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La nullità e l'annullabilità dell'atto amministrativo individuano due stati patologici profondamente diversi, sia sotto il profilo delle cause, sia sotto quello delle relativa disciplina giuridica e, in particolare, di quella degli effetti.
L'atto amministrativo nullo, infatti, è insuscettibile di produrre effetti, non è esecutorio e, in caso d'esecuzione dello stesso da parte della PA, il privato è ammesso a resistere, non è inoppugnabile decorso il termine di sessanta giorni dalla sua adozione, non può essere sanato o convalidato potendo esclusivamente essere convertito in un atto valido.
L'atto amministrativo annullabile, invece, è immediatamente efficace e può essere caducato solo a seguito di tempestiva impugnativa giudiziale, è suscettibile di convalida o di annullamento d'ufficio, così come delle altre forme di sanatoria con effetto conservativo (ratifica, sanatoria, conversione, proroga, rinnovazione).
Le sole ipotesi di nullità dell'atto amministrativo, prima della L. n. 15/2005, erano di creazione giurisprudenziale e la stessa categoria della nullità era oggetto di ampio dibattito.
A fronte di una tesi che riteneva applicabili le categorie della nullità civilistica al diritto amministrativo e che aveva, pertanto, enucleato le categorie della nullità virtuale (per contrasto dell'atto con norme dell'ordinamento regolanti l'azione amministrativa) della nullità strutturale (per carenza di taluno dei requisiti strutturali dell'atto amministrativo) e della nullità testuale (per espressa previsione di legge), si contrapponeva la tesi che escludeva, nell'ambito del diritto amministrativo, la stessa configurabilità della categoria della nullità.
Con riferimento alla nullità virtuale, infatti, si osservava come, nell'ambito del diritto amministrativo, di regola, la contrarietà dell'azione amministrativa a norme imperative, dà luogo ad annullabilità da farsi valere nel termine decadenziale di sessanta giorni mentre, con riferimento alla nullità strutturale, si osservava come il diritto amministrativo non contemplasse una norma, come quella di cui all'art. 1325 cc, che enucleasse i requisiti strutturali del provvedimento amministrativo. Secondo tale tesi, dunque, la nullità dell'atto amministrativo non sussisteva come autonoma categoria del diritto amministrativo occorrendo esclusivamente distinguere tra atti annullabili e atti amministrativi inesistenti.
Con l'art. 21 septies della L. n. 241/1990, introdotto dalla citata L. n. 15/2005, la categoria della nullità è stata positivizzata e sono state tipizzate le fattispecie di nullità dell'atto amministrativo che debbono, dunque, considerarsi un numero chiuso. La norma, nel tipizzare le ipotesi di nullità dell'atto amministrativo, ha, invero, positivizzato la casistica precedentemente individuata ed elaborata dalal giurisprudenza amministrativa.
L'atto amministrativo è, dunque, a mente del richiamato art. 21 septies, nullo qualora difetti di alcuno dei suoi elementi essenziali (nullità strutturale), oppure se l'atto sia stato adottato da organo privo dell'attribuzione del potere necessario alla sua adozione (carenza di potere oppure incompetenza assoluta) o nel caso in cui l'atto stesso abbia violato o eluso un giudicato, nonchè negli altri casi espressamente previsti dalla legge (c.d. nullità testuale).
Gli elementi essenziali il cui difetto determina la nullità dell'atto amministrativo sono di non agevole individuazione; in particolare non sono automaticamente trasponibili le categorie civilistiche. La dottrina si riferisce, anche sulla scorta dell'elaborazione giurisprudenziale, all'autore dell'atto (ove l'atto sia stato adottato in situazione di usurpazione di poteri), all'oggetto dell'atto (ove risulti impossibile, indeterminato o illecito), alla volontà dell'atto (ove l'atto sia stato adottato in situazione di violenza fisica), al destinatario e alla forma essenziale dell'atto (ove siano mancanti).
