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Il Consiglio di Stato ha ribadito, con riferimento ad un ricorso promosso per impugnare la mancata ammissione agli orali dell'esame di avvocato, che anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990, i provvedimenti della commissione esaminatrice che valutano negativamente le prove scritte sono adeguatamente motivati anche se espressi solo con voti numerici qualora si fondino su una griglia di criteri predeterminati dalla medesima commissione.
Inoltre, ad avviso del Consiglio, la valutazione della Commissione può essere sindacata dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopici profili di illogicità o erroneità (nella specie il candidato aveva prodotto, a sostegno del ricorso promoss, pareri di autorevoli professionisti che peroravano la bontà degli elaborati).
La sentenza si segnala, altresì, per un'interpretazione quanto mai restrittiva della portata applicativa dell'art. 2 bis del DL 115 del 2005 convertito in legge n 168 del 2005 ritenendo che, ai fini dell'operatività della norma, sia presupposto indispensabile che sia la riedizione della prova scritta che l'effettuazione della prova orale siano sorrette da un unico provvedimento giurisdizionale, la cui validità ed efficacia siano rimaste in essere per tutta la durata della procedura di valutazione.
Consiglio di Stato Sez IV n 2557 del 4 maggio 2010
In materia di pubblici concorsi, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 l. n. 241 del 1990, i provvedimenti della commissione esaminatrice che valutano negativamente le prove scritte vanno considerati di per sé adeguatamente motivati quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione.
Il giudice della legittimità non può entrare nel merito del giudizio negativo espresso dalla competente commissione sulle prove scritte dell'esame di abilitazione alla professione di avvocato, il cui sindacato gli è consentito solo in presenza di macroscopici profili di illogicità o erroneità.
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la preparazione dell'esame di avvocatoFATTO
Il Ministero della Giustizia, in una con le Commissioni per gli esami di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato per la sessione 2008-2009, istituite presso le Corti di Appello di Cagliari, Brescia e Milano, ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell'esecuzione, la sentenza con la quale la Sezione di Brescia del T.A.R. della Lombardia, accogliendo il ricorso proposto dal dottor M. B., ha annullato gli atti relativi alla mancata ammissione dello stesso alle prove orali dell'esame di abilitazione suindicato.
A sostegno dell'impugnazione, l'Amministrazione ha dedotto:
1) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, nonché degli artt. 17 bis e 23 del r.d. 22 gennaio 1934, nr. 37 (in relazione alla ritenuta insufficienza del voto numerico a esternare le ragioni delle insufficienze riportate dal candidato);
2) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 27 del r.d. 26 giugno 1924, nr. 1054, che sancisce il principio della tassatività delle ipotesi di giurisdizione di merito del giudice amministrativo; eccesso di potere (in relazione ai giudizi espressi dal primo giudice sul merito delle prove scritte del ricorrente);
3) illegittimità della sentenza impugnata sotto altro profilo: violazione dell'art. 112 c.p.c. (in relazione all'avere il primo giudice ordinato, in sede cautelare, la rinnovazione della correzione delle prove scritte del ricorrente presso una Commissione istituita presso altra Corte d'Appello).
Si è costituito l'appellato dottor M. B., il quale ha in limine eccepito l'improcedibilità dell'appello in applicazione dell'art. 4, comma 2 bis, del decreto legge 30 giugno 2005, nr. 115, convertito con modificazioni nella legge 17 agosto 2005, nr. 168; nel merito, ha articolatamente controdedotto alle doglianze di parte appellante, chiedendone la reiezione con la conferma della sentenza impugnata.
All'esito della camera di consiglio del 12 gennaio 2010, questa Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata.
All'udienza del 13 aprile 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Per migliore comprensione delle statuizioni che seguiranno, giova premettere una sintetica ricostruzione della vicenda, amministrativa e processuale, per cui è causa.
