Cass Civ Sez Lav n 24705 2007

  
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. SENESE   Salvatore                        -  Presidente   - 
Dott. ROSELLI  Federico                        -  rel. Consigliere  - 
Dott. LA TERZA Maura                           -  Consigliere  - 
Dott. AMOROSO  Giovanni                     -  Consigliere  - 
Dott. NOBILE   Vittorio                           -  Consigliere  - 
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
C.N.P.A.F. - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE  (fondazione di diritto privato ai sensi della L. 24 dicembre 1993,  n. 537, e D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509), già Cassa Nazionale di  Previdenza ed Assistennza, in persona del legale rappresentante pro  tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SAVASTANO 20, presso  lo studio dell'avvocato DE STEFANO MAURIZIO, che lo rappresenta e  difende, giusta delega in atti;

ricorrente –

contro

 F.M.;

 intimata –

e sul 2^ ricorso n 16311/04 proposto da:
F.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA B. TORTOLINI  34, presso lo studio dell'avvocato PAOLETTI NICOLO', che la  rappresenta e difende, giusta delega in atti;

controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

C.N.P.A.F. - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE (fondazione di diritto privato ai sensi della L. 24 dicembre 1993,  n. 537, e D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509), già Cassa Nazionale di   Assistenza, in persona del rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SAVASTANO 20, presso lo studio dell'avvocato de Stefano Maurizio, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 43/03 del Tribunale di Massa, depositata il  13/06/03 r.g.n. 120 e 1489 dell'anno 1994 riunite;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/09/07 dal Consigliere Dott. Federico ROSELLI;
udito l'Avvocato DE STEFANO MAURIZIO;
udito l'Avvocato PAOLETTI NICOLO';
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso  principale, rigetto del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 5 aprile 1996 al Pretore di Massa, F.M. proponeva opposizione contro il ruolo esattoriale formato dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense ed avente ad oggetto contributi previdenziali, sanzioni ed interessi conseguenti all'iscrizione d'ufficio per attività d'avvocato esercitata negli anni dal 1990 al 1993; ella negava il debito ed opponeva in compensazione un'indennità di maternità per un figlio nato nel (OMISSIS).
Costituitasi la convenuta, il Pretore accoglieva l'opposizione solo con riguardo all'anno 1990 e rigettava tutte le altre domande con decisione del 3 luglio 1997, parzialmente riformata con sentenza del 13 giugno 2003 dal Tribunale, il quale condannava la Cassa a pagare l'indennità di maternità.
Esso osservava, per quanto qui ancora interessa e sulla base di una consulenza tecnica disposta d'ufficio, che la professionista nell'anno 1990 aveva raggiunto il requisito minimo di reddito per l'iscrizione alla Cassa.
Tuttavia i contributi per quell'anno non erano dovuti poichè quel limite di reddito non era stato raggiunto nella media del triennio 1988-1990. Per tutti gli altri anni il Tribunale diceva essere stati superati i limiti di reddito "come ha anche accertato e riferito il c.t.u. nella relazione del 30 settembre 1992".
Quanto all'indennità di maternità, era vero che, nato il figlio nel (OMISSIS), la F. aveva chiesto il beneficio dopo la scadenza del termine di centottanta giorni di cui alla L. 11 dicembre 1990, n. 379, art. 2, e tuttavia l'iscrizione alla Cassa, successiva ma con effetto retroattivo, era bastata a rimetterla in termini.
Contro questa sentenza ricorrono per cassazione in via principale la Cassa e in via incidentale la F.. A ciascun ricorso corrisponde un controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, principale e incidentale, debbono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Col primo motivo la ricorrente principale lamenta la violazione della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, e della delibera del Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense 22 - 23 maggio 1987, sostenendo che l'iscrizione dell'avvocato alla Cassa è obbligatoria e deve avvenire dall'anno in cui egli esercita la professione con continuità e raggiunge un livello di reddito predeterminato dal detto Comitato.
Illegittima sarebbe perciò la sentenza impugnata, che opera una differenza temporale fra anno di iscrizione (nella specie: 1990) e anno di inizio della contribuzione, posticipato a causa del calcolo del livello minimo di reddito secondo la media del triennio precedente (nella specie; 1988-1990, con livello medio inferiore al minimo).
Il motivo è fondato.
La L. n. 576 del 1980, nel testo sia originario sia modificato con la L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 11, stabilisce nell'art. 22, che l'iscrizione alla Cassa ha effetto dalla data di inizio dell'attività professionale con carattere di continuità, secondo criteri determinati dal Comitato dei delegati. Più precisamente il secondo comma dell'art. 22, rimette a quel Comitato la fissazione del minimo di reddito o del volume di affari di natura professionale per la costituzione del rapporto previdenziale, attraverso l'iscrizione, su domanda o d'ufficio, alla Cassa medesima. Il Comitato, nei periodici atti di adeguamento dei detti criteri (art. 22 cit., comma 3), è solito ammettere la media tra i redditi accertati o dichiarati, oppure fra i volumi di affari denunciati, relativi a tre anni consecutivi. Questa possibilità costituisce oggetto di un diritto potestativo del professionista contribuente, il quale intenda mantenere l'iscrizione all'albo nonostante il mancato raggiungimento di quei minimi nel corso di un singolo anno. In alternativa, egli può chiedere la cancellazione, a causa del difetto del minimo nell'anno di riferimento. In tal senso questa Corte si è espressa con la sentenza 8 maggio 1987 n. 4263 e 11 maggio 2004 n. 8947, da cui non è ora motivo di discostarsi. Tutto ciò non comporta che come ha ritenuto il Tribunale senza alcuna base normativa, la contribuzione possa essere posticipata rispetto all'iscrizione, ossia che nel primo anno di raggiungimento del livello minimo di reddito ossia di iscrizione alla Cassa, la contribuzione debba essere cancellata a causa del calcolo della media del reddito nel triennio precedente.
