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I vizi dell'atto amministrativo possono distinguersi in due categorie, vizi di legittimità e vizi di merito e possono dar luogo all'invalidità dell'atto amministrativo stesso.
Legittimità e merito rappresentano, in sostanza, i due requisiti dell'azione amministrativa indicati nell'art. 97 della Cost. ove la legalità e la buona amministrazione sono i parametri cui deve ispirarsi l'operato della PA.
L'atto amministrativo può, dunque, presentare vizi di legittimità quando risulta difforme da norme giuridiche anche implicite (è il caso dell'eccesso di potere) oppure presentare vizi di merito quando l'atto non è conforme a regole non giuridiche
(norme di buona amministrazione) e che, tuttavia, determiano un
contrasto, per motivi di economicità, di equità, di opportunità o di
eticità, tra il mezzo in concreto utilizzato dalla PA ed il mezzo che
sarebbe stato idoneo al perseguimento ottimale del fine cui l'esercizio
del potere deve tendere. I vizi di merito dell'atto amministrativo
possono naturalmente configurarsi soltanto nell'ambito dell'azione amministrativa caratterizzata dalla discrezionalità
in quanto, con riferimento agli atti vincolati, il mancato
raggiungimento dello scopo è sicuro indice della violazione di una
norma giuridica, della difformità, cioè, dell'atto dal modello
normativamente previsto.
Dalla categoria dell'invalidità, deve essere mantenuta distinta quella dell'illiceità che si riferisce ai comportamenti e non agli atti giuridici e quella dell'irregolarità che, sotto il profilo oggettivo, riguarda quelle violazioni meramente formali inidonee a viziare l'atto amministrativo (esse sono suscettibili di rettifica).
La normativa cui occorre ancorare il giudizio in ordine alla validità del provvedimento amministrativo è quella vigente al momento del suo perfezionamento e non quella, eventualmente diversa, vigente al momento del dispiegarsi dei suoi effetti. Parte della dottrina ha, al riguardo, enucleato ipotesi tipiche che danno luogo all'invalidità sopravvenuta del provvedimento amministrativo (dichiarazione d'incostituzionalità, decreti legge non convertiti, interpretazione autentica della norma, normativa contraria a quella comunitaria).
I vizi di legittimità, a seconda degli elementi sui quali incidono, possono determinare diverse forme d'invalidità dell'atto amministrativo, possono, cioè, dar luogo a:
nullità (qualora l'atto manchi requisiti essenziali, ovvero qualora l'atto contrasti con precedente giudicato o lo eluda, o se l'atto sia stato adottato in difetto di attribuzione del potere o negli altri casi previsti dalla legge - art 21 septies L. n. 241 del 1990)
annullabilità (qualora sussista incompetenza relativa, violazione di legge, nei casi non determinanti la nullità o eccesso di potere - art. 21 octies L. n. 241 del 1990).
Si distingue, inoltre tra l'invalidità totale o parziale dell'atto amministrativo, a seconda che il vizio riguardi tutto l'atto amministrativo o solo una parte di esso (singole clausole o atti endoprocedimentali). Con riferimento all'invalidità parziale occorrerà indagare se, a seguito dell'annullamento parziale del l'atto amministrativo, questo possa, per la parte residua, essere conservato; occorrerà, dunque, formulare una valutazione non dissimile da quella di cui all'art. 1419 cc utilizzando, quale parametro di verifica dell'essenzialità della clausola annullata, la causa del potere esercitato.
Con riferimento alla fonte dell'invalidità dell'atto amministrativo, si usa distinguere tra un'invalidità testuale, nel caso in cui sia la norma giuridica che disponga testualmente l'invalidità dell'atto (cfr. ad esempio gli artt. 3 e 6 della L. n. 444 del 1994 in materia di atti degli organi in regime di prorogatio) e un'invalidità virtuale per il caso in cui l'invalidità stessa, non espressamente prevista, si desuma dall'ordinamento giuridico per violazione di una norma imperativa.
Si distingue, altresì, tra un'invalidità diretta che colpisce l'atto in sè ed un'invalidità derivata per la quale all'atto si propagano gli effetti invalidanti e vizianti di precedenti atti amministrativi autonomi (atti presupposti) o relativi al medesimo procedimento esitato nel provvedimento viziato (atti endoprocedimentali).
Mentre in caso di invalidità derivata dall'invalidità di atti endoprocedimentali, di regola, non vi è interesse ed onere ad impugnare autonomamente l'atto endoprocedimentale essendo sufficiente l'impugnativa del provvedimento finale, conclusione opposta vale per gli atti presupposti relativamente ai quali sussiste onere d'autonoma impugnativa.
Con riferimento all'invalidità derivata dei provvedimenti amministrativi, si usa distinguere tra l'effetto caducante che si realizza automaticamente a seguito dell'annullamento di un diverso atto amministrativo con il quale l'atto caducato risulta vincolato da un legame di stretta interdipendenza (in tal caso, non è necessario procedere ad autonoma impugnativa dell'atto caducato nel termine decadenziale) e l'effetto viziante che si realizza quando, tra due atti amministrativi, sussiste un legame meno saldo tra l'atto presupposto e l'atto successivo per il quale è necessario procedere ad autonoma impugnativa per ottenere l'annullamento dell'atto successivo a seguito dell'annullamento, o del venir meno (a seguito, per esempio, di un atto di ritiro) dell'atto presupposto.
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