2. Si controverte nella specie degli esiti dell'esame, sostenuto dal dottor M. B., per l'abilitazione alla professione di avvocato nella sessione 2008-2009.
In primo grado, il dottor B. ha impugnato gli atti relativi alla sua mancata ammissione alle prove orali, avendo egli riportato, all'esito della correzione degli scritti effettuata dalla Commissione istituita presso la Corte d'Appello di Cagliari, il punteggio complessivo di 67 punti (25 punti per il parere di diritto civile, 25 punti per il parere di diritto penale e 17 punti per l'atto giudiziario).
Con ordinanza del 31 luglio 2009, la Sezione di Brescia del T.A.R. della Lombardia ha accolto l'istanza cautelare proposta congiuntamente al ricorso introduttivo e, per l'effetto, ha disposto procedersi a ricorrezione delle prove scritte del ricorrente da parte di diversa Commissione (nella specie, quella istituita presso la Corte d'Appello di Milano).
A seguito di appello dell'Amministrazione, con decreto presidenziale del 30 settembre 2009 è stata accolta l'istanza cautelare provvisoria contestualmente proposta, e per l'effetto sono stati sospesi gli effetti della richiamata ordinanza del T.A.R. bresciano.
Malgrado ciò, in data 2 ottobre 2009 la prima sottocommissione istituita presso la Corte d'Appello di Milano ha rivalutato le prove scritte del ricorrente, disponendone l'ammissione agli orali.
La fase cautelare del presente giudizio si è poi conclusa con l'ordinanza di questa Sezione nr. 5413 del 28 ottobre 2009, che ha dichiarato improcedibile l'appello dell'Amministrazione stante l'ormai avvenuta esecuzione dell'ordinanza cautelare del T.A.R. lombardo.
Di poi, con la sentenza qui impugnata il giudice di primo grado ha accolto il ricorso e, per l'effetto, ha ordinato procedersi allo svolgimento della prova orale (sempre dinanzi alla Commissione istituita presso la Corte d'Appello di Milano).
Detta prova si è svolta in data 11 dicembre 2009 ed è stata superata dall'odierno appellato, in epoca anteriore alla proposizione dell'appello qui in esame.
3. Tutto ciò premesso, va prioritariamente esaminata l'eccezione di improcedibilità dell'appello proposta dalla parte appellata.
3.1. Quest'ultima, premessa la ricostruzione in fatto che si è sinteticamente sopra fatta, assume che non sarebbe più sussistente l'interesse dell'Amministrazione all'impugnazione, in quanto l'abilitazione alla professione forense dovrebbe considerarsi definitivamente conseguita in virtù dell'art. 4, comma 2 bis, del decreto legge 30 giugno 2005, nr. 115, convertito con modificazioni nella legge 17 agosto 2005, nr. 168, secondo cui: "...Conseguono ad ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela".
Più specificamente si sostiene che, essendo state nella specie superate dapprima le prove scritte sia pure sulla base dell'ordinanza cautelare a suo tempo emessa dal T.A.R. di Brescia (e indipendentemente dalle vicende successive di tale provvedimento) e quindi la prova orale sulla base della sentenza qui censurata, ne conseguirebbe l'inverarsi della situazione descritta dalla disposizione testé richiamata.
L'eccezione è infondata.
3.2. Al riguardo, è noto che la disposizione ex art. 4, comma 2 bis, del d.l. nr. 115 del 2005 è stata più volte sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale per sospetta violazione - fra l'altro - degli artt. 3, 24 e 111 Cost., e che la Corte ne ha sempre escluso l'illegittimità costituzionale sulla base di una peculiare considerazione degli interessi sostanziali che essa è intesa a tutelare.