La sentenza impugnata va perciò cassata in parte qua e la professionista dev'essere condannata ex art. 384 c.p.c., comma 1, a pagare i contributi previdenziali sul reddito del 1990.
Col secondo motivo la ricorrente principale deduce la violazione della L. n. 379 del 1990, art. 2, artt. 1242 e 2966 c.c., e vizi di motivazione, per non avere il tribunale dichiarato la decadenza dell'assicurata dal diritto all'indennità di maternità.
Anche questo motivo è fondato.
Nella sentenza qui impugnata il Tribunale ritiene che l'iscrizione tardiva e retroattiva alla Cassa di previdenza rimetta in termine l'assicurato per l'esercizio di diritti soggettivi già estinti per decadenza. Questa tesi, che potrebbe avere una plausibilità nei casi in cui il titolare del diritto sia incorso nella decadenza per causa a lui non imputabile ossia sottratta alla sua sfera di controllabilità (in tal senso è la più recente giurisprudenza costituzionale in materia di decadenza da situazioni soggettive processuali per tardiva notifica di atti), è certamente priva di fondamento alla stregua della L. n. 576 del 1980, più volte citato art. 22, che configura la mancata domanda di iscrizione alla cassa, in presenza dei requisiti, come inadempimento di un obbligo e non semplicemente come omesso assolvimento di un onere. La L. n. 141 del 1992, art. 11, ha aggiunto una penalità alle sanzioni conseguenti all'adempimento.
Tutto ciò, insieme al mancato accertamento giudiziale di una causa di non imputabilità dell'inadempimento, induce a cassare la sentenza impugnata, oltrechè nella parte riguardante la contribuzione per l'anno 1990, anche in quella concernente la detta decadenza.
La non necessità di ulteriori accertamenti di fatto permette, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, di rigettare la domanda riconvenzionale avente ad oggetto l'indennità di maternità.
Col primo motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione degli artt. 2964 e 2934 c.c., sostenendo l'estinzione del diritto della Cassa ai contributi previdenziali per il 1990, a causa della prescrizione quinquennale.
Il motivo non è ammissibile.
La ricorrente incidentale afferma di avere sollevato in primo grado l'eccezione di prescrizione, che nel merito non venne accolta dal Pretore, il quale negò la stessa sussistenza del debito previdenziale. Pertanto nel suo atto di costituzione in appello la attuale ricorrente, allora appellata in parte qua, avrebbe dovuto espressamente riproporre l'eccezione ai sensi dell'art. 346 c.p.c., ciò che ella non fece, come risulta ora dalla lettura dell'atto di costituzione suddetto, con la conseguenza che l'eccezione deve intendersi rinunciata.
Col secondo motivo la ricorrente incidentale deduce vizi di motivazione circa il suo debito contributivo per l'anno 1991, in realtà inesistente per "la ti situazione reddituale inferiore ai livelli minimi di riferimento" e per l'impossibilità di effettuare la media reddituale del triennio in difetto di domanda del contribuente. Idem per il 1992, avendo riferimento ai due anni precedenti.
Questo motivo è fondato, ma solo con riferimento all'anno 1991.
Come s'è detto a proposito del primo motivo del ricorso principale, il professionista iscritto d'ufficio alla cassa previdenziale ha il diritto, nel caso di mancato raggiungimento in un anno del livello minimo di reddito, di chiedere il calcolo della media triennale, oppure la cancellazione. Ciò egli può fare secondo una scelta autonoma, ossia una libera valutazione della convenienza di proseguire il rapporto assicurativo, compensando la diseguaglianza dei redditi del triennio, oppure di interromperlo attraverso la cancellazione dell'albo.
Ha pertanto errato il consulente tecnico (e quindi il Giudice d'appello nel recepire il risultato della consulenza) il quale ha negato che nell'anno 1991 la professionista avesse raggiunto il livello minimo di reddito per la contribuzione (vedi pag. 1 della relazione peritale) ma, constatato il superamento negli anni 1992 e 1993, ha ritenuto l'assoggettamento a contribuzione secondo la media del triennio, sottraendo all'assicurata la detta facoltà di scelta.
L'errore porta alla cassazione della sentenza impugnata e, in mancanza della necessità di nuovi accertamenti di fatto, a decidere nel merito escludendo il debito contributivo per il 1991, confermandolo per il 1992 e 1993 secondo l'ammontare dei redditi conseguiti in quegli anni.
La ricorrente incidentale si riferisce anche ai redditi del 1994 ma per questa parte il motivo è inammissibile per difetto d'interesse ossia perchè la sentenza impugnata si riferisce solo ai redditi dal 1990 al 1993.
La complessità della materia, in cui la determinazione della prestazione patrimoniale viene dalla legge delegata ad un organo amministrativo fornito di ampia discrezionalità, induce a compensare le spese dell'intero processo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie quello principale, cassa la sentenza impugnata per la relativa parte e, decidendo nel merito: A) condanna F.M. al pagamento dei contributi previdenziali per l'anno 1990 in base al reddito di quel solo anno; B) rigetta la domanda di indennità di maternità. Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie in parte il secondo motivo, cassa in parte qua la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovuti i contributi previdenziali sul reddito del 1991. Compensa le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2007
 
 
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