Buona scuola e mobilità: il diritto assoluto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere nell'ambito della moilità interprovinciale
Nell'ambito della seconda fase della mobilità che ha fatto seguito all'entrata in vigore della c.d. legge sulla buona scuola (l. n. 107/2015), si pone la questione se la circostanza di dovere prestare assistenza a familiare portatore di handicap con connotazione di gravità (art. 3 comma 3 della l. 104/92), debba costituire un titolo di precedenza assoluto e, cioè, valido anche per ottenere il trasferimento tra province. La questione si pone poichè la fonte collettiva che ha disciplinato tale vasto piano di mobilità ha previsto che si tratti di fattispecie integrante titolo di preferenza solo per la mobilità all'interno della provincia o per le assegnazioni temporanee. In sostanza, la pretesa passa attraverso l'integrazione della normativa di fonte collettiva sulla premessa che la medesima, non consentendo la mobilità interprovinciale, è nulla ai sensi dell'art. 1418 c.c.. Il diritto in questione deriverebbe dal combinato disposto degli articoli 601 del d.lgs n. 297/1994 e dell’art. 33 della legge 104/92, ovvero quello ad avere la precedenza nel riparto dei posti disponibili negli ambiti territoriali più prossimi al comune in cui il soggetto istante risiede.
Ordinanza cautelare del Tribunale di Taranto del 3 agosto del 2017
...Va precisato che il sistema della mobilità degli insegnanti è assai complesso (come si evince dal fatto che occorre una contrattazione nazionale integrativa che regolamenta il tutto), articolato in tre diverse fasi, via via consecutive.
La risoluzione della controversia dipende dall’interpretazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, come modificato dalla L. n. 53 del 2000, e, successivamente, dall’articolo 24, comma 1, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183, secondo cui il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (…) “ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
A sua volta, l’art. 601 d.l.vo 16.4.1994 n. 297 – testo unico in materia di istruzione – stabilisce che “gli articoli 21 e 33 della legge quadro 5 febbraio 1992 n. 104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate si applicano al personale di cui al presente testo unico” (co. 1) e che “le predette norme comportano la precedenza all’atto della nomina in ruolo, dell’assunzione come non di ruolo e in sede di mobilità” (co. 2).
L’interpretazione si giova dei ripetuti interventi della Corte costituzionale, con i quali è stato chiarito che la L. n. 104 del 1992 ha sicuramente un particolare valore, essendo finalizzata a garantire diritti umani fondamentali, e tuttavia l’istituto di cui al cit. articolo 33, comma 5, non è l’unico idoneo a tutelare la condizione di bisogno della “persona handicappata”, nè la stessa posizione giuridica di vantaggio prevista dalla disposizione in parola è illimitata, dal momento che, anzi, la pretesa del parente della persona handicappata a scegliere la sede di lavoro più vicina è accompagnata dall’inciso “ove possibile” (C. Cost. n. 406 del 1992, n. 325 del 1996, n. 246 del 1997, n. 396 del 1997). Nel più recente intervento sulla norma, è stato specificamente precisato che la possibilità di applicazione può essere legittimamente preclusa da principi e disposizioni che, per la tutela di rilevanti interessi collettivi, non consentano l’espletamento dell’attività lavorativa con determinate dislocazioni territoriali (C. Cost. n. 372 del 2002).
Le posizioni espresse dal Giudice delle leggi hanno ispirato l’orientamento della Suprema Corte, che ha ribadito il principio secondo cui il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio non è assoluto e privo di condizioni, in quanto l’inciso “ove possibile” richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto, con il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, in quanto in tali casi - segnatamente per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico -potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass. 829/2001, 12692/2002 e da ultimo, Cass. civ. Sez. Unite Sent., 27.03.2008, n. 7945).
Ora, venendo alla fattispecie in esame, deve preliminarmente disattendersi l’orientamento giurisprudenziale, ormai minoritario, secondo cui il beneficio di cui all’art. 33, comma 5, l. 104/92, anche dopo le modifiche introdotte dagli artt. 19 e 20 della l. n. 53 del 2000, in favore del familiare che assista con continuità un parente handicappato, è concedibile unicamente in fase di prima scelta della sede lavorativa (all’atto cioè dell’assunzione e non anche, come nella specie, in sede di trasferimento), aderendo questo giudice al più recente indirizzo che estende il beneficio in parola anche alle ipotesi di richiesta di trasferimento per sopravvenuta situazione di handicap (valga per tutte, Cass., 18.12.2013, n. 28320).
