La tutela della maternità delle libere professioniste ha trovato il primo riconoscimento normativo nella L. n. 379/1990, le cui disposizioni sono state integralmente trasfuse nel T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (d.Lgs. n. 151/2001) e, successivamente, incisivamente innovate dalla L. n. 289/2003.
In particolare, con quest’ultimo intervento legislativo, è stato introdotto un massimale all’importo dell’indennità di maternità erogabile a favore della professionista, è stato fissato l’evento parto quale momento temporale rilevante per l’individuazione del reddito per il calcolo dell’indennità di maternità ed è stato meglio precisato il reddito da prendere a base per il calcolo con il riferimento specifico al reddito da lavoro autonomo risultante dalla relativa dichiarazione fiscale.
All’esito delle menzionate modifiche normative la disciplina che ne risulta è la seguente.
E’ riconosciuta un’indennità in favore delle libere professioniste (iscritte alle Casse o agli enti di cui all’allegato 4 della legge: Cassa nazionale del notariato; Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense; Ente nazionale di previdenza ed assistenza farmacisti; Ente nazionale di previdenza ed assistenza veterinari.; Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici; Cassa nazionale di previdenza ed assistenza dei geometri liberi professionisti; Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti; Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti; Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali; Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i consulenti del lavoro; Ente nazionale di previdenza ed assistenza per gli psicologi; Ente di previdenza dei periti industriali; Ente nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei biologi; Cassa di previdenza ed assistenza a favore degli infermieri professionali, assistenti sanitarie e vigilatrici d'infanzia; Ente di previdenza ed assistenza pluricategoriale; Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «G. Amendola», limitatamente alla gestione separata per i giornalisti professionisti; Ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura, limitatamente alle gestioni separate dei periti agrari e degli agrotecnici), nella misura dei 5/12 dell’ 80% del reddito professionale dichiarato nel secondo anno antecedente alla data del parto (o alla data dell’aborto, successivo al sesto mese, o alla data dell’ingresso del bambino nel nucleo familiare in caso di affidamento o adozione).
L’erogazione dell’indennità è condizionata alla presentazione della domanda, a partire dal sesto mese della gravidanza ed entro il termine di 180 giorni dal parto, indipendentemente dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n. 3/1998 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 4344/2002).
Nel caso di aborto spontaneo o terapeutico intervenuto dopo il terzo mese delle gravidanza ma prima del sesto, l’indennità spetta nella misura di 1/12 del reddito professionale come sopra individuato.
L’indennità non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80% del salario minimo giornaliero stabilito dall’art. 1 del D.L. 29 luglio 1981, n. 402 nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo, né superiore a cinque volte l’importo minimo come sopra individuato.
L’indennità di maternità non è cumulabile con altre provvidenze eventualmente spettanti a carico di altri Istituti assicuratori e la relativa corresponsione è condizionata all’attestazione dell’inesistenza del diritto alle relative indennità.
L’indennità, come sopra sottolineato, spetta anche in favore delle professioniste che adottino o prendano in affidamento il bambino a condizione che quest’ultimo non abbia compiuto i 6 anni d’età (in caso di adozione internazionale, tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 371/2003, ha dichiarato che il vincolo dell’età anagrafica ai fini della corresponsione dell’indennità non opera).
Alla copertura degli oneri, si provvede con un contributo annuo a carico di ogni iscritto a casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti e con un contributo statale (cfr. gli artt. 78 e 83 del D.Lgs. n. 151/2001).
Le motivazioni sottostanti all’introduzione del massimale sono state quelle di evitare l’erogazione di indennità di importi incompatibili con la natura essenzialmente assistenziale dell’istituto, l’ancoraggio del reddito di riferimento per il calcolo alla data dell’evento parto anziché, come in precedenza, alla data di presentazione della domanda consegue, invece, alla necessità di non lasciare alla libera professionista la possibilità di effettuare valutazioni di convenienza economica per conseguire una provvidenza di carattere assistenziale (la libera professionista, infatti, calibrando la data di presentazione della domanda in relazione al livello dei redditi prodotti poteva trovarsi nella condizione di poter “orientare” il livello della prestazione).