In particolare, la Corte ha così argomentato: "...La disposizione impugnata ha lo scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il quale un giudice o la stessa amministrazione, in via di autotutela, abbiano disposto l'ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione. Per raggiungere questo scopo, la disposizione rende irreversibili - secondo la giurisprudenza amministrativa - gli effetti del superamento delle prove scritte e orali previste dal bando. Essa, quindi, rende irreversibili anche gli effetti dei provvedimenti giurisdizionali (pure di natura cautelare) o di autotutela amministrativa che abbiano disposto l'ammissione alle prove stesse, precludendo l'ulteriore prosecuzione del processo eventualmente avviato. (...)
Come confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, la disposizione censurata non si applica ai concorsi pubblici, ma solo agli esami di abilitazione. Questi ultimi sono volti ad accertare l'idoneità dei candidati a svolgere una determinata attività professionale. Accertata questa idoneità, tale attività deve potersi liberamente esplicare. L'accertamento deve essere compiuto da un organo imparziale e dotato di adeguate competenze: è necessario che l'accertamento vi sia, mentre non è decisivo che esso abbia luogo nel corso dell'ordinario procedimento amministrativo di esame o a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di autotutela amministrativa.
La disposizione impugnata evita che gli effetti di un simile accertamento, già compiuto, vengano travolti dal risultato del processo, eventualmente avviato in conseguenza della conclusione negativa di un precedente accertamento. Su questo, essa fa prevalere quello successivo, avente esito positivo. Si tratta di una scelta operata dal legislatore in sede di bilanciamento di interessi contrapposti.
Da un lato, vi è l'interesse alla piena e definitiva verifica della legittimità degli atti compiuti dall'amministrazione nel corso del procedimento di esame e, quindi, della correttezza della precedente valutazione, che abbia in ipotesi condotto all'esclusione del candidato. Questo interesse indurrebbe a consentire la prosecuzione del processo fino alla sua naturale conclusione. Allo stesso esito condurrebbe la piena esplicazione del diritto di difesa di entrambe le parti, nell'interesse di ciascuna delle quali sono predisposti i diversi gradi di giudizio e le diverse fasi processuali.
Dall'altro lato, vi sono l'interesse a evitare che gli esami si svolgano inutilmente, quello a evitare che la lentezza dei processi ne renda incerto l'esito e, soprattutto, l'affidamento del privato, il quale abbia superato le prove di esame e - in ipotesi - avviato in buona fede la relativa attività professionale. Dal punto di vista dell'interesse generale, vi è anche un'esigenza di certezza, sia in ordine ai tempi di conclusione dell'accertamento dell'idoneità dei candidati, sia in ordine ai rapporti instaurati dal candidato nello svolgimento dell'attività professionale.
Il legislatore ha ritenuto di contemperare i diversi interessi rilevanti, accordando una particolare tutela all'affidamento del cittadino. Questo comporta indubbiamente una certa compressione del diritto di difesa, in quanto si introduce una dissimmetria tra le due parti del processo amministrativo eventualmente avviato: al ricorrente, che soccomba in primo grado o nel giudizio cautelare, è assicurata la possibilità di ricorso o di esame nel merito; se, invece, è l'amministrazione a soccombere, è possibile che il giudizio di secondo grado o di merito non abbia luogo, perché il superamento delle prove può determinare l'estinzione del processo.
Queste conseguenze vanno valutate alla luce dei principi costituzionali, che non escludono una ragionevole limitazione del diritto di difesa dell'amministrazione. (...)
Alla luce di questi princìpi, il bilanciamento di interessi operato dal legislatore, con la disposizione denunciata, non è irragionevole. Il diritto di difesa dell'amministrazione è sì compresso, ma non eliminato, in quanto esso può comunque esplicarsi fino all'eventuale superamento delle prove. E la sua compressione è giustificata dal fatto che dell'interesse pubblico all'accertamento dell'idoneità del candidato, di cui l'amministrazione stessa è portatrice, la disposizione si fa comunque carico, richiedendo il superamento della prova: è solo a seguito della ripetizione della stessa o della nuova valutazione, con esito positivo - e non semplicemente sulla base di un provvedimento giurisdizionale - che il candidato consegue l'abilitazione. Vi è, quindi, comunque un accertamento dell'idoneità del candidato, affidato alla stessa amministrazione o ad altra egualmente portatrice dello stesso interesse pubblico.
