Il danno morale e il danno esistenziale, del quale, si può oggi dire, il danno biologico costituisce una specie, costituiscono, secondo la recente pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (SSUU n 26972/2008), articolazioni del danno non patrimoniale individuato dall'art. 2059 cc. In tal senso, le Sezioni Unite in linea di continuità con le sentenze gemelle del 2003 della Suprema Corte (le nn 8827 e 8828) hanno ridotto ad unità danno morale e danno esistenziale dopo un tortuoso cammino aperto formalmente dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 184 del 1986 con la quale il danno biologico era stato espunto dall'ambito del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 cc per transitare in un'ampia categoria di danno patrimoniale ex art. 2043 cc, sul rilievo che il patrimonio non è costituito da soli beni patrimonialmente valutabili ma anche da ulteriori diritti inviolabili, nel complesso costitutivi il patrimonio personale di ciascun individuo, come il diritto alla salute tutelato dall'art. 32 cost.
Il salto compiuto dalla Corte Costituzionale nel 1984 era giustificato dalla necessità di superare le strettoie di quella che era l'allora granitica lettura giurisprudenziale dell'art. 2059 cc a mente del quale il danno non patrimoniale poteva essere risarcito solo laddove l'evento lesivo fosse stato un fatto di reato posta la necessità di un'espressa previsione di legge ex art. 2059 cc e la norma di raccordo di cui all'art. 185 cp che pone l'obbligo di risarcire il danno da parte del responsabile dell'illecito penale.
Nel solco tracciato dalla Consulta, con la sentenza n. 184, è stata successivamente delineata, per le medesime esigenze di tutela, la più ampia figura del danno esistenziale che, così come il danno biologico, poteva essere risarcito sulla base dell'art. 2043 cc ove dipendente dalla lesione di diritti inviolabili di fonte costituzionale ulteriori rispetto a quello alla salute (si pensi ai diritti alle relazioni familiari siccome riconosciuti dagli artt. 2, 29 e 30 cost, al diritto all'immagine, al diritto alla riservatezza ed all'identità personale quali desumibili dall'art. 2 cost). In tale prospettiva, il danno esistenziale veniva distinto dal danno morale in quanto, mentre il primo si riferiva alle modificazioni peggiorative delle dinamiche di vita, il secondo avrebbe avuto riguardo alle sofferenze interiori (al riguardo, con le sentenze gemelle del 2003, la Suprema Corte ha, tuttavia, osservato come anche l'incisione delle dinamiche esterne di vita ha rilievo, ai fini risarcitori, nella misura in cui cagioni una sofferenza morale).
In ogni caso, secondo una parte della dottrina e giurisprudenza il danno esistenziale coincideva con l'evento lesivo e non era una conseguenza risarcibile da dover specificamente provare, secondo altra tesi, invece, esso era una conseguenza del fatto illecito da provare anche mediante il ricorso a meccanismi presuntivi. Secondo una certa versione di questa tesi, poi, per la somministrazione della tutela risarcitoria del danno esistenziale, non era neppure un requisito imprescindibile l'incisione di un diritto costituzionalmente rilevante.
Con l'individuazione del danno biologico e del danno esistenziale (nelle sue variegate sfaccettature - mobbing, danno da rimbalzo o riflesso dei prossimi congiunti in caso di decesso, danno da incisione del corretto sviluppo delle relazioni familiari in caso di omessa assistenza), il danno morale, individuato come sofferenza psicologica transeunte, si era visto sottrarre un vasta casistica sino a diventare una voce di danno residuale riconoscibile nei soli casi in cui il fatto costituisse reato ovvero se una legge espressamente ne stabiliva la risarcibilità.
La contemporanea dilatazione dello spazio applicativo del danno esistenziale e la difficoltà di distinguere sul piano ontologico il danno morale dal danno esistenziale hanno condotto la Suprema Corte, prima con le sentenze gemelle del 2003 e, successivamente, con le Sezioni Unite del 2008, a rimeditare integralmente la materia del risarcimento del danno non patrimoniale, riconducendo la casistica e le variegate forme di danno alla persona fiorite nell'alveo dell'art. 2059 cc riletto in una prospettiva costituzionalmente orientata.
Secondo il nuovo indirizzo propugnato dalla Corte di legittimità, da una parte non è più legittimo, ex art. 2059 cc, negare il risarcimento del danno non patrimoniale (del quale il danno biologico, il danno esistenziale/morale costituiscono delle estrinsecazioni) in difetto di un'espressa previsione legislativa o se il fatto non costituisca reato, ove l'evento lesivo abbia inciso su diritti costituzionalmente rilevanti. Per altro verso, però, il danno esistenziale non potrà essere risarcito ove l'interesse leso non abbia valenza costituzionale. Inoltre il danno non patrimoniale dovrà essere sempre oggetto di prova, se del caso con il ricorso a meccanismi presuntivi. La Corte ha, poi, implicitamente riconosciuto la sostanziale affinità di danno biologico e danno esistenziale essendo il primo una particolare specie del secondo. V'è ancora da aggiungere che la Suprema Corte afferma la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc anche in caso d'inadempimento contrattuale ove l'obbligazione inadempiuta attenga ad interessi della persona di rango costituzionale.
