accertamenti fiscali e pensione avvocati

 
 
Secondo la Suprema Corte in caso di accertamento con adesione i contributi vanno pagati sul reddito accertato ma la pensione va calcolata sul minore reddito dichiarato
 
 
Con una recentissima sentenza, la Suprema Corte, cassando la sentenza della Corte di Torino, ha affermato il non condivisibile principio secondo cui, in ipotesi di accertamento con adesione, il reddito da porre a base per il calcolo della pensione resta quello inizialmente dichiarato alla Cassa e al Fisco e non quello successivamente accertato. La S.C. ritiene, dunque, che il professionista, una volta effettuato l'accertamento con adesione, sia tenuto a pagare i contributi sul reddito accertato in quanto tanto è espressamente previsto dalla norma ma che la Cassa Forense dovrà liquidare la pensione, considerando il reddito così come inizialmente dichiarato e non quello successivamente accertato.
Tale conclusione è motivata con il riferimento al terzo comma dell'art. 2 del d.lgs. n. 218 del 1997 il quale prevede che "L'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio e non rileva ai fini dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni, nonché ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi". 
Non si comprende, però, la logica della pronuncia che non tiene affatto conto, così come peraltro aveva correttamente evidenziato la sentenza della Corte di Appello, che l'art. 17 della l. n. 586 del 1980 prevede espressamente l'onere per il professionista di comunicare gli accertamenti fiscali divenuti definitivi i quali, una volta comunicati, sostituiscono le dichiarazioni inizialmente presentate alla Cassa e non considera adeguatamente il fatto che la pensione, a mente dell'art. 2 della l. n. 576 del 1980 viene calcolata sulla base dei redditi professionali così come risultanti dalle dichiarazioni fiscali, dichiarazioni che non possono non essere corrette in conformità di accertamenti fiscali definitivi (in ciò il fatto che l'accertamento sia avvenuto con adesione non pare mutare la sostanza delle cose). In definitiva, l'art. 2 della l. n. 576 del 1980 si integra con quanto previsto dall'art. 17 della l. n. 576 del 1980 e con quanto poi stabilito dall'art. 20 che prevede la possibilità per la Cassa di effettuare le verifiche in sede fiscale onde controllare la veridicità delle dichiarazioni reddituali inviate dal professionista. La soluzione opposta, seguita dalla Cassa, non è ragionevole nella parte in cui non tiene conto del fatto che l'accertamento fiscae, sia pure effettuato con adesione, presuppone la modiificazione definitiva del reddito dell'anno a fini fiscali e tutto l'impianto normativo della Cassa è fondato sul collegamento del reddito professionale utile a fini previdenziale con il reddito professionale risultante al Fisco. Si finisce, in definitiva, per valorizzare il reddito falsamente dichiarato dal professionista rispetto a quello successivamente accertato, salvo consentire, di nuovo irragionevolmente, che i contributi siano versati in relazione al reddito professionale così come accertato.
La S.C. richiama una pronuncia resa con riferimento a diversa fattispecie quale quella del c.d. condono di cui all'art. 19 del d.l. n. 429 del 1982. Il c.d. condono, però, non presuppone un accertamento di un diverso imponibile fiscale ma, per l'appunto, un condono dell'eventuale imposta dovuta sicchè l'eventuale reddito correlato all'imposta pagata non è conseguente ad alcun accertamento del reddito fiscale. Nel caso del condono, dunque, diversamente rispetto al caso dell'accertamento con adesione non appare illogica la scelta di continuare a valorizzare il reddito dichiarato al fisco inizialmente e quello dichiarato, in conformità alla Cassa, in quanto, per effetto del Condono, è proprio il Fisco che sceglie di astenersi dall'effettuare accertamenti definitivi. Diametralmente opposto è il caso di specie in cui la maggiore imposta è conseguente all'accertamento di un maggiore imponibile fiscale. 