Presupposto per l'applicazione della disposizione impugnata è che, a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di iniziativa della stessa amministrazione, vi sia stato un nuovo accertamento dell'idoneità del candidato, con la ripetizione delle prove o con una nuova valutazione di esse. È questo accertamento amministrativo, e non il provvedimento del giudice, a produrre l'effetto di conseguimento dell'abilitazione, che la disposizione rende irreversibile. Il legislatore ha ritenuto che, una volta operato il nuovo accertamento, la prosecuzione del processo, avviato per contestare l'esito del precedente accertamento, fosse superflua e potesse andare a detrimento dell'affidamento del privato e della certezza dei rapporti giuridici. Ciò spiega perché la disposizione possa trovare applicazione anche quando il nuovo accertamento è stato operato a seguito di un provvedimento cautelare del giudice" (sent. 9 aprile 2009, nr. 108).
3.3. Proprio la considerazione degli interessi che secondo la Corte giustificano la scelta del legislatore, e in particolare delle evocate esigenze di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dell'affidamento dei cittadini, deve guidare l'interprete nell'applicazione della disposizione de qua all'ipotesi in cui la procedura di esame, originariamente conclusasi con la mancata ammissione del candidato alle prove orali, si sia riavviata a seguito di una pronuncia cautelare favorevole del giudice amministrativo.
In linea generale, non v'è dubbio che gli effetti di "stabilizzazione" della norma possano conseguire anche ad una ordinanza cautelare (e tanto si evince dalle stesse pronunce della Corte Costituzionale in subiecta materia); tuttavia, in questo caso tali effetti vanno contemperati con l'intrinseca provvisorietà che connota i provvedimenti cautelari, i quali sono destinati a esaurire i propri effetti con la decisione di merito.
Tale caratteristica è stata sottolineata dalla stessa Corte Costituzionale, in relazione a vicenda nella quale la disposizione di cui al ripetuto art. 4, comma 2 bis, risultava inapplicabile ratione temporis: in particolare, in tale occasione si è ribadito che, in condizioni ordinarie, l'ulteriore attività posta in essere dalla p.a. in esecuzione di un'ordinanza cautelare non costituisce esercizio di potestà amministrativa avente autonoma valenza sostanziale, ma rappresenta null'altro che la doverosa conformazione alle statuizioni impartite dal giudice (che sono immediatamente esecutive), con la conseguenza che esse sono caducate dall'eventuale successiva reiezione del ricorso nel merito, senza necessità di autonoma impugnazione (cfr. ord. 20 luglio 2007, nr. 312).
3.3. Se tutto questo è vero, e se il più volte citato art. 4, comma 2 bis, del d.l. nr. 115 del 2005, con riferimento ai provvedimenti cautelari, costituisce una deroga ai principi da ultimo richiamati, occorre però che di tale deroga sia data una lettura attenta e costituzionalmente orientata, al fine di assicurare che la scelta del legislatore nel senso della prevalenza delle ricordate esigenze di certezza e di tutela dell'affidamento sui diritti costituzionalmente garantiti ex artt. 24 e 111 Cost. sia mantenuta nei limiti di quanto è effettivamente indispensabile per il soddisfacimento dei predetti interessi prevalenti.
Sotto tale profilo, non v'è dubbio che la disposizione in commento sia destinata a spiegare pienamente e in ogni caso i propri effetti:
a) laddove il candidato abbia superato le prove scritte e orali sulla base di una sentenza di primo grado, che sia successivamente annullata o riformata in appello;
b) laddove egli abbia superato le medesime prove sulla base di un'ordinanza cautelare favorevole non appellata dall'Amministrazione, la quale venga poi superata da una sentenza di merito che risulti invece sfavorevole;
c) laddove, infine, il superamento delle prove si fondi su un'ordinanza cautelare favorevole confermata in appello, e che poi sia del pari superata da una pronuncia di merito di segno opposto.
