Art. 3 Costituzione

 
 
Art 3 Cost

[I] Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
[II] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Il primo comma dell'art. 3 della Costituzione, con la previsione della pari dignità sociale e  dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali esprime il principio fondante lo stato di diritto che è quello dell'uguaglianza giuridica. Il riferimento che l'art. 3 cost fa ai soli cittadini è ormai stato superato dalla Corte Costituzionale che pacificamente ritiene il principio applicabile anche agli stranieri, agli apolidi, alle persone giuridiche ed agli altri enti privi di personalità giuridica.

Il secondo comma che affida allo stato il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese esprime invece l'aspirazione ideale all'uguaglianza sostanziale. In tale ottica i due commi dell'art. 3 della Cost appaiono perfettamente complementari in quanto il principio formale dell'uguaglianza giuridica viene temperato dalla possibilità di adottare leggi volte a temperare le obiettive diseguaglianze che si riscontrano nel tessuto sociale.

L'art. 3 comma 1, che, come detto, pone il principio dell'eguale soggezione di tutti al diritto, individua alcuni criteri che non possono essere motivo di discriminazione. Si tratta del sesso, della razza, della lingua, della religione, delle opinioni politiche, delle condizioni personali e sociali.

Il divieto di discriminazioni deve, tuttavia, essere correttamente interpretato alla luce del principio cardine di cui al secondo comma dell'art. 3 Cost a mente del quale la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il raggiungimento della meta dell'eguaglianza sostanziale. In tale prospettiva, il divieto di discriminazione posto dall'art. 3 cost, 1° comma non vieta in assoluto discipline differenziate, ma solo discriminazioni irragionevoli con una presunzione di irrazionalità con riferimento alle discriminazioni fondate su una delle categorie indicate dall'art. 3 cost, 1° comma.

Corollario del principio di eguaglianza, secondo il costante orientamento della Consulta, è il principio di ragionevolezza delle leggi. Si tratta, infatti, di un parametro costantemente richiamato nelle ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale e sovente utilizzato dalla Corte ai fini dell'emissione di sentenze cc.dd. additive con le quali la Corte dichiara l'illegittimità di un testo nella parte in cui omette di disciplinare qualcosa che dovrebbe invece prevedere.

Il principio di ragionevolezza esprime l'esigenza che le leggi siano coerenti con la finalità che intendono raggiungere ed appare il fondamentale limite che la Costituzione impone alla discrezionalità del Legislatore.

Alla luce del principio di ragionevolezza, debbono ritenersi incostituzionali le norme che pongano discipline irragionevolmente differenziate di situazioni analoghe così come le norme che irragionevolmente equiparino situazioni che obiettivamente sono diverse e che presuppongono una ragionevole disciplina differenziata.

Il principio di ragionevolezza appare, dunque, come la sintesi dei due commi dell'art. 3 della costituzione laddove l'eguaglianza giuridica di fronte alla legge senza distinzioni legate ai criteri espressamente individuati dal 1° comma potrà compiutamente realizzarsi solo laddove il Legislatore abbia ragionevolmente provveduto ad eliminare le più evidenti disparità che si annidano nella società civile.
 
 
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