Il salto compiuto dalla Corte Costituzionale nel 1984 era giustificato dalla necessità di superare le strettoie di quella che era l'allora granitica lettura giurisprudenziale dell'art. 2059 cc a mente del quale il danno non patrimoniale poteva essere risarcito solo laddove l'evento lesivo fosse stato un fatto di reato posta la necessità di un'espressa previsione di legge ex art. 2059 cc e la norma di raccordo di cui all'art. 185 cp che pone l'obbligo di risarcire il danno da parte del responsabile dell'illecito penale.
Nel solco tracciato dalla Consulta, con la sentenza n. 184, è stata successivamente delineata, per le medesime esigenze di tutela, la più ampia figura del danno esistenziale che, così come il danno biologico, poteva essere risarcito sulla base dell'art. 2043 cc ove dipendente dalla lesione di diritti inviolabili di fonte costituzionale ulteriori rispetto a quello alla salute (si pensi ai diritti alle relazioni familiari siccome riconosciuti dagli artt. 2, 29 e 30 cost, al diritto all'immagine, al diritto alla riservatezza ed all'identità personale quali desumibili dall'art. 2 cost). In tale prospettiva, il danno esistenziale veniva distinto dal danno morale in quanto, mentre il primo si riferiva alle modificazioni peggiorative delle dinamiche di vita, il secondo avrebbe avuto riguardo alle sofferenze interiori (al riguardo, con le sentenze gemelle del 2003, la Suprema Corte ha, tuttavia, osservato come anche l'incisione delle dinamiche esterne di vita ha rilievo, ai fini risarcitori, nella misura in cui cagioni una sofferenza morale).
In ogni caso, secondo una parte della dottrina e giurisprudenza il danno esistenziale coincideva con l'evento lesivo e non era una conseguenza risarcibile da dover specificamente provare, secondo altra tesi, invece, esso era una conseguenza del fatto illecito da provare anche mediante il ricorso a meccanismi presuntivi. Secondo una certa versione di questa tesi, poi, per la somministrazione della tutela risarcitoria del danno esistenziale, non era neppure un requisito imprescindibile l'incisione di un diritto costituzionalmente rilevante.
Con l'individuazione del danno biologico e del danno esistenziale (nelle sue variegate sfaccettature - mobbing, danno da rimbalzo o riflesso dei prossimi congiunti in caso di decesso, danno da incisione del corretto sviluppo delle relazioni familiari in caso di omessa assistenza), il danno morale, individuato come sofferenza psicologica transeunte, si era visto sottrarre un vasta casistica sino a diventare una voce di danno residuale riconoscibile nei soli casi in cui il fatto costituisse reato ovvero se una legge espressamente ne stabiliva la risarcibilità.
La contemporanea dilatazione dello spazio applicativo del danno esistenziale e la difficoltà di distinguere sul piano ontologico il danno morale dal danno esistenziale hanno condotto la Suprema Corte, prima con le sentenze gemelle del 2003 e, successivamente, con le Sezioni Unite del 2008, a rimeditare integralmente la materia del risarcimento del danno non patrimoniale, riconducendo la casistica e le variegate forme di danno alla persona fiorite nell'alveo dell'art. 2059 cc riletto in una prospettiva costituzionalmente orientata.
Secondo il nuovo indirizzo propugnato dalla Corte di legittimità, da una parte non è più legittimo, ex art. 2059 cc, negare il risarcimento del danno non patrimoniale (del quale il danno biologico, il danno esistenziale/morale costituiscono delle estrinsecazioni) in difetto di un'espressa previsione legislativa o se il fatto non costituisca reato, ove l'evento lesivo abbia inciso su diritti costituzionalmente rilevanti. Per altro verso, però, il danno esistenziale non potrà essere risarcito ove l'interesse leso non abbia valenza costituzionale. Inoltre il danno non patrimoniale dovrà essere sempre oggetto di prova, se del caso con il ricorso a meccanismi presuntivi. La Corte ha, poi, implicitamente riconosciuto la sostanziale affinità di danno biologico e danno esistenziale essendo il primo una particolare specie del secondo. V'è ancora da aggiungere che la Suprema Corte afferma la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc anche in caso d'inadempimento contrattuale ove l'obbligazione inadempiuta attenga ad interessi della persona di rango costituzionale.