Con riferimento al provvedimento adottato in carenza di potere, si discute sul suo ambito applicativo; in particolare, si dibatte se la norma abbia inteso ricomprendere solo le ipotesi di incompetenza assoluta e di difetto di attribuzione (fattispecie quest'ultima che, secondo altra parte della dottrina, andrebbe più propriamente inquadrata nella categoria dell'inesistenza) ovvero abbia inteso riferirsi anche alla categoria, elaborata dalla Suprema Corte di Cassazione, della carenza di potere in concreto che si configura allorchè la norma attributiva di potere esista e, tuttavia, l'esercizio del potere abbia ecceduto i limti individuati normativamente (ad esempio il termine fissato per l'adozione del decreto di esproprio a seguito della dichiarazione di pubblica utilità).
Con riferimento alla nullità derivante da violazione o elusione del giudicato, deve sottolinearsi la previsione normativa che ne dispone la cognizione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del GA.
L'annullabilità dell'atto amministrativo è determinata dall'illegittimità di uno degli elementi essenziali dell'atto stesso. L'art. 26 del R.d. n. 1054/1924 indica i vizi di legittimità dell'atto amministrativo che sono l'incompetenza, la violazione di legge e l'eccesso di potere.
La violazione di legge costituisce un vizio residuale nel senso sia l'incompetenza che l'eccesso di potere costituiscono delle specie del più ampio genere della violazione di legge.
Con riferimento all'incompetenza deve rilevarsi come essa determini l'annullabilità dell'atto amministrativo (e non la sua nullità) soltanto allorchè sia relativa. L'incompetenza relativa è quella che colpisce l'atto adottato, secondo l'impostazione tradizionale, da un organo diverso da quello competente ma appartenente al medesimo plesso dell'amministrazione. Secondo una tesi che ha trovato il recente avallo della giurisprudenza amministrativa, sussisterebbe incompetenza relativa anche allorchè l'atto sia stato adottato da organo non competente ed appartenente ad un diverso plesso amministrativo ma che abbia competenza nella materia sulla quale incide l'atto illegittimamente adottato.
L'eccesso di potere viene ricondotto dalla dottrina più moderna ad un vizio della funzione amministrativa concretandosi in un cattivo uso del potere. Lo sviamento del potere viene desunto da una serie di indici sintomatici
(vizio della motivazione, ove non ricadente nella violazione di legge
ex art. 3 della L. n. 241 del 1990, contraddittorietà intrinseca degli
atti del procedimento, contrasto con altri provvedimenti
amministrativi, violazione di norme interne, ingiustizia manifesta,
incompletezza dell'istruttoria, travisamento dei fatti ecc ecc) atti a
comprovare che, nella singola fattispecie provvedimentale, il potere,
quale risulta esercitato nel contesto del procedimento amministrativo,
non è stato esercitato correttamente raggiungendo finalità difformi da
quelle al cui perseguimento è demandato.
Con riferimento all'annullabilità dell'atto amministrativo, deve soggiungersi che l'art. 21 octies della L. n. 241/1990 ha distinto tra vizi formali e procedimentali e vizi sostanziali stabilendo che, in relazione all'attività vincolata della PA, solo con riferimento a questi ultimi è sempre ammesso l'annullamento dell'atto amministrativo. Con riferimento, invece, ai vizi formali e procedimentali, l'annullamento non è ammesso allorchè il giudice accerti, in caso di attività vincolata, che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere difforme. Per la mancata comunicazione d'avvio del procedimento, invece, il mancato annullamento è previsto anche in caso di attività discrezionale ove la PA provi che il contenuto dell'atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in cocreto adottato. In dottrina si discute se la previsione dell'art. 21 octies abbia valenza solo in sede processuale o valenza sostanziale. Secondo la prima tesi, il provvedimento affetto dai vizi di cui all'art. 21 octies, pur non essendo impugnabile per difetto d'interesse da parte del destinatario pregiudicato dal contenuto dispositivo del provvedimento viziato, sarebbe, tuttavia, suscettibile di formare oggetto di provvedimenti di secondo grado di carattere conservativo o demolitorio. Secondo l'impostazione sostanzialistica, invece, l'art. 21 octies avrebbe valenza sostanziale ed avrebbe disgiunto l'illegittimità dell'atto amministrativo dalla sua annullabilità; in tale prospettiva l'atto che presenti vizi riconducibili all'art. 21 octies, da una parte, non potrebbe essere impugnato giudizialmente ma, dall'altra, neppure potrebbe formare oggetto di convalida o d'annullamento d'ufficio.
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