l'azione di regresso prima del passaggio in giudicato della sentenza penale di proscioglimento o di condanna dell'escusso, ovvero prima dell'estinzione del reato per una delle varie Ipotesi previste dalla legge penale per il caso in cui la notizia di reato non sia mai pervenuta al p.m. S.C. n. 968/2004
L’azione di regresso dell’I.N.A.I.L. nei confronti del datore di lavoro si fonda sul combinato disposto degli artt. 11, comma 1 e 10 comma 2 del d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124.Ai sensi dell’art. 11, comma 1 del d.p.r. cit. “L'istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili” ed in virtù dell’art. 10 comma 2 “Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato”. I commi 4 e 5 del d.p.r. n. 1124 del 30 giugno 1965 delineano ulteriormente, in via indiretta, le condizioni per l’esercizio dell’azione di regresso in quanto circoscrivono le possibilità di accertamento in sede civile della responsabilità penale del datore di lavoro stabilendo “Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale l'infortunio è derivato sia necessaria la querela della persona offesa. Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo”. La Corte Costituzionale è intervenuta, a più riprese, su tale complesso normativo dilatando l’ambito dell’azione di responsabilità civile nei confronti del datore di lavoro e quello dell’azione di regresso dell’I.N.A.I.L.Con la sentenza 9 marzo 1967, n. 22, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 10 del d.p.r. n. 1124/65, comma quinto nella parte in cui consente che il giudice possa accertare che il fatto che ha provocato l'infortunio costituisca reato soltanto nella ipotesi di estinzione dell'azione penale per morte dell'imputato o per amnistia, senza menzionare l'ipotesi di prescrizione del reato. Successivamente, la Corte, con sentenza 19 giugno 1981, n. 102, ha dichiarato: a) l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dagli artt. 10 e 11, d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui preclude in sede civile l'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. nei confronti del datore di lavoro qualora il processo penale promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto dal quale l'infortunio è derivato si sia concluso con sentenza di assoluzione, malgrado che l'Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto procedimento penale; b) l'illegittimità costituzionale del comma quinto dell'art. 10, d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L., l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione; c) l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dagli artt. 11 e 10, d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui dispone che, nel giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro per un infortunio di cui sia civilmente responsabile per fatto di un proprio dipendente, l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante anche nei confronti del datore di lavoro rimasto ad esso estraneo perché non posto in condizione di intervenire; d) l'illegittimità costituzionale, ex art. 27 legge n. 87 del 1953, del comma quinto dell'art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L., l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui la sentenza di condanna penale non faccia stato nel giudizio civile instaurato dall'I.N.A.I.L. Dalle normativa che risulta dai richiamati interventi della Corte Costituzionale, emerge che l’I.N.A.I.L., ove non abbia partecipato al procedimento penale, che sia stato avviato, potrà esercitare l’azione di regresso in sede civile, qualunque sia stato l’esito del procedimento penale.Va però escluso che l’I.N.A.I.L. possa esercitare l’azione di regresso prima che sia stato avviato un procedimento penale nei confronti del datore di lavoro e, ove tale procedimento sia stato incardinato, prima di attenderne l’esito.Ai sensi dell’art. 112 del d.p.r. n. 1124/1965, infatti, “il giudizio civile di cui all'art. 11 non può istituirsi dopo trascorso tre anni dalla sentenza penale che ha dichiarato di non doversi procedere per le cause indicate nello stesso articolo. L'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile”.Tale ultima norma, nel prevedere un termine di decadenza per la proposizione dell’azione di regresso correlato ai diversi esiti del procedimento penale, non può che presupporre la necessità che preliminarmente, ove possibile, sia stato dato avvio ad un procedimento penale, altrimenti si giungerebbe alla conclusione paradossale ed irragionevole per cui, in mancanza del procedimento penale, l’azione di regresso sarebbe svincolata dal rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 112 del d.p.r. n. 1124/65.D’altronde, il sistema appare ragionevole in quanto consente all’Istituto di valutare, sempre che sia materialmente possibile, gli atti del procedimento penale ed il suo esito e, sulla base di tale preliminare verifica, decidere, successivamente, se agire in via di regresso.Ad esempio, laddove, dall’istruttoria svolta in sede penale, appaia che non sussiste la responsabilità del datore di lavoro, l’I.N.A.I.L. potrà, anche se la sentenza penale non sia opponibile all’Istituto, decidere di non coltivare l’azione di regresso in sede civile per non esporsi al rischio della soccombenza anche in punto spese di lite.La Suprema Corte, in relazione al combinato disposto degli artt. 10, 11 e 112 del d.p.r. n. 1124 del 1965 ha avuto modo di precisare che l’I.N.A.I.L., in caso di mancato avvio del procedimento penale, può esercitare l’azione di regresso solo allorchè si sia verificato un fatto estintivo del reato (prescrizione, decesso del responsabile, amnistia) “mentre quando il reato sia ancora in vita sussiste l'obbligo dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio di denuncia al p.m. e correlativamente la pregiudizialità penale” (cfr. Cass Civ. Sez. Lav. n. 6749/1998).Con più chiarezza, la Suprema Corte, con la sentenza n. 968/2004 ha chiarito che “il termine triennale di prescrizione dell'azione di regresso dell'Inail nei confronti del datore di lavoro, nella ipotesi in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale a carico del datore di lavoro per non essere mai stato investito il giudice penale della cognizione dell'infortunio, decorre dalla data della prescrizione o di altra causa estintiva del reato, e non dalla data dell'infortunio, in quanto, fino a tale momento, è sempre possibile la instaurazione del processo penale, senza che rilevi in contrario la circostanza che, a seguito della entrata in vigore del nuovo c.p.p., è venuto meno il principio della necessaria pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello civile, atteso che, in tema di azione di regresso dell'Inail dal combinato disposto degli art. 10, 11, 111 e 112 d.P.R. n. 1124 del 1965 e dagli interventi della Corte costituzionale è ricavabile un sistema dei rapporti tra giudizio civile e giudizio penale che si pone in rapporto di specialità rispetto ai principi generali desumibili dal c.p.p., per effetto del quale l'Inail non può esercitare l'azione di regresso prima del passaggio in giudicato della sentenza penale di proscioglimento o di condanna dell'escusso, ovvero prima dell'estinzione del reato per una delle varie Ipotesi previste dalla legge penale per il caso in cui la notizia di reato non sia mai pervenuta al p.m.”