In tutti questi casi, all'evidenza, i tempi del giudizio risultano incompatibili con la necessità di tutelare l'affidamento del candidato, il quale risulti aver positivamente sostenuto le prove d'esame e magari iniziato a svolgere un'attività professionale, nonché di assicurare la certezza dei rapporti in ipotesi instaurati da terzi con tale professionista.
Ben diversa è la situazione, invece, laddove il provvedimento cautelare favorevole conseguito dal ricorrente sia oggetto di modifica o riforma all'interno della stessa fase cautelare di primo grado, e tale modifica o riforma intervenga prima che si sia esaurita la procedura d'esame: in questo caso appare evidente che, anche alla luce delle previsioni normative circa i tempi dell'appello avverso le ordinanze cautelari e la possibilità di misure provvisorie, nessun serio affidamento può consolidarsi in capo all'interessato o a terzi, sicché a ben vedere difettano proprio i presupposti ai quali la giurisprudenza costituzionale ha ancorato la legittimità della previsione de qua.
In questi casi, deve ritenersi che il sopravvenire di una statuizione di annullamento o riforma dell'ordinanza cautelare favorevole al candidato ricorrente, che si inserisce durante l'iter di svolgimento delle prove di esame, non possa non produrre il proprio ordinario effetto di far venir meno la base stessa della legittimità dell'ulteriore attività amministrativa, rendendo impossibile l'operatività del meccanismo di "stabilizzazione" di cui al citato comma 2 bis dell'art. 4.
3.4. Tale conclusione, ad avviso della Sezione, trova un rilevante aggancio testuale nella stessa lettera della disposizione in questione, la quale significativamente riconduce i propri effetti al superamento delle "prove d'esame scritte ed orali" quand'anche avvenuto a seguito di provvedimenti giurisdizionali: laddove, come già in passato rilevato da questa Sezione, l'uso della congiunzione "ed" ben può essere considerato indicativo della volontà del legislatore di salvare unicamente gli effetti delle procedure di esame che si siano interamente completate, con lo svolgimento sia delle prove scritte che di quelle orali, sulla base di un unico provvedimento giudiziale la cui validità ed efficacia siano perdurate per tutta la durata della procedura (in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, nr. 3389).
Ne consegue, in estrema sintesi, che in difetto di tale presupposto l'art. 4, comma 2 bis, del d.l. nr. 115 del 2005 non è suscettibile di produrre i propri effetti: è quanto avviene nel caso di specie, laddove la procedura di esame non si è correttamente svolta in esecuzione di un valido ed efficace provvedimento giurisdizionale (avendo l'odierno appellato superato le sole prove scritte sulla base di un'ordinanza cautelare non confermata in appello, e la sola prova orale sulla base di una successiva sentenza di merito).
3.5. I rilievi fin qui svolti dimostrano anche come sia del tutto irrilevante, ai fini della fondatezza dell'eccezione di improcedibilità dell'impugnazione sollevata dalla parte appellata, la circostanza che la fase cautelare di primo grado del presente giudizio si sia conclusa con un'ordinanza dichiarativa della improcedibilità dell'appello proposto dall'Amministrazione avverso l'ordinanza di accoglimento pronunciata dal T.A.R. della Lombardia.
In primo luogo infatti, come evidenziato dall'Amministrazione, la suddetta ordinanza di improcedibilità non può certo intendersi come confermativa delle statuizioni del primo giudice, essendosi la Sezione limitata in tale occasione a prendere atto dell'avvenuta esecuzione delle medesime; in secondo luogo - e quel che più rileva in questa sede -, in tale ordinanza la Sezione ha avuto cura di circoscrivere gli effetti della misura cautelare disposta in primo grado, precisando che questi si erano esauriti con la ricorrezione delle prove scritte e giammai avrebbero potuto comportare anche lo svolgimento degli orali, per i quali era necessario il sopravvenire di una pronuncia di merito favorevole.
