Con la sentenza n. 3319/06 che si commenta la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad affrontare, questa volta nell’ambito del sistema previdenziale dell’Inarcassa, la delicata problematica dei limiti temporali per l’esercizio della verifica della continuità dell’esercizio professionale costituente uno dei requisiti per poter conseguire i trattamenti pensionistici da parte dell’ente di previdenza.
La problematica aveva già, in particolare, interessato il sistema previdenziale della Cassa Forense ed era stata già posta all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro e a Sezioni Unite.
Con la sentenza n. 13289/2005 delle Sezioni Unite, la Suprema Corte aveva, infatti, espresso il principio per il quale sussiste un termine di decadenza quinquennale per la verifica della continuità dell’esercizio della professione, anche in relazione alla necessità di tutelare la buona fede dell’iscritto che abbia regolarmente inoltrato le proprie comunicazioni reddituali alla Cassa di Previdenza consentendo, quindi, una tempestiva verifica dei livelli delle produzioni reddituali e dei volumi d’affari.
Con la pronuncia resa nei riguardi di Inarcassa, la Suprema Corte ha integralmente confermato il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite con riferimento al sistema previdenziale della Cassa Forense, anche sulla scorta dell’identico tenore testuale delle norme che, nei rispettivi ordinamenti, disciplinano il sistema delle verifiche della continuità dell’esercizio professionale.
In particolare, con la sentenza n. 3319/2006, la Suprema Corte ha osservato come la norma di cui all’art. 21 coma sesto della L. n. 6 del 3 gennaio 1981, analoga a quella di cui all’art. 3 della L. n. 319/1975 relativa alla Cassa Forense, preveda che la Giunta esecutiva dell'Inarcassa possa provvedere periodicamente alla revisione degli iscritti con riferimento alla continuità dell’esercizio professionale nel quinquennio, rendendo inefficaci agli effetti dell’anzianità d’iscrizione i periodi per i quali, entro il medesimo termine, detta continuità non risulti dimostrata.
Tale norma, all’evidenza, pone un termine di decadenza per la verifica della continuità dell’esercizio professionale, talchè, decorso il quinquennio, l’iscritto deve poter fare affidamento sulla validità, agli effetti previdenziali e pensionistici, dei trascorsi periodi di iscrizione e contribuzione.
Ritenuto assorbente il profilo del termine decadenziale quinquennale per l’accoglimento della domanda di parte ricorrente nei confronti di Inarcassa, la Suprema Corte non ha, invece, esaminato l’ulteriore questione giuridica evidenziata dal ricorrente e concernente il termine ultimo per effettuare la verifica della continuità dell’esercizio professionale.
Il ricorrente, infatti, citando a supporto la sentenza n. 7830/2005 resa nei confronti di Cassa Commercialisti, sosteneva che il termine ultimo per effettuare la verifica della continuità dell’esercizio professionale sarebbe stato quello coincidente con la data del pensionamento, con la conseguenza che ogni successiva verifica ed ogni eventuale provvedimento di revoca della pensione già in precedenza riconosciuta, dovevano ritenersi illegittimamente effettuata ed illegittimamente adottato.
La Suprema Corte, ritenuto sufficiente motivo per l’accoglimento del ricorso il mancato rispetto del termine quinquennale per la verifica, ha omesso di esaminare questo secondo profilo di diritto pur osservando, in via incidentale, la diversità della norma che, nel sistema previdenziale della Cassa Commercialisti, disciplina le modalità di verifica della continuità dell’esercizio professionale rispetto a quelle di Inarcassa e della Cassa Forense.