LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FANTACCHIOTTI Mario - Presidente -
Dott. CALABRESE Donato - Consigliere -
Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere -
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -
Dott. LANZILLO Raffaella - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Z.R., elettivamente domiciliato in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell'avvocato RUFFOLO UGO, che lo difende, giusta delega in atti;
- ricorrente –
contro
CESCO CIAPANNA EDITORE SRL;
- intimata –
e sul 2^ ricorso n. 12717/04 proposto da:
CESCO CIAPANNA EDITORE SRL, in persona del suo amministratore unico, legale rappresentante pro tempore sig. B.A., elettivamente domiciliata in ROMA VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio dell'avvocato PIERI NERLI GIOVANNI, difesa dall'avvocato MORA PAOLO con procura speciale del notaio dr.ssa Maria Lida Cianci, in Roma, del 9/03/05, Rep. 69570;
- controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
Z.R.;
- intimato –
avverso la sentenza n. 1026/03 della Corte d'Appello di ROMA, terza sezione civile, emessa il 14/02/03, depositata il 3/03/03, R.G. 61/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/08 dal Consigliere Dott.ssa LANZILLO Raffaella;
udito l'Avvocato CARTONI MOSCATELLI Piera (per delega Avv. RUFFOLO Ugo, depositata in udienza);
udito l'Avvocato OLIVIERI Eros (per delega Avv. MORA Paolo, depositata in udienza);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Z.R. ha convenuto davanti al Tribunale di Roma la s.r.l. Cesco Ciapanna Editore (d'ora in avanti, l'Editore) e la s.p.a. Kodak, chiedendone la condanna in via solidale al risarcimento dei danni arrecatigli tramite la pubblicazione non autorizzata di due sue fotografie sul periodico Fotografare, edito dalla prima società.
Le fotografie ritraevano l'attore in piazza di Spagna, a Roma, nel contesto di un articolo che pubblicizzava una nuova pellicola Kodak.
Le convenute si sono costituite, resistendo alla domanda. La Kodak ha eccepito la propria estraneità ai fatti, mentre l'Editore ha affermato che lo Z. aveva dato il suo consenso.
Con sentenza n. 22582 del 1999 il Tribunale di Roma ha dichiarato illecita la pubblicazione e ha inibito l'ulteriore diffusione delle fotografie, ma ha respinto le domande di risarcimento dei danni, escludendo che ricorressero danni patrimoniali e ritenendo non risarcibili i danni non patrimoniali, poichè l'illecito non costituisce reato. Ha respinto ogni domanda nei confronti della Kodak.
Con sentenza 14 febbraio - 3 marzo 2003 n. 1026, la Corte di appello di Roma ha respinto l'appello principale dello Z. e l'appello incidentale dell'Editore, compensando le spese del grado.
Con atto notificato il 16 aprile 2004 lo Z. ha proposto ricorso per cassazione, affidandone l'accoglimento a due motivi.
Resiste con controricorso l'Editore, proponendo a sua volta tre motivi di ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi (art. 335 c.p.c.).
2. - Appare logicamente pregiudiziale l'esame dei primi due motivi del ricorso incidentale.
Con il primo motivo, deducendo violazione dell'art. 244 c.p.c., e ss., e delle norme sulle prove, nonchè difetto o contraddittorietà di motivazione su di un punto decisivo della controversia, l'Editore lamenta che erroneamente la Corte di appello abbia omesso di prendere in esame le circostanze da cui risultava che lo Z. aveva dato il suo consenso alla pubblicazione, ritenendo anche inattendibile un teste, perchè parente del rappresentante legale della s.r.l. Cesco Capanna.
2.1. - Il motivo è inammissibile, perchè tendente ad ottenere una diversa valutazione dei fatti, rispetto a quella a cui è pervenuta la Corte di appello, con motivazione che non appare in alcun modo censurabile.
