Impugnazione preavviso fermo amministrativo

La vicenda, sottoposta alla cognizione delle Sezioni Unite della Corte, riguarda l'impugnazione di un preavviso di fermo amministrativo inerente un'autovettura in relazione ad una sanzione amministrativa per violazione del codice della strada. Secondo la Corte, il preavviso di fermo amministrativo non costituisce un mero atto preparatorio non impugnabile immediatamente per carenza di interesse ex art. 100 cpc. Al contrario, il preavviso di fermo costituisce l'ultima comunicazione che l'ente riscossore invia al contribuente prima di intraprendere l'esecuzione forzata decorso il termine dilatorio per il pagamento di venti giorni. Ne consegue l'interesse all'impugnativa immediata, sia per pretese di natura tributaria, dinanzi alle relative Commissioni, sia per pretese extratributarie , dinanzi alla magistratura competente (nella specie, trattandosi di sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, il Giudice di Pace).

Cassazione Civile Sez.Un. del 07 maggio 2010 n. 11087
Il preavviso di fermo amministrativo, introdotto nella prassi sulla base di istruzioni fornite dall'Agenzia delle entrate alle società di riscossione al fine di superare il disposto dell'art. 86, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 - in forza del quale il concessionario deve dare comunicazione del provvedimento di fermo al soggetto nei cui confronti si procede, decorsi sessanta giorni dalla notificazione della cartella esattoriale - e consistente nell'ulteriore invito all'obbligato di effettuare il pagamento, con la contestuale comunicazione che, alla scadenza dell'ulteriore termine, si procederà all'iscrizione del fermo, rappresenta un atto autonomamente impugnabile anche se riguardante obbligazioni di natura extratributaria, trattandosi, in ogni caso, di atto funzionale a portare a conoscenza dell'obbligato una determinata pretesa dell'Amministrazione, rispetto alla quale sorge, ex art. 100 c.p.c., l'interesse alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa, dovendo altrimenti l'obbligato attendere il decorso dell'ulteriore termine concessogli per impugnare l'iscrizione del fermo, direttamente in sede di esecuzione, con aggravio di spese ed ingiustificata perdita di tempo.


                   
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRASSI     Aldo           -  Presidente   -                   
Dott. CORDOVA    Agostino       -  Consigliere  -                   
Dott. GENTILE    Mario          -  Consigliere  -                   
Dott. MARMO      Margherita     -  Consigliere  -                   
Dott. MULLIRI    Guicla I. -  rel. Consigliere  -                   
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
P.G. presso la Corte d'Appello di Genova;
Nel proc. c/o:
S.D., nato a (OMISSIS);
Imputato:
a) art. 628 c.p.;
b) artt. 56 e 605 c.p.;
c) art. 609 bis c.p.;
d) art. 605 c.p. e art. 61 c.p., n. 2;
e) art. 628 c.p.;
f) art. 56 e 605 c.p..
avverso la Sentenza del Tribunale di Savona, in data 12.1.09;
Sentita, in pubblica udienza, la relazione del cons. Dott. Guicla  I. Mulliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. Dr. Fraticelli Mario, che  ha  chiesto l'annullamento con rinvio con riferimento al primo motivo;
Sentito  il difensore d'uff. avv. Domenico Lombardo, che ha insistito  per l'accoglimento del ricorso.

OSSERVA

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso. Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha applicato all'imputato la pena di anni uno e mesi due di reclusione per tutti i reati in continuazione tra di loro, ritenute le attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 c.p., n. 4 prevalenti sulla recidiva.
Avverso tale decisione, il P.G. ha proposto ricorso deducendo violazione di legge perchè:
1. è stato ritenuto più grave il delitto di rapina rispetto a quello di cui all'art. 609 bis c.p. che pure prevede una pena minima di 5 anni di reclusione;
2. sono state riconosciute le attenuanti generiche sulla base di un generico riferimento al comportamento processuale ed alla modesta entità dei fatti che, per contro, risultano gravi;
3. il Tribunale non ha motivato in ordine ai criteri seguiti nel calcolare l'aumento per la continuazione.
Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.
2. Motivi della decisione - Il primo motivo di ricorso è fondato ed il suo accoglimento è assorbente rispetto agli altri due.
Pur essendovi state innegabilmente alcune oscillazioni, è ormai principio acquisito dalla giurisprudenza di legittimità a sezioni unite ed, in prevalenza, di quelle semplici, che, in caso di applicazione del regime della continuazione, "la "violazione più grave" si individua nel delitto, in relazione al quale il giudizio di maggior gravità discende direttamente dalle scelte del legislatore" (S.U., 26.11.97, varnelli, Rv. 209485). Va ricordato che, nell'occasione, la Corte precisò anche - a maggior chiarimento del principio enunciato - che la disposizione di cui all'art. 187 disp. att. c.p.p. (secondo cui, ai fini dell'applicazione della disciplina del reato continuato da parte del giudice dell'esecuzione, "si considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave"), "deve ritenersi limitata alla sola fase esecutiva, alla cui regolamentazione è espressamente volta, ed è insuscettibile di applicazione generalizzata". Lo stesso concetto è stato, poi, ribadito anche da altra pronunzia di queste SS.UU. (12.10.93, Cassata, Rv. 195805) e, da ultimo, ex multis, da Sez. 4^ (27.1.09, Maciocco, Rv. 242866).
Conseguentemente, la censura che, nel caso in esame, il ricorrente muove alla sentenza impugnata è giustificata ed impone, in questa sede, una decisione di annullamento senza rinvio per essersi in presenza di un'erronea applicazione della legge processuale.
Gli atti vanno trasmessi ad altra sezione del Tribunale di Savona per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Visti gli arti 637 e ss. c.p.p.;
annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione del Tribunale di Savona per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 26 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2010
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