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La qualificazione del silenzio della PA nell'ambito del diritto amministrativo è diversificata nel senso che la legge prevede diversi effetti come conseguenza del silenzio amministrativo, in dipendenza del tipo di procedimento nel quale il silenzio medesimo viene a formarsi.
In via generale, e quale estrinsecazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost, l'art. 2 della L. n. 241/1990 ha previsto il generale obbligo per la PA di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso con la conseguente illegittimità dell'inerzia della PA e/o dei suoi comportamenti omissivi. Con riferimento al termine per l'adozione del provvedimento espresso, ciascuna amministrazione è chiamato a determinarlo con riferimento alla complessità del relativo procedimento; in difetto soccorre il termine indicato direttamente nell'art. 2 della L. n. 241 del 1990 pari a 90 giorni. Detto termine è stato peraltro ridotto a trenta giorni dalla L. n. 69/2009 che, tuttavia, ha delegatole amministrazioni a dotarsi con proprio regolamento di un termine piùlungo, non superiore a 90 giorni o, per comprovate e straordinarie esigenze, non superiore a 180 giorni.
A fronte del silenzio amministrativo, il privato, scaduto il termine di legge per provvedere, può ricorrere senza alcuna ulteriore diffida al TAR ex art. 21 bis della L. 1034/1971 e il ricorso viene deciso celermente con rito camerale. Il ricorso può essere promosso entro il termine di un anno dalla formazione del silenzio e il TAR può valutare anche in ordine alla fondatezza della pretesa. La norma ha suscitato un vivace dibattito in quanto, unitamente al nuovo art. 21 octies in materia di vizi non invalidanti del provvedimento amministrativo, sembrerebbe aver parzialmente modificato la natura del giudizio dinanzi a GA da giudizio di carattere impugnatorio a giudizio d'accertamento sul rapporto. La giurisprudenza amministrativa ha, peraltro, ritenuto che, ai sensi dell'art. 21 bis, la valutazione sulla fondatezza sia limitata ai casi di attività vincolata e non necessitante istruttoria. La natura snella del rito comporta, sotto altra prospettiva, la sua non convertibilità. In tale prospettiva, ove nel corso del giudizio camerale, la PA adotti il provvedimento omesso ma in senso non satisfattorio per il privato, nell'ambito del giudizio ex art. 21 - bis dovrà essre dichiarata la cessazione della materia del contendere ed il privato dovrà svolgere un ordinario processo di carattere impugnatorio avverso il provvedimento non satisfattivo. Analogamente, in considerazione della natura del rito, inammissibile è una domanda di risarcimento del danno svolta nell'ambito di un giudizio sul silenzio ex art. 21 bis della L. n. 241 del 1990. L'istanza sulla quale si sia formato il silenzio amministrativo, una volta decorso l'anno dalla sua formazione, è riproponibile.
A seconda delle conseguenze che l'ordinamento
prevede in dipendenza del silenzio amministrativo, si usa individuare
oltre alla fattispecie del silenzio inadempimento di cui si è detto, quella del silenzio
sostitutivo, quella del silezio significativo sotto forma di silenzio
assenso e di silenzio diniego.
In mancanza di diverse previsioni di legge o
regolamento, il silenzio amministrativo è sempre silenzio inadempimento
in relazione a quanto previsto, in via generale, dall'art. 2 della L.
n. 241/1990 ed alla generale previsione dell'obbligo di provvedere di
cui al medesimo articolo.
Per alcune fattispecie particolari, invece, la
legge conferisce al silenzio amministrativo il valore significativo
tipico di silenzio assenso o di silenzio diniego. L'art. 20 della L. n.
241/1990 individua un'ipotesi di silenzio assenso mentre, in tema di
accesso agli atti amministrativi, l'art. 25 prevede un'ipotesi di
silenzio diniego.
In altre fattispecie, il silenzio amministrativo assume il valore di silenzio devolutivo nel senso che, a fronte del silenzio della PA, l'istante è ammesso a rivolgersi per ottenere il medesimo atto ad altro organo o ad altro soggetto. Un esempio di silenzio devolutivo si rinviene all'art. 17 della L. n. 241/1990 in tema di valutazioni tecniche nel senso che la PA procedente in caso di comportamento omissivo dell'organo cui abbia richiesto una valutazione tecnica, può rivolgersi al medesimo fine ad altro organo o ad istituti universitari con competenze adeguate (salvo che si tratti di materie riguardanti la tutela ambientale, paesaggistica e territoriale o la materia del diritto alla salute).