La ricorrente neppure indica gli aspetti in cui la motivazione sarebbe da ritenere illogica, contraddittoria od insufficiente; solo censura il risultato del procedimento interpretativo seguito dal giudice di merito, richiedendo un nuovo giudizio in materia: nuovo giudizio che è inammissibile in questa sede.
3. - Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione alla L. n. 633 del 1941, art. 97, ed all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè difetto assoluto di motivazione su di un punto decisivo della controversia, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia del tutto omesso di prendere in esame l'eccezione da lui proposta, tendente a dimostrare la legittimità della pubblicazione delle fotografie anche senza il consenso dell'interessato, perchè avvenuta per scopi scientifici, didattici o culturali, come previsto dalla L. n. 633 del 1941, art. 97.
3.1. - Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha in effetti omesso di decidere in ordine alla suddetta eccezione, che era stata ritualmente proposta fra i motivi di appello.
La sentenza deve essere su questo punto cassata.
4. - L'accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale non consente di ritenere assorbiti i motivi del ricorso principale poichè, ove il Giudice di rinvio rigetti l'eccezione sollevata dall'Editore ai sensi dell'art. 97 cit., si dovrà procedere alla liquidazione dei danni: questione a cui si riferiscono i due motivi del ricorso principale.
Come questa Corte ha avuto occasione di precisare, "l'assorbimento di un motivo di ricorso per cassazione postula che la questione con esso prospettata si presenti incondizionatamente irrilevante, al fine della decisione della controversia, a seguito dell'accoglimento di un altro motivo, e pertanto non è configurabile ave la questione stessa possa diventare rilevante in relazione ad uno dei prevedibili esiti del giudizio di rinvio, conseguente alla cassazione della sentenza impugnata per il motivo accolto. In tal caso, la Corte di cassazione deve procedere egualmente all'esame di quel motivo, annullando eventualmente la medesima sentenza anche in relazione ad esso, sia pure condizionatamente ad un determinato esito del giudizio di rinvio sulla questione oggetto del motivo principale accolto" (Cass. civ., Sez. 3^, 6 giugno 2006 n. 13259. Conf. Cass. civ. 26 marzo 2008 n. 7836).
5. - Venendo pertanto al ricorso principale, la Corte di appello ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni con la motivazione che, pur accertata l'illiceità del comportamento della società editrice, lo Z. non ha fornito alcuna prova di avere subito danni patrimoniali. Non ha dimostrato che avrebbe potuto utilizzare diversamente la sua immagine a fini di lucro, nè ha fornito alcun elemento idoneo a consentire quanto meno una valutazione equitativa dei danni medesimi.
Considerato poi che il fatto non costituisce reato, nè ricorre altra norma di legge che consenta il risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 c.c., la Corte di merito ha negato anche il risarcimento di quest'ultima categoria di danni.
Con il primo motivo - denunciando violazione degli artt. 10, 2043, 2056 c.c., e L. n. 633 del 1941, art. 96, e L. n. 675 del 1996, art. 18, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione - il ricorrente lamenta la mancata liquidazione dei danni patrimoniali.
Addebita alla sentenza impugnata di avere disatteso principi ormai acquisiti in dottrina, e più volte applicati dai Giudici di merito, secondo cui, nel caso di illecita pubblicazione dell'immagine, il danno patrimoniale va ravvisato, quanto meno, nella violazione del diritto della parte lesa allo sfruttamento esclusivo dell'immagine stessa e va quantificato nel c.d. "prezzo del consenso", cioè nella somma che il ritrattato avrebbe potuto ottenere quale corrispettivo della volontaria concessione a terzi del diritto di pubblicare la propria fotografia.
Afferma il ricorrente che ciò non richiede la prova precisa (non sempre possibile) dell'entità del danno, che deve essere in ogni caso liquidato sulla base di parametri presuntivi, quali la diffusione e la notorietà del periodico, la finalità pubblicitaria a cui la riproduzione dell'immagine sia destinata, ecc.. Negando la liquidazione equitativa, la Corte di appello sarebbe incorsa anche nella violazione dell'art. 2056 c.c..
