La Giurisprudenza in materia di danno da morte

Corte costituzionale del 27 ottobre 1994  n. 372
L'ostacolo a riconoscere ai congiunti, di persona deceduta a seguito di comportamento colposo altrui, un risarcimento "iure successionis" della lesione del diritto alla vita e alla salute non proviene dal carattere patrimoniale dei danni risarcibili ai sensi dell'art. 2043 c.c., bensì da un limite strutturale della responsabilità civile afferente sia all'oggetto del risarcimento, che non può consistere se non in una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, sia alla liquidazione del danno, che non può riferirsi se non a perdite; e, pertanto, la tutela risarcitoria del diritto alla salute, ex art. 2043 c.c. a cui va esteso il limite di cui sopra, non è in contrasto con gli art. 2 e 32 cost.

Va riconosciuto il risarcimento del danno, "jure proprio" ex art. 2059 c.c. al congiunto, di persona deceduta a seguito di comportamento colposo altrui, solo nell'ipotesi in cui il turbamento dell'equilibrio psichico, conseguente all'evento letale di cui sopra, anziché esaurirsi in un patema d'animo od in uno stato di angoscia transeunte, degeneri in un trauma fisico o psichico permanente.

Le questioni di legittimità costituzionale degli art. 2043 e 2059 c.c. (proposte, in riferimento agli art. 2, 3 e 32 cost., sotto il profilo che le norme non consentirebbero ai congiunti del soggetto deceduto a seguito di fatto illecito costituente reato di agire "iure proprio" per il risarcimento del danno derivante dalla lesione del loro diritto alla salute) non sono fondate, in quanto tale diritto, se non può essere fatto valere ai sensi dell'art. 2043 c.c., che non prevede una responsabilità oggettiva per pura causalità - può invece essere azionato ai sensi dell'art. 2059 c.c., essendo nella fattispecie il danno alla salute il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento psichico che sostanzia il danno morale soggettivo derivante dal reato.

Il danno alla salute dei congiunti, che venga concretamente accertato come conseguenza della morte della vittima, non è inquadrabile nell'art. 2043 c.c. per difetto del requisito della colpa sotto il profilo della prevedibilità dell'evento. Di conseguenza, non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 c.c.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 c.c. in relazione al danno biologico "iure hereditario", che non è risarcibile, nel caso di decesso immediato, non essendo sorto nel patrimonio del defunto un diritto di risarcimento relativo al danno alla salute.

Il danno alla salute dei congiunti della vittima non inerisce necessariamente all'estinzione del rapporto di parentela e non può, quindi, presumersi.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., il cui ambito applicativo comprende non soltanto il "pretium doloris", ma anche il trauma permanente, fisico o psichico, che derivi dal dolore per la morte del congiunto

È infondata la q.l.c. dell'art. 2043 c.c., sollevata in rapporto agli art. 3 e 32 cost. sul presupposto che la norma primaria precluderebbe la pretesa al risarcimento, "iure hereditario", per danno biologico da morte. Infatti l'illecito, dal quale sia derivata la morte immediata della persona, non è stato causa di perdite a carico della persona offesa ormai defunta.


Cassazione Civile  Sez. III del 23 febbraio 2004  n. 3549

Il danno alla salute subito dai prossimi congiunti della vittima di un incidente stradale costituisce danno non patrimoniale, risarcibile "iure proprio" nei confronti di tali soggetti ove sia adeguatamente provato il nesso causale tra la menomazione dello stato di salute dell'attore ed il fatto illecito; la valutazione in ordine alla sussistenza e all'ammontare di tale pregiudizio costituisce valutazione di merito, sottratta alla sindacabilità in cassazione ove adeguatamente motivata. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito che, a fronte di una documentazione attestante una cura per forma depressiva reattiva eseguita dai genitori della vittima di un incidente stradale, aveva ritenuto tale documentazione inidonea a provare il nesso causale, in quanto avente contenuto generico e non proveniente da uno specialista in psichiatria).