In altri termini, a prescindere dal dispositivo di improcedibilità poi adottato, questo Consesso ha immediatamente chiarito (in coerenza, del resto, con quanto evincibile dal precedente decreto presidenziale di accoglimento dell'istanza dell'Amministrazione) che l'accoglimento dell'istanza cautelare proposta dal ricorrente non avrebbe mai potuto costituire la base per una valida prosecuzione della procedura di esame, dovendo in ogni caso attendersi le decisioni di merito.
3.6. Da quanto fin qui rilevato consegue anche che scarsa rilevanza assume, ai fini delle conclusioni raggiunte, il fatto che la ricorrezione delle prove scritte dell'originario ricorrente, ancorché effettuata in esecuzione dell'ordinanza cautelare del T.A.R. bresciano, sia avvenuta dopo che questa era stata paralizzata da un decreto presidenziale adottato da questa Sezione.
Tale circostanza, semmai, può comportare che nel caso che occupa neanche le sole prove scritte possano dirsi legittimamente superate ex art. 4, comma 2 bis, del d.l. nr. 115 del 2005, non potendo attribuirsi alcuna rilevanza alla tardiva comunicazione del decreto inaudita altera parte alla Commissione incaricata della ricorrezione degli elaborati di esame (tale Commissione, invero, costituisce null'altro che un'articolazione della stessa Amministrazione appellante, la quale era certamente a conoscenza del decreto presidenziale, per essere stata essa stessa a richiederlo e ad ottenerlo).
Tuttavia, al di là di ciò, l'interpretazione qui accolta della norma suindicata comporta che non diverse sarebbero state le conseguenze, in punto di carenza di una valida base all'esame di abilitazione sostenuto dall'odierno appellato, quand'anche la ricorrezione degli scritti fosse avvenuta in data anteriore al decreto presidenziale di accoglimento della richiesta di misura cautelare urgente formulata dall'Amministrazione appellante.
Né può accedersi all'impostazione di parte appellata, secondo cui la mancata conferma del predetto decreto presidenziale all'esito della camera di consiglio per l'esame collegiale dell'istanza cautelare comporterebbe che detto decreto andrebbe considerato tamquam non esset, e l'ordinanza cautelare di primo grado pienamente valida ed efficace in ogni momento: ciò potrebbe, forse, sostenersi laddove la Sezione avesse respinto l'istanza cautelare dell'Amministrazione, ciò che come detto non è avvenuto.
3.7. Alla luce di tutto quanto fin qui esposto, appare evidente che permane l'interesse dell'Amministrazione alla definizione del giudizio, e che la contraria eccezione di parte appellata va disattesa.
4. Nel merito, l'appello dell'Amministrazione è fondato.
5. Con il primo motivo d'impugnazione, l'Amministrazione censura le statuizioni del giudice di primo grado nella parte in cui è stato ritenuto insufficiente, ai fini della motivazione delle insufficienze riportate dal ricorrente nelle prove scritte, l'impiego del solo voto numerico, non accompagnato da giudizi analitici né da annotazioni o segni grafici idonei a esplicitare le ragioni delle valutazioni negative formulate dalla Commissione.
Al riguardo, la Sezione non ravvisa motivo per discostarsi dal proprio granitico indirizzo, secondo cui anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, i provvedimenti della commissione esaminatrice - che rilevano l'inidoneità delle prove scritte e non ammettono all'esame orale - vanno di per sé considerati adeguatamente motivati, quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 2010, nr. 953; id., 22 dicembre 2009, nr. 8628; id., 6 febbraio 2007, nr. 607; id., 22 giugno 2006, nr. 3924); né può sostenersi che la circostanza che sugli elaborati di un concorso pubblico non sia stato apposto alcun segno grafico di correzione sia elemento significativo da cui desumere la carenza di motivazione, sia perché essa non può significare che la prova non sia stata oggetto di correzione, sia perché la necessaria correlazione con i predeterminati criteri di valutazione è comunque garantita dalla graduazione ed omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l'espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione tra specifici ed obiettivi elementi di fatto, criteri di massima prestabiliti e conseguente attribuzione del voto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 953/2010, cit.; id., nr. 8628/2009 begin_of_the_skype_highlighting 8628/2009 end_of_the_skype_highlighting, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2008, nr. 3710; id., 4 ottobre 2006, nr. 5894; Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2006, nr. 3670).