Ulteriore profilo di erroneità della sentenza impugnata andrebbe ravvisato nel fatto che l'indebita pubblicazione dell'immagine costituisce anche illecito trattamento di dati personali, in violazione della L. n. 675 del 1996, il cui art. 18, impone espressamente al contravventore l'obbligo del risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 2050 c.c..
5.1. - Il motivo è fondato, nei termini che seguono.
Fermo restando che la parte lesa dall'indebita pubblicazione della sua immagine ha sempre il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali di cui sia in grado di fornire la prova, in base ai principi generali di legge in materia, è indubbio che in molti casi non appare agevole nè configurare natura ed entità del pregiudizio propriamente economico, nè quantificarne l'importo, pur essendo certi ed incontestabili sia l'illiceità del comportamento dell'autore della pubblicazione, sia il fatto che questi ne abbia tratto vantaggio.
Si è rilevato, allora, che (anche in mancanza di prova di altre, specifiche voci di danno, determinabili ai sensi dell'art. 2056 c.c., e ss., e art. 1223 c.c., e ss.) l'interessato ha comunque il diritto di far valere a titolo di danno patrimoniale la perdita dei vantaggi economici che avrebbe potuto conseguire se - essendogli stato chiesto il consenso alla pubblicazione - avesse potuto negoziarne la concessione e chiedere per essa un compenso.
Considerato, cioè, che ogni singolo soggetto ha il diritto esclusivo sulla propria immagine ed è il solo titolare del diritto di sfruttarla economicamente, ne consegue che con la pubblicazione non autorizzata l'autore dell'illecito si appropria indebitamente di vantaggi economici che sarebbero spettati alla vittima.
Il risarcimento dei danni patrimoniali consiste, pertanto, nel ritrasferire quei vantaggi dall'autore dell'illecito al titolare del diritto, e ad essi va commisurata l'entità della liquidazione (c.d. prezzo del consenso alla pubblicazione), se del caso determinandone l'importo in via equitativa, ai sensi dell'art. 2056 c.c..
Il principio non solo è stato più volte applicato dalla giurisprudenza di merito citata dal ricorrente, e talvolta anche da questa Corte (così, implicitamente, Cass. civ., Sez. 1^, 1^ dicembre 2004 n. 22513), ma è stato anche recepito nelle leggi, tramite la modificazione introdotta dal D.Lgs. n. 140 del 2006, art. 5, alla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 128, sulla protezione del diritto di autore, il cui comma 2, oggi dispone che il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dei diritti di utilizzazione economica deve essere quantificato ".... ai sensi dell'art. 2056 c.c., comma 2 anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto......sulla base quanto meno dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l'autore della violazione avesse chiesto al titolare l'autorizzazione per l'utilizzazione del diritto".
Il nuovo testo dell'art. 128, non era in vigore all'epoca dei fatti di cui è causa, ma recepisce un criterio interpretativo elaborato e più volte applicato anche in precedenza, di cui conferma la validità.
E' indubbio che la quantificazione dei danni con riferimento al prezzo del consenso può risultare in molti casi tutt'altro che agevole: in particolare, qualora il soggetto leso non sia persona nota, alla cui immagine possa essere attribuito un valore economico oggettivamente determinabile.
La liquidazione va compiuta, in tal caso, ai sensi dell'art. 2056 c.c., con riferimento agli utili presumibilmente conseguiti dall'autore dell'illecito, in relazione alla diffusione del mezzo su cui la pubblicazione è avvenuta, alle finalità (pubblicitarie o d'altro genere) che esso intendeva perseguire, e ad ogni altra circostanza rilevante allo scopo.