A norma dell'art. 2043 c.c., ai prossimi congiunti di un soggetto, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo, compete il risarcimento del danno anche patrimoniale, purché sia accertato in concreto che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a beneficiare in futuro. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la sentenza di merito avesse fatto corretta applicazione di questo principio, avendo escluso la risarcibilità del danno patrimoniale da morte del figlio in capo ai genitori conviventi, avendo accertato che il figlio convivente, ventitreenne, già percepiva un reddito da attività lavorativa e non versava ai parenti una somma superiore a quella occorrente al suo mantenimento, nè vi erano elementi per ritenere che tanto avrebbe potuto verificarsi in futuro).

Nel caso di morte di una persona causata dal fatto illecito altrui non è concepibile l'insorgenza, in capo al defunto e con testualmente alla morte, di un "diritto al risarcimento del danno da perdita della vita", in quanto non è concepibile che un diritto soggettivo possa sorgere per effetto della morte di chi ne dovrebbe essere titolare.

Nel caso in cui le lesioni personali causino - dopo un certo arco di tempo - la morte della vittima, quest'ultima acquista e trasmette agli eredi il diritto al risarcimento del danno biologico soltanto se la sopravvivenza si sia protratta per un tempo sufficiente a rendere apprezzabile la perdita di tipo biologico patita dal danneggiato.

Nel caso in cui le lesioni personali causino - dopo un certo arco di tempo - la morte della vittima, quest'ultima acquista e trasmette agli eredi il diritto al risarcimento del solo danno biologico da invalidità temporanea, e non già quello da invalidità permanente. Tale danno, tuttavia, non può essere liquidato con i criteri standard, ma va opportunamente personalizzato al fine di tenere conto della effettiva perdita della qualità della vita della vittima nel periodo tra le lesioni e la morte.

A norma dell'art. 2043 cc., ai prossimi congiunti di un soggetto, d ceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo, compete il risarcimento del danno naturale e patrimoniale, purché sia accertato in concreto che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a beneficiare in futuro.

Nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse è configurabile un danno biologico risarcibile subito dal danneggiato, da liquidarsi in relazione alla effettiva menomazione dell'integrità psicofisica da lui patita per il periodo di tempo indicato e il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi. Nel caso di morte immediata, invece, la perdita del diritto alla salute, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi.


Cassazione Civile  Sez. III del 17 gennaio 2008 n. 870
Il danno all’integrità psico-fisica, trasmesso "iure hereditatis" dalla persona deceduta ai suoi stretti congiunti, va risarcito anche quando la sopravvivenza della vittima è limitata ad uno spazio temporale molto breve; non risulta stabilito in linea generale quale durata debba avere la sopravvivenza perché possa essere ritenuta apprezzabile, ai fini del risarcimento del danno biologico, ma è del tutto evidente che non può escludersi in via di principio che sia apprezzabile una sopravvivenza che si protrae per tre giorni (nella specie la Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte D’Appello che aveva negato ad una coppia di genitori - che aveva perso il giovane figlio in un incidente stradale – il danno biologico "iure hereditatis" perché il ragazzo era sopravvissuto solo per tre giorni).

Mentre non è possibile risarcire il c.d. danno tanatologico o da morte, inteso quale lesione definitiva ed immediata del diritto alla vita (diverso in quanto tale dal diritto alla salute), è però ammesso il risarcimento del cd. danno terminale biologico, ossia del danno che è maturato in capo alla vittima (trasmissibile agli eredi) ove la morte della stessa non sia seguita immediatamente alle lesioni ma tra l'infortunio (nella fattispecie sinistro stradale) e la morte sia intercorso un apprezzabile lasso temporale, ancorché minimo (nella specie, tre giorni).

La lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall'evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, giacché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso, essendovi un'effettiva compromissione dell'integrità psico-fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis. (Nella specie la S.C., in applicazione del riportato principio e precisato che non risulta stabilito in via generale quale durata debba avere la sopravvivenza per poter essere ritenuta apprezzabile ai fini del risarcimento del danno biologico, non potendosi escludere in via di principio che sia apprezzabile una sopravvivenza protrattasi per tre giorni, ha cassato sul punto la sentenza impugnata con cui si era affermato che la sopravvivenza di tale durata non era stata sufficiente a far acquistare alla vittima il diritto al risarcimento del danno biologico).

È giurisprudenza di questa Corte che il danno biologico degli stretti congiunti di una persona deceduta per effetto dell'illecita condotta altrui è risarcibile quando vi sia la prova di una lesione psicofisica. La giurisprudenza di questa Corte distingue inoltre il caso in cui la morte segua immediatamente o quasi alle lesioni da quello in cui tra le lesioni e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo. Nel primo caso esclude la configurabilità del danno biologico in quanto la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, incidendo sul diverso bene giuridico della vita; la ammette, viceversa, nel secondo caso, essendovi un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, e ne riconosce la trasmissibilità agli eredi.


Cassazione Civile Sez. III  del  01 dicembre 2003 n. 18305

Il danno biologico è risarcibile anche in capo alla d'incoscienza, poiché la lesione dell'integrità fisica è presente ugualmente sia che la vittima abbia coscienza della lesione sia che non l'abbia. Infatti, ciò che conta è l'esistenza della lesione biopsichica, che è un fatto oggettivo, non la conoscenza o la percezione di essa che la vittima possa avere avuto (nel caso di specie, la fattispecie aveva per oggetto il risarcimento "iure successionis" del c.d. "danno biologico terminale").

Il danno morale, quale turbamento ingiusto dello stato d'animo, comprende anche le sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima in stato d'incoscienza


Cassazione Civile Ssez. III  del  12 luglio 2006  n. 15760
In tema di danno da morte dei congiunti (danno parentale), il danno morale diretto deve essere integralmente risarcito mediante l'applicazione di criteri di valutazione equitativa rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia, naturale o legittima, ma solidale in senso etico. A tal fine sono utilizzabili parametri tabellari, applicati dai tribunali o dalle Corti, rispettando il principio della personalizzazione ed il criterio equitativo dell'approssimazione al preciso ammontare, senza fare applicazione automatica della tabelle concepite per la stima del danno biologico, che consiste nella lesione dell'integrità psicofisica, mentre il danno morale è costituito dalla lesione dell'integrità morale. (Nella specie, la Corte d'appello in relazione a un sinistro avvenuto in Taormina aveva riformato la sentenza di primo grado, la quale aveva fatto applicazione delle tabelle del tribunale di Milano, "perché prive di generalità e di certezza". La S.C. ha cassato la sentenza di appello, rilevando che le tabelle milanesi, essendo quelle statisticamente maggiormente testate, orientano in modo statisticamente più egualitario delle tabelle del tribunale di Messina, indicando un criterio generale di valutazione adottabile per arrivare ad una valutazione dell'"ammontare preciso" del risarcimento).

La certezza della morte, secondo le leggi nazionali ed europee è a prova scientifica, ed attiene alla distruzione delle cellule cerebrali e viene verificata attraverso tecniche raffinate che verificano la cessazione della attività elettrica di tali cellule. La morte cerebrale non è mai immediata, con due eccezioni: la decapitazione o lo spappola mento del cervello. In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da illecito, è trasferibile "mortis causa", facendo parte del credito del defunto verso il danneggiante ed i suoi solidali.


Cassazione Civile  Sez. Un. del 11 novembre 2008 n. 26972

La perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto - del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed omnicomprensiva - del danno non patrimoniale. Ne consegue che è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, del danno morale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale).

Quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione.

Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in se considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso,sovente liquidato in percentuale(da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità ditale operazione, dovrà il Giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Il Giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia inconsapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n.1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.

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