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L'art. 3 della L. n. 80 del 2005 ha modificato l'art. 2 della L. n.
241/1990 sul termine per la conclusione del procedimento
amministrativo. A mente dell'art. 3 citato, dunque, il termine per la
conclusione del procedimento che consegua obligatoriamente ad istanza
di parte o che debba essere iniziato d'ufficio, non viene fissato dalle
singole amministrazioni statali ma dal governo su proposta del Ministro interessato e di concerto con Ministro per la Funzione Pubblica. Rimane, invece, per gli enti pubblici nazionali la facoltà di determinare autonomamente il termine per la conclusione del procedimento.
In mancanza dei regolamenti concernenti la determinazione del termine per la conclusione del procedimento, l'art. 3 della L. n. 80 dl 2005 prevede che esso sia di novanta giorni. Con la Legge n 69/2009, il termine è stato rifissato in trenta giorni salva la possibilità, per le amministrazioni, di adottare regolamenti che stabiliscano termini più lunghi ma non eccedenti i novanta giorni o, in caso di eccezionali urgenze i 180 giorni.
Nulla stabilisce il citato articolo in merito agli enti territoriali ma si ritiene che, in forza della generale clausola di rinvio di cui all'art. 29 della L. n. 241/1990, la disciplina di cui all'art. 2 della L. n. 241/1990, così come modificata dall'art. 3 della l. n. 80/2005 in materia di termine per la conclusione del procedimento sia applicabile anche alle regioni ed agli altri enti pubblici territoriali.
Per espressa previsione del novellato art. 29 ad opera della L n 69/2009, il nuovo termine per la conclusione del procedimento si applica anche agli enti territoriali salva la possibilità, per questi ultimi, di prevedere un termine più ristretto.
L'art. 2, come novellato dalla Legge n 35/2005, stabilisce, altresì. che il procedimento, nei termini sopra indicati, debba essere concluso con provvedimento espresso.
Una prima questione interpretativa che si è posta è di determinare a fronte di quali istanze sorga l'obbligo dell'amministrazione di concludere il procedimento con provvedimento espresso. Oltre ai casi in cui il potere di presentare un'istanza sia stabilito espressamente dalla Legge, la giurisprudenza ha riconosciuto, in generale, che tale obbligo sorge dinanzi ad istanze volte a produrre effetti pregiudizievoli sulla sfera dei terzi dai quali possa trarre indirettamente vantaggi e a fronte di interessi legittimi di carattere pretensivo (con l'eccezione della manifesta infondatezza). Il dovere di cui all'art. 2 della L. n. 241 del 1990 non sorge, invece, con riferimento a istanze volte a sollecitare interventi in autotutela o mera attività materiale da parte della PA.
Con il novellato art. 2 della Legge n. 241 del 1990, si salda l'art. 21 bis della L. n. 1034 del 1971 che ha introdotto un rito accelerato con riferimento alle fattispecie riconducibili al silenzio inadempimento di cui all'art. 2 (sempre che al silezio non possa attribuirsi significato provvedimentale in quanto, in tale ipotesi, neppure sarebbe configurabile un inadempimento).
Entro il termine di un anno dalla formazione del silenzio inadempimento, infatti, senza la necessità di previa diffida, il titolare dell'interesse qualificato e differenziato al provvedimento omesso, potrà adire il GA che, con riferimento ad attività vincolata e non necessitante di istruttoria, potrà statuire sulla fondatezza della pretesa (in caso, dunque, di manifesta fondatezza o infondatezza) e non soltanto emettere una sentenza con la quale si accerti la sussistenza di un obbligo, per la PA, di provvedere. Ove, invece, si verta nell'ambito dell'attività discrezionale della PA o, comunque, ove sia necessario espletare istruttoria al fine di provvedere, il GA accerterà l'obbligo di provvedere in capo alla PA che sarà tenuta a porre in essere l'attività provvedimentale precdentemente omessa.
Decorso il termine annuale per la proposizione della domanda ex art. 21 bis Legge Tar, sarà possibile riproporre l'istanza volta a sollecitare il provvedimento già omesso.