Erroneamente, pertanto, la Corte di appello ha negato al ricorrente il risarcimento dei danni patrimoniali, anche nei limiti sopra indicati.
5.2. - La censura relativa alla violazione della L. n. 675 del 1996, art. 18, peraltro inammissibile, perchè non proposta nei giudizi di merito - risulta assorbita.
6. - Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 2059 c.c., e L. n. 675 del 1996, art. 29, il ricorrente afferma che la violazione del diritto all'immagine integra di per sè una fattispecie di risarcibilità dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 10 c.c.. Analogo principio deve desumersi dalla citata L. n. 675, art. 29, a tutela della riservatezza.
6.1. - Il motivo è fondato.
Il diritto all'immagine rientra fra i diritti della personalità che - nei loro aspetti non patrimoniali - integrano diritti inviolabili della persona, la cui violazione attribuisce al titolare il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali.
L'art. 10 c.c., è stato normalmente interpretato nel senso che la lesione del diritto all'immagine dà diritto anche al risarcimento dei danni non patrimoniali, soluzione confermata e rafforzata dal rilievo che, trattandosi di diritto costituzionalmente protetto (art. 2 Cost.), vale il principio più volte enunciato da questa Corte, secondo cui la relativa lesione non è soggetta al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p., e non presuppone la qualificabilità del fatto come reato, giacchè il rinvio di cui all'art. 2059 c.c., "....ben può essere riferito....... anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica, implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale" (Cass. civ., Sez. 3^, 31 maggio 2003 n. 8828, fra le altre).
La norma della L. n. 675 del 1996, art. 29, richiamata dal ricorrente, si uniforma ai suddetti principi, offrendo ulteriore argomento di carattere sistematico a conforto della soluzione prospettata dal ricorrente.
Erroneamente, pertanto, la Corte di appello di Roma ha escluso la risarcibilità dei danni non patrimoniali.
7. - Il terzo motivo del ricorso incidentale, con cui l'Editore censura la sentenza impugnata in relazione alla liquidazione delle spese, risulta assorbito dalla cassazione della sentenza medesima che, comportando il riesame dell'intera vicenda, richiederà un nuovo giudizio anche sulle spese processuali.
8. - Ne consegue che, in accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, affinchè prenda in esame la domanda dell'Editore di accertamento della liceità della pubblicazione, ricorrendo i presupposti di cui alla legge sul diritto di autore art. 97.
In accoglimento dei due motivi del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere altresì cassata, nei capi in cui ha rigettato le domande di risarcimento dei danni, affinchè il suddetto Giudice di rinvio ove ritenga di respingere l'eccezione relativa all'applicabilità dell'art. 97 cit., si uniformi ai seguenti principi di diritto:
"L'illecita pubblicazione dell'immagine altrui obbliga l'autore al risarcimento dei danni non patrimoniali sia ai sensi dell'art. 10 c.c., sia ai sensi della L. n. 675 n. 1996, art. 29, ove la fattispecie configuri anche violazione del diritto alla riservatezza, sia in virtù della protezione costituzionale dei diritti inviolabili della persona, di cui all'art. 2 Cost.: protezione costituzionale che di per sè integra fattispecie prevista dalla legge (al suo massimo livello di espressione) di risarcibilità dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 c.c..
L'illecita pubblicazione dell'immagine altrui obbliga al risarcimento dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico che la vittima abbia risentito dalla pubblicazione e di cui abbia fornito la prova.
In ogni caso, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione: somma da determinarsi in via equitativa, con riferimento al vantaggio economico conseguito dall'autore dell'illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto, in particolare, dei criteri enunciati dalla L. n. 633 del 1941, art. 128, comma 2, sulla protezione del diritto di autore".
P.Q.M.
La Corte di cassazione riunisce i ricorsi.
Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale.
Accoglie il primo motivo (nei termini di cui in motivazione) e il secondo motivo del ricorso principale.
Rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il terzo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2008.