La class action è un modello d'azione che ha origine negli USA e che il Legislatore italiano, con la L. n. 244 del 24 dicembre 2007, ha tentato di introdurre con significativi adattamenti nell'ambito dell'ordinamento italiano e, in particolare, introducendo un nuovo articolo, il 140 bis, all'interno del codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005).
La class action in Italia si è, così, ampiamente discostata dalla class action degli USA, specie sotto il profilo degli effetti; profilo che rappresentava, a ben guardare, proprio l'elemento caratterizzante del modello statunitense.
La class action, negli USA, infatti, è un'azione intrapresa da un unico soggetto per conto di una classe di consumatori coinvolta diretta ad ottenere una sentenza che spieghi i suoi effetti nei confronti di tutti. Accertata l'idoneità rappresentativa del soggetto attore, i consumatori coinvolti possono formulare l'opt out, possono, cioè, decidere di non essere coinvolti dal processo, non potendo, in tal caso, giovarsi nè dell'effetto favorevole della sentenza, nè, per converso, essere pregiudicati dall'eventuale esito sfavorevole del giudizio.
Sotto il profilo fondamentale dell'estensione degli effetti, il modello italiano della class action disciplinata dall'art. 140 bis sembrerebbe, invece, fondarsi sul meccanismo opposto dell'opt in. I consumatori, cioè, che intendano giovarsi dell'eventuale sentenza favorevole (e che, conseguentemente, sono tenuti a subirne gli effetti sfavorevoli) sono solo quelli che abbiano deciso di aderire nelle forme previste dal medesimo art. 140 bis. E' vero che l'art. 140 bis prevede che il giudizio di accertamento sul diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori competa alle associazioni di cui al comma 1 dell'art. 139 ed alle associazioni e comitati adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere anche in difetto di adesioni e/o interventi dei singoli consumatori ma è anche vero che il comma 2 dell'art. 140 bis stabilisce chiaramente che: "i consumatori o utenti che intendono avvalersi della tutela prevista dal presente articolo devono comunicare per iscritto al proponente la propria adesione all'azione collettiva". Nella dottrina, si fronteggiano, dunque, la tesi di quanti ritengono che la sentenza che definisce la class action sia destinata a produrre effetti favorevoli anche sui non aderenti che non possono avvalersi esclusivamente degli effetti della conciliazione di cui al comma 6 e della possibilità di definizione transattiva di cui al comma 4 e la tesi di quanti ritengono, invece, che, per giovarsi della sentenza favorevole, è necessario partecipare alla class action nella forma minima dell'adesione individuale. E', peraltro, chiaro che le tesi convergono nel ritenere che, in armonia con la logica dell'opt in e per espressa volontà del legislatore, i consumatori non aderenti non possano essere pregiudicati dall'eventuale esito sfavorevole della sentenza che definisce il giudizio collettivo.
Come la clas action statunitense anche quella italiana ha previsto una prima fase necessaria e prodromica, affidata al Collegio, nella quale deve essere valutata l'ammissibilità della domanda. Negli Stati Uniti tale fase si è dimostrata essenziale in quanto, nel corso della stessa, molte delel azioni intraprese hanno potuto essere definite in via conciliativa.
Ben il 75% delle class action negli Stati Uniti sono state definite senza il dibattimento davanti alla giuria. Nel modello statunitense, il giudizio di ammissibilità è fondamentale, secondo parte della dottrina, invece, non vi era la medesima necessità di questa fase prodromica nell'ambito dell'azione collettiva italiana.