La modifica concernente la specifica definizione del reddito da porre a base per il calcolo dell’indennità risolve, invece, dubbi interpretativi che avevano avuto eco giurisprudenziale in ordine alla possibilità di prendere in considerazione redditi diversi da quelli denunciati fiscalmente come redditi da lavoro autonomo ai fini del calcolo dell’indennità medesima.
In particolare, con le sentenze nn. 15222/2000, 19130/2003 e 1102/2005, la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, aveva espresso il principio secondo cui il criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste (che, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge n. 379 del 1990, era basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda) trovava applicazione a prescindere dalla forma in cui in concreto fosse esercitata l'attività professionale e, in particolare, anche quando il reddito tratto da tale attività avesse avuto natura mista, professionale e di impresa, come si verifica (traendo spunto dalla fattispecie oggetto di cognizione da parte della Suprema Corte) per la farmacista titolare di farmacia.
Con la sentenza n. 12260/2005 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro, sulla scorta delle modificazioni apportate dalla L. n. 289/2003, legge considerata avente portata interpretativa, ha integralmente rivisitato l’orientamento di cui sopra, con la conseguenza che ai fini dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste va preso in esame soltanto il reddito professionale denunciato ai fini fiscali da farmaciste titolari di farmacia come reddito da lavoro autonomo.
Altra questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione è stata quella relativa alle modalità di liquidazione dell’indennità nel caso in cui il periodo coperto da tutela (i 2 mesi antecedenti il parto ed i tre mesi successivi) si collocassero parzialmente in un periodo in cui la professionista non risultasse iscritta all’ente previdenziale.
In questo caso la Suprema Corte ha ritenuto, con sentenza n. 14814/2001, che il computo dell’indennità potesse essere effettuato frazionando l'indennità in rapporto al periodo di copertura assicurativa (identico principio è stato, peraltro, applicato in relazione all’entrata in vigore della L. n. 379/1990 nell’ipotesi in cui il periodo coperto da tutela si collocasse parzialmente prima dell’entrata in vigore della legge – si vedano in tal senso Cass. Civ. Sez. Lav. n. 612/1999 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7857/2003).
Con le pronunce citate da ultimo – le nn 612/1999 e 7857/2003 – è stato altresì precisato che la situazione tutelata dalla disciplina della maternità non è l’evento fisico del parto ma la maternità nel suo complesso compreso il periodo di puerperio.
La disciplina della maternità è stata fatta oggetto di specifica attenzione anche da parte della Corte Costituzionale che ha dilatato ampiamente l’ambito della tutela.
In primo luogo la Corte Costituzionale, con sentenza n. 3 del 1998, ha dichiarato l’infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati con riferimento agli artt. 3, 32 e 37 della Costituzione dell’art. 1 L. n. 379/1990, nella parte in cui non prevedeva l’obbligo per la libera professionista di astenersi dall’attività professionale nel periodo di copertura.
La Corte ha, invece, osservato che la tutela della funzione materna cui è ispirata la normativa di tutela della maternità: “può avvenire lasciando che la lavoratirce svolga la funzione familiare conciliandola con la contemporanea cura degli interessi professionali non confliggenti col felice avvio della nuova vita umana”.
Con un successivo intervento, sentenza n. 371/2003, la Corte Costituzionale ha esteso la tutela, in caso di adozione internazionale, anche laddove, in contrasto con quanto disposto dall’art. 72 del D.Lgs. n. 151/2001, il bambino abbia superato il limite dei sei anni d’età.
Infine la Corte Costituzionale, con pronuncia n.385/2005, ha ulteriormente esteso l’ambito di tutela in caso di affidamento, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del D.Lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non prevedono che al padre spetti in alternativa alla madre l’indennità di maternità attribuita solo a quest’ultima; e ciò sulla base dell’assorbente rilievo che: “se il fine precipuo dell'istituto, in caso di adozione e affidamento, è rappresentato dalla garanzia di una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, il non riconoscere l'eventuale diritto del padre all'indennità costituisce un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali”.