Cassazione civile, sez. lav., 07/03/2018,  n. 5380

Ai fini della determinazione dell'entità del trattamento di pensione di vecchiaia erogato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense rileva il reddito professionale dichiarato ai fini fiscali e non già il reddito concordato a seguito dell'accertamento con adesione con il fisco, ai sensi del d.lg. n. 218/1997. Deve essere considerato infatti il reddito professionale effettivo e non quello fittizio poiché, in caso contrario, la base pensionabile finirebbe per essere rapportata a quanto non effettivamente ricavato dal lavoro ed il quantum sarebbe comunque rimesso alla volontà del soggetto, in contrasto con il principio di indisponibilità vigente in materia previdenziale.


La Corte, richiamato l'art. 2, comma 3, del D.Lgs. citato, ha affermato che detta norma, ai fini dell'armonizzazione tra la disciplina fiscale e quella previdenziale,rapportava espressamente la contribuzione ai redditi accertati ai fini irpef, disponendo che la base imponibile ai fini previdenziali fosse corrispondente a quella rideterminata nell'ambito tributario e che,dal tenore della disposizione, la maggiore contribuzione incideva sulla determinazione del trattamento pensionistico non emergendo una diversa possibile interpretazione.

Secondo la Corte il ricorrente, effettuando le comunicazioni alla Cassa, aveva anche adempiuto alle comunicazioni obbligatorie previste dalla L. n. 576 del 1980, art. 17, da inviarsi dagli avvocati iscritti entro trenta giorni dalla data fissata per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, nella quale dovevano essere dichiarati anche gli accertamenti divenuti definitivi, nel corso dell'anno precedente, degli imponibili irpef e Iva,qualora avessero comportato variazione degli imponibili dichiarati, con conseguente sostituzione delle dichiarazioni anteriormente effettuate alle relative scadenze di legge.


La questione attiene alla rilevanza o meno ai fini della determinazione della pensione di invalidità - decorrente dall'1/3/2006 - e poi della pensione di vecchiaia - decorrente dall'1/10/2008 -, liquidate dalla Cassa Forense all'avv. G.P.C., del maggior reddito accertato attraverso l'accertamento con adesione" D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 2, comma 3, per gli anni 1996, 1997 e 1998.

Tale ultima disposizione stabilisce che "L'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio e non rileva ai fini dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni, nonchè ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi".

4. Ciò premesso va rilevato che i redditi da considerare ai fini del calcolo della pensione di invalidità o vecchiaia sono quelli tempestivamente dichiarati alla Cassa secondo le scadenze previste dalla legge. La L. n. 576 del 1980, art. 2, infatti, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, fa solo ed esclusivo riferimento alla media decennale del reddito professionale "dichiarato" ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche - IRPEF - quale risulta dalle dichiarazioni presentate nei dieci anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.

5. L'art. 17, della legge citata, che disciplina le comunicazioni obbligatorie alla Cassa cui sono tenuti gli iscritti, stabilisce, inoltre, l'obbligo di tutti gli iscritti di "comunicare alla Cassa con lettera raccomandata, da inviare entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, l'ammontare del reddito professionale di cui all'art. 10, dichiarato ai fini dell'IRPEF per l'anno precedente, nonchè il volume complessivo d'affari di cui all'art. 11, dichiarato ai fini dell'IVA per il medesimo anno".

6. L'art. 10 della legge citata determina, poi, la misura del contributo soggettivo obbligatorio a carico di ogni iscritto alla Cassa che è pari ad una percentuale "del reddito professionale netto prodotto nell'anno, quale risulta dalla relativa dichiarazione ai fini dell'IRPEF e dalle successive definizioni".

7. Alla luce di dette disposizioni risulta indiscutibile che la quantificazione dei trattamenti pensionistici a favore degli iscritti alla Cassa Forense è determinato sulla base delle dichiarazioni rese dagli iscritti stessi,secondo le modalità stabilite dalla legge.

La determinazione dell'ammontare della pensione è legato, inoltre, logicamente al presupposto dell'avvenuta, regolare e tempestiva comunicazione alla Cassa dell'entità del reddito professionale da parte dell'interessato e del relativo pagamento del contributo soggettivo.

