.
Parimenti irrilevante - al fine della decisione del ricorso - risultano, di conseguenza, le censure che investono (nel quarto motivo principale) tale argomentazione.
La Corte è, perciò, dispensata da qualsiasi scrutinio circa la loro fondatezza.
In particolare, priva di rilievo pare, tra l’altro, la verifica se le censure medesime possano risultare fondate - alla luce della ratio decidendi di recente sentenza della Corte costituzionale (n. 263 del 2009) - laddove - a sostegno della declaratoria di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione (articolo 1, comma 763, della legge n. 206 del 1996, cit.), intesa nel senso proposto dalla sentenza ora impugnata - ritiene “interpretazione di per sé suscettibile di eliminare in radice il dubbio di costituzionalità” - ma non sperimentata, tuttavia, da parte del giudice rimettente - l’interpretazione (proposta da giurisprudenza di merito) secondo cui “far salvo un provvedimento significa che esso non perde efficacia per effetto della nuova norma di legge, ma non che esso è anche conforme a legge”, con la conseguenza che “gli atti e provvedimenti adottati dagli enti prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 3, comma 12, della legge 335 del 1995 rimangono efficaci e la loro legittimità dovrà essere vagliata alla luce del vecchio testo di detta norma “.
2.13. Il ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato - nel merito - sulla base del principio di diritto seguente:
Gli enti previdenziali privatizzati - nell’esercizio della propria autonomia, che li abilita ad abrogare o derogare disposizioni di legge - possono adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, provvedimenti (quale, nella specie, l’articolo 4 del regolamento della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nel nuovo testo risultante dalla delibera del 28 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati, ai sensi dell’articolo 2, commi 25 e 26, della legge n. 335 del 1995, ed approvata dai Ministeri vigilati), che - fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione - introducono la facoltà di optare per il sistema contributivo, a condizioni di maggior favore per gli iscritti, ed - in coerenza con la stessa facoltà di opzione, che comporta l’ampliamento dell’area di utilizzabilità a fini pensionistico dei contributi legittimamente versati - stabiliscono la regola della non restituibilità dei contributi medesimi - tacitamente abrogando la previsione in senso contrario, affatto eccezionale, di precedente disposizione di legge (quale, nella specie, l’articolo 21 della legge 20 settembre 1980 n. 576, Riforma del sistema previdenziale forense) - in quanto ne risulta, da un lato, il rispetto dei limiti all’autonomia degli enti (quali la previsione tassativa dei tipi di provvedimento, che gli enti sono abilitati ad adottare, ed il principio del pro rata) - dal quale dipende la idoneità dei loro atti di delegificazione e realizzare l’effetto perseguito (abrogazione, appunto, o deroga di disposizioni di legge) - e non ne derivano, dell’atro, lesioni di diritti quesiti, né di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica.
3. Parimenti deve essere rigettato - perché inammissibile - anche il quinto motivo del ricorso principale, che ripropone la questione preliminare di merito - decisa, in senso favorevole allo stesso ricorrente principale, della sentenza ora impugnata (come dalla sentenza di primo grado) -concernente l’interesse ad agire per l’accertamento del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici - in difetto della previa cancellazione dall’albo professionale - limitandosi, peraltro, a prospettare una ratio decidendi diversa, a sostegno della medesima decisione.
Il difetto evidente dell’interesse ad impugnare una decisione favorevole (vedi, per tutte, Cass. n. 14970/200), infatti, si coniuga - a sostegno dell’inammissibilità del motivo di ricorso in esame - con il rilievo che lo stesso interesse all’impugnazione costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire - sancito (dall’art. 100 c.p.c.), quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa - e, come tale, va apprezzato - in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dell’eventuale accoglimento del gravame - con la conseguenza che non può consistere - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 13373 e 12637/2008, 12952/2007) - nel “mero interesse astratto, ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata” ed investita dall’impugnazione.
Pertanto il quinto motivo del ricorso principale - come è stato anticipato - deve essere rigettato - perché inammissibile - sulla base del principio di diritto ora enunciato.
4. Il rigetto - nel merito - del ricorso comporta, poi, l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato - anche laddove censura la decisione, in senso favorevole a controparte, della stessa questione preliminare di merito, concernente l’interesse ad agire per l’accertamento del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici - sulla base del principio di diritto, enunciato - dalle sezioni unite di questa Corte vedine le sentenze n. 56456/2009 e 23019/2007) e vincolante per le sezioni semplici(art. 374, comma 3, c.p.c., nel testo sostituito dall’articolo 8 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, in vigore dal 2 marzo 2006) - nei termini testuali seguenti:
Il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni preliminari di merito, rilevabili di ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.
5. Pertanto, previa riunione dei ricorsi, deve essere rigettato il ricorso principale e dichiarato assorbito quello incidentale.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi (quali la novità della questione e le decisioni contrastanti dei giudici di merito) per compensare integralmente tra le parti le spese di questo di cassazione (art. 385, in relazione all’art. 92 c.p.c.)
Riunisce i ricorsi; Rigetta il ricorso principale; Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; Compensa integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Depositata in Cancelleria il 16.11.2009