Trattando dell'azione collettiva risarcitoria di cui all'art. 140 bis del codice del consumo quale introdotto dall'art. 2 comma 446 della l. n. 244 del 24 dicembre 2007, non può non prendersi spunto dal modello della class action statunitense, laddove, in prsenza di un illecito di un soggetto giuridico idoneo ad offendere una pluralità di soggetti, l'azioe collettiva intrapresa da un soggetto, valutato come adeguatamente rapprsentativo della collettività, risulta idonea a fare stato, sia in senso positivo che negativo, nei confronti dell'intera collettività rappresentata, salva la possibilità di esercitare l'opt out dichiarando di non voler partecipare all'iniziativa processuale e di non volersi avvalere degli esiti della stessa.
La class action statunitense condivide, con l'azione collettiva di cui all'art. 140 bis, la finalità che può essere individuata nel risarcimento in favore di una molteplicità di consumatori lesi da un illecito plurioffensivo.
Il disegno di legge Bersani prevedeva che la sentenza che definiva l'azione collettiva fosse, in caso d'esito favorevole, una sentenza d'accertamento del diritto al risarcimento del danno idonea a produrre effetti nei confronti di tutti i consumatori che avrebbero dovuto, poi, agire individualmente per la quantificazione del risarcimento. Il disegno di legge Bersani prevedeva, dunque, che, ove l'azione collettiva sortiva esito positivo, i singoli consumatori avrebbero potuto avvalersente mentre, in caso di esito sfavorevole, la sentenza non avrebbe fatto stato nei loro confronti, nè, peraltro, nei confronti delle altre associazioni.
Con l'art. 140 bis è, ora, previsto il meccanismo delle adesioni; il Legislatore, al comma 4 dell'art. 140 bis, stabilisce espressamente che la sentenza faccia stato anche nei confronti degli aderenti. Secondo parte della dottrina quanto stabilito dal comma 4 significherebbe che la sentenza è idonea a spiegare i suoi effetti esclusivamente in favore degli aderenti, secondo altra parte della dottrina, invece, la sentenza che definisce l'azione collettiva, ove favorevole ai consumatori, sarebbe idonea, quanto all'accertamento della responsabilità, a spiegare i suoi effetti sia nei confronti degli aderenti (che a differenza dei non aderenti potrebbero avvalersi anche del meccanismo della conciliazione di cui al comma 6 e di quello della formazione del titolo esecutivo su proposta dell'impresa soccombente di cui al comma 4), sia nei confronti dei non aderenti.
A favore della tesi che ritiene l'doneità della sentenza che definisce il giudizio collettivo a produrre effetti anche nei confronti dei non aderenti vi è la considerazione che la stessa non ha ad oggetto i diritti dei singoli consumatori ma soltanto l'accertamento della questione comune agli aderenti in quanto se, al contrario, avesse ad oggetto i diritti individuali dei singoli aderenti, la mancata adesione degli stessi impedirebbe la prosecuzione del processo. A rigor di logica, ciò, poi, comporterebbe anche che la stessa associazione dovrebbe poter agire anche in favore di altri consumatori individuali, in ipotesi di soccombenza nell'azione collettiva intrapresa per conto di una quota parte dei consumatori interessati.
Al riguardo, l'art. 140 bis prevede che la domanda con cui si inizia l'azione collettiva non richiede adesioni individuali ma solo l'allegazione di una fattispecie plurioffensiva da parte di un'associazione rappresentativa. Non è necessaria l'adesione di qualche consumatore ai fini dell'ammissibilità dell'azione collettiva. Il processo si può fare, dunque, anche senza adesioni. Il meccanismo delle adesioni è molto elastico, tanto è vero che l'adesione può essere espressa anche in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello. Se, dunque, si accede all'interpretazione dell'azione collettiva come un'azione che non ha ad oggetto i diritti dei singoli consumatori ma esclusivamente l'accertamento sulla responsabilità del professionista, occorre indagare sulla portata del disposto di cui al comma 5 dell'art. 140 bis che stabilisce: "la sentenza che definisce il giudizio promosso ai sensi del comma 1 fa stato anche nei confronti dei consumatori o utenti che hanno aderito all'azione collettiva".
Secondo una parte della dottrina, infatti, tale previsione importerebbe che l'azione collettiva è idonea a spiegare i suoi effetti giuridici (siano essi favorevoli o sfavorevoli) solo nei confronti delle parti presenti; secondo altra parte della dottrina, invece, Il V° comma stabilisce solo che la sentenza fa stato anche nei confronti degli aderenti in caso di esito sfavorevole dell'azione collettiva ma non anche che gli eventuali effetti della sentenza favorevole non si estendano ai non aderenti; ciò anche in applicazione di un principio generale che potrebbe essere desunto dall'art. 1306 cc in materia di obbligazioni solidali.
Con riferimento alla natura della sentenza che definisce l'azione collettiva di cui all'art. 140 bis, la dottrina semba concorde nel ritenere che la sentenza con cui si conclude l'azione collettiva, anche se determina i criteri di liquidazione del danno o la somma minima da corrispondere a ciascuno, è una sentenza di accertamento inidonea alla formazione del titolo esecutivo.
L'azione collettiva può, tuttavia, concludersi con una conciliazione della quale gli aderenti potranno avvalersi anche in via esecutiva (il verbale che definisce, infatti, la procedura di conciliazione è titolo esecutivo). Con riferimento alla disciplina dell'azione collettiva, la legge non chiarisce se vi possa essere una sola azione collettiva o se altre associazioni possano analogamente agire per l'esercizio della medesima azione collettiva anche dopo il rigetto della prima.