Diversamente si introdurrebbero nel sistema previsto dalla legge elementi del tutto variabili dettati dall'arbitrio dei soggetti interessati iscritti alla Cassa, opposti rispetto alla ratio dell'imposizione di specifiche regole e logicamente non compatibili con la concreta possibilità di procedere in via programmata e razionale da parte della Cassa.

Sulla base delle suddette considerazioni il reddito concordato a seguito dell'accertamento con adesione con il fisco, ai sensi della normativa di cui al D.Lgs. n. 218 citato, non può essere equiparato al reddito "dichiarato", secondo le modalità prescritte dalla legge. In sostanza, come osserva la Cassa, ciò che rileva è il reddito professionale effettivo e non quello "fittizio", come è quello conseguente alla definizione della vertenza con adesione. In caso contrario,la base pensionabile finirebbe per essere rapportata a quanto non effettivamente ricavato dal lavoro e, comunque, il quantum rimesso alla volontà del soggetto, il tutto in contrasto con il principio di indisponibilità vigente in materia previdenziale".

8. Va, poi, ribadito quanto già affermato da questa Corte (cfr Cass. 11473/1990), con riferimento a quanto statuito nella L. n. 576, art. 17, citata circa l'obbligo del professionista di dichiarare anche gli "accertamenti divenuti definitivi" nel corso dell'anno precedente. Nella citata sentenza di questa Corte si è ribadito,infatti, che non può non considerarsi che l'importo della pensione va, comunque, calcolato con riferimento al reddito "dichiarato". Ne consegue che anche sotto tale profilo,sul quale la Corte d'appello ha posto l'accento, pur dovendosi rilevare che l'accertamento con adesione prevede l'obbligo di pagamento dei contributi, la norma deve necessariamente rapportarsi alla legislazione specifica disciplinante il sistema previdenziale forense e, dunque, occorre valorizzare l'affermazione contenuta nel D.Lgs. n. 218, art. 2, comma 3, citato che espressamente esclude la rilevanza di tale "accertamento ai fini extratributari".

9. In conclusione va rilevato che, pur dovendosi ritenere non determinante il riferimento alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 372/1992, citata dalla Cassa, atteso che l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 576 del 1980, art. 2, risulta pronunciata con riferimento all'art. 3 (in ordine al quale ha escluso un'utile comparabilità di situazioni con lavoratori pubblici) e art. 36 Cost. (ritenuto richiamabile solo con riferimento ai lavoratori dipendenti), ritiene il Collegio che siano tuttora validi i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 11473 citata che, sebbene con riferimento alla L. n. 516 del 1982, ha affermato che "Ai fini della determinazione dell'entità del trattamento di pensione di vecchiaia erogato dalla cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore degli avvocati e procuratori rileva secondo la disciplina posta dalla L. 20 settembre 1980, n. 576 - il reddito professionale dichiarato ai fini fiscali (quale risultante dalle dichiarazioni presentate nei dieci anni solari anteriori alla maturazione del diritto ai fini dell'IRPEF) e non già quello definito per effetto del cosiddetto condono fiscale di cui alla L. n. 516 del 1982". Nella specie, in modo analogo, l'accertamento con adesione non costituisce una reale definizione del solo reddito professionale dell'avvocato, idoneo a costituire la nuova ed effettiva base imponibile ai fini contributivi ed ad incidere sull'ammontare della pensione goduta. Del resto il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 3, dopo aver affermato che l'accertamento non rileva ai fini extratributari, espressamente stabilisce che i contributi previdenziali e assistenziali,che il contribuente è tenuto a versare,sono calcolati sulla base imponibile riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Stabilisce, cioè, che la base imponibile ai fini previdenziali sia corrispondente a quella rideterminata nell'ambito tributario. La normativa della Cassa, invece, come prima si è detto, fissa regole specifiche per la determinazione dei contributi e del conseguente trattamento pensionistico.
 
 
Argomenti correlati
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
RICHIEDI CONSULENZA