Incompatibilità dottori commercialisti – incompatibilità pensioni
La problematica dell’incompatibilità nell’ambito dell’ordinamento professionale dei dottori commercialisti è particolarmente delicata per quanto riguarda la tematica dell’esercizio del commercio, soprattutto nell’ambito societario. Il nodo del contendere deve individuarsi nel concorso tra due norme potenzialmente contraddittorie; la norma, cioè, che include, tra le attività tipiche dei dottori commercialisti, l’amministrazione d’aziende e quella, apparentemente di segno contrario, che stabilisce l’incompatibilità dell’esercizio del commercio per conto terzi.
La problematica si pone, dunque, ogni qual volta il dottore commercialista assuma cariche societarie (quali quella del socio accomandatario di SAS o quella del socio di SNC) che gli conferiscano l’astratta possibilità dell’esercizio del commercio in nome e per conto della società e, tuttavia, si astenga in concreto dall’esercizio del commercio limitandosi a svolgere attività professionale d’amministrazione aziendale.
Al riguardo, dovrebbero ritenersi dirimenti i principi e criteri informatori per la valutazione dei casi di incompatibilità elaborati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Comemrcialiti che prevedono “la nozione di esercizio…del commercio in nome proprio o in nome altrui, attiene ad un concreto esercizio di fatto delle dette attività. La nozione di esercizio è propria e specifica ai fini della disposizione in questione”. Peraltro tale nozione è posta espressamente in contrapposizione con l’incompatibilità legata all’assunzione di una mera qualità (come, ad es. quella di ministro di qualunque culto) laddove è l’assunzione della qualità che, di per sé, determina l’insorgenza della fattispecie d’incompatibilità.
Sul punto, peraltro, l’art. 4 del D.Lgs. n. 139/2005 ha ampiamente rivisitato la fattispecie dell’incompatibilità dell’attività di dottore commercialista con l’esercizio del commercio limitando l’ambito dell’incompatibilità all’esercizio dell’ “attività di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni e servizi, intermediaria nella circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie, assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti”. L’art. 4 citato specifica, altresì, che: “l’incompatibilità è esclusa qualora l’attività, svolta per conto proprio, è diretta alla gestione patrimoniale, ad attività di mero godimento o conservative, nonché in presenza di società di servizi strumentali o ausiliari all’esercizio della professione, ovvero qualora il professionista riveste la carica di amministratore sulla base di uno specifico incarico professionale e per il perseguimento di colui che conferisce l’incarico” .
Sulla base delle richiamate disposizioni, sembrerebbe che l’incompatibilità tra l’attività dei dottori commercialisti e l’assunzione di cariche societarie sussista solo laddove le società si occupino di attività di produzione di beni e servizi o di attività di intermediazione nella circolazione di beni e servizi e laddove il dottore commercialista si occupi concretamente dell’esercizio di dette attività. In ogni caso la sussistenza di uno specifico incarico professionale della società sembrerebbe, di per sé, atto ad escludere la fattispecie dell’incompatibilità. In particolare particolarmente delicata risulta l’interpretazione della nozione, utilizzata dal Legislatore, di: “perseguimento dell’interesse di colui che conferisce l’incarico”. Tale ultima circostanza unitamente alla sussistenza di uno specifico incarico professionale esclude la ricorrenza della fattispecie dell’incompatibilità.
Il problema è, dunque, stabilire se l’interesse di cui parla norma sia da considerare in senso tecnico – giuridico o, invece, come un interesse di mero fatto. Nel primo caso, infatti, sarebbe, in sostanza, sempre sufficiente l’incarico professionale ad escludere l’incompatibilità in quanto l’interesse perseguito, in senso tecnico, è quello della società.
Ove, invece, l’interesse fosse anche quello di fatto, il problema si sposterebbe sulla valutazione del livello della partecipazione societaria.
Un cenno merita, infine, il problema dei riflessi previdenziali dell’accertata sussistenza di una situazione d’incompatibilità in capo a dottori commercialisti. In questo caso, infatti, la Cassa Commercialisti annulla il periodo contributivo durante il quale è stata svolta l’attività incompatibile compromettendo, a volta in guisa irreparabile, la possibilità di accedere al trattamento di pensione. Anche su tale versante non pochi dubbi sussistono in ordine alla legittimità dell’annullamento del periodo contributivo e di iscrizione in quanto l’art. 22 della L. n. 21/86 prevede, quali unici requisiti per l’iscrizione alla Cassa di Previdenza, l’iscrizione all’Albo professionale e l’esercizio professionale continuativo nulla stabilendo in merito ad eventuali conseguenze previdenziali derivante dalla sussistenza di situazioni d’incompatibilità che non siano sfociate nella cancellazione dall’Albo professionale.