6. Del pari fondato è il secondo motivo d'appello, con il quale l'Amministrazione censura la successiva pars costruens della sentenza impugnata, nella quale il primo giudice si è spinto al punto di sindacare il merito delle valutazioni della Commissione sulle prove di esame del ricorrente, considerando tali valutazioni manifestamente erronee o illogiche sulla scorta di autorevoli pareri dottrinari allegati al ricorso introduttivo.
Al riguardo, è fin troppo nota la giurisprudenza relativa ai limiti rigorosi che incontra il sindacato del giudice in subiecta materia, e parte appellante non riesce a dimostrare la sussistenza di quei macroscopici profili di illogicità o erroneità ai quali solo - come noto - può ricondursi un giudizio di illegittimità, essendo in tal senso irrilevanti i pur autorevoli pareri dottrinari che dovrebbero valere, nelle intenzioni di parte ricorrente, a inficiare le valutazioni della Commissione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2009, nr. 5413; id., 18 giugno 2009, nr. 3991; id., 11 gennaio 2008, nr. 71).
A ciò può aggiungersi che l'espressione di un giudizio di merito del tipo indicato da parte del giudice, nel momento in cui lo stesso ordina la ricorrezione delle prove d'esame, finisce per "indirizzare" indebitamente l'attività dell'Amministrazione nella rinnovazione della procedura valutativa.
7. La fondatezza dei due motivi di impugnazione testé esaminati è di per sé idonea e sufficiente a determinare l'accoglimento dell'appello, esonerando questo Collegio dall'esame del terzo motivo di impugnazione, incentrato sull'avere il T.A.R. individuato una diversa Commissione (quella istituita presso la Corte d'Appello di Milano in luogo di quella di Cagliari, originariamente competente) per la rinnovazione e l'ulteriore svolgimento delle prove d'esame: infatti, tale vizio investe non gli atti originariamente impugnati ma quelli posti in essere in esecuzione dell'ordinanza cautelare e della stessa sentenza impugnata, dei quali si è già detto essere travolti per effetto dell'accoglimento del presente gravame.
Tuttavia, la Sezione non può esimersi dallo stigmatizzare la scelta del primo giudice, che ha ingiustificatamente fatto tamquam non esset delle regole in materia di competenza territoriale delle Commissioni di esame per l'abilitazione alla professione di avvocato, introdotte in tempi relativamente recenti proprio per perseguire risultati di maggiore trasparenza e imparzialità delle valutazioni.
Ed invero, laddove l'esigenza cui il T.A.R. intendeva venire incontro fosse stata quella di garantire all'originario ricorrente la totale imparzialità della Commissione chiamata a rinnovare il giudizio rispetto a quella che aveva posto in essere gli atti impugnati, a tanto sarebbe stato sufficiente ordinare che alla rinnovazione degli atti procedesse una diversa sottocommissione, o comunque una Commissione in composizione fisicamente diversa da quella che aveva in precedenza corretto gli elaborati del dottor B..
8. In conclusione, s'impone l'accoglimento dell'appello, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e la reiezione del ricorso di primo grado.
9. Tenuto conto della peculiarità della vicenda processuale che occupa e della novità dei problemi che ha posto, almeno in parte, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:
Gaetano Trotta, Presidente
Armando Pozzi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere
Bruno Mollica, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 04 MAG. 2010.