Ciò posto, la richiesta avanzata dal ricorrente, con istanza di mobilità interprovinciale Ambito Sicilia per l’a.s. 2017/2018, con diritto di precedenza ex art. 33 l. 104/92 –risultando documentato essere la madre Milici Maria residente in Menfi-Agrigento) portatrice di stato di handicap grave, ai sensi dell’art. 3, co. 3, l. 104/92, a decorrere da marzo 2016, come da decreto di omologa emesso in sede di procedimento ex art. 415 bis c.p.c. del 14.1.2017 dal tribunale di Sciacca, in atti (all. n. 1, fasc. ric.)- appare fondata.
Invero, l’unico rilievo plausibile alla negazione del diritto vantato (essendo il MIUR contumace nel presente giudizio) è rappresentato dalla esistenza di una norma pattizia ostativa, art. 7, punto V, CCNI sulla mobilità per l’a.s. 2015/16, secondo cui, in assenza anche di una sola delle condizioni previste dal precedente co. 3, “per il figlio referente unico che assiste un genitore in presenza di coniuge o di altri figli, la precedenza nella mobilità provinciale prevista dalla l. 104/92 potrà essere fruita esclusivamente nelle operazioni di mobilità annuale”, ripresa poi nell’Ordinanza Ministeriale del 12/4/2017 n. 221.
L’interpretazione che il Ministero ha dato in controversie analoghe, nelle quali risulta costituito (e che ha condotto a negare all’Ognibene in via amministrativa il diritto di precedenza), è la seguente: i genitori e i coniugi di persone disabili con handicap grave hanno diritto di precedenza anche nei trasferimenti interprovinciali, vale a dire per gli spostamenti di carattere definitivo; ai figli che prestano medesima assistenza non è negato il diritto suddetto ma è stato “limitato” ai soli spostamenti temporanei della mobilità annuale (e quindi non definitivi).
La questione del contendere riguarda quindi la nullità o meno di detta norma contrattuale ai sensi dell’art. 1418 C.C.C stante la natura imperativa della normativa di cui alla L. n. 104/92.
Pur non essendo prevista, infatti, un’espressa sanzione di nullità per violazione dell’art. 33, comma quinto, della legge n. 104/1992, la natura di norma imperativa di tale disposizione è comunque evincibile dalla ratio legis di essa e dalla sua collocazione all’interno di una legge contenente “i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale ed assistenza alla persona handicappata” (art. 21 l. 104/1992) ed avente come finalità la garanzia del pieno rispetto della dignità umana e dei diritti di libertà ed autonomia della persona handicappata, la promozione della piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; la prevenzione e la rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; il perseguimento del recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, l’assicurazione di servizi e di prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata; la predisposizione di interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata (cfr. art. 1 L. 104/92).
Come evidenziato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (sent. N. 7945 del 27.3.2008): “La posizione di vantaggio ex art. 33 si presenta come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta da parte del familiare-lavoratore che presta assistenza con continuità a persone che sono ad esse legate da uno stretto vincolo di parentela o di affinità. La ratio di una siffatta posizione soggettiva va individuata nella tutela della salute psico-fisica del portatore di handicap nonché in un riconoscimento del valore della convivenza familiare come luogo naturale di solidarietà tra i suoi componenti. A tale riguardo va evidenziato che la Corte Costituzionale ha rimarcato la rilevanza anche a livello della Carta fondante delle indicate finalità perseguite dalla disposizione in esame. Ed invero il giudice delle leggi – nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma quinto del citato art. 33, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione nella parte in cui tale norma riconosce il diritto del lavoratore dipendente a scegliere la sede pi vicina al proprio domicilio – ha affermato che la suddetta disposizione richiede come condizione che il lavoratore sia convivente con l’handicappato; ed invero la maggior tutela accordata all’ipotesi in cui il portatore di handicap riceve già assistenza rispetto a quella – altrettanto meritevole di tutela – ma diversa in cui il lavoratore non è convivente, e si rende quindi necessario il suo trasferimento per attendere alle cure del congiunto – lungi dal rappresentare una discriminazione ingiustificata, costituisce una scelta discrezionale del legislatore non irragionevole finalizzata alla valorizzazione dell’assistenza familiare del disabile, allorquando corrisponda ad una modalità di assistenza in atto, la cui speciale salvaguardia valga ad evitare rotture traumatiche e dannose alla convivenza (cfr. ordinanza Corte Cost. n. 325 del 1996). In questa occasione la Corte Costituzionale ha avuto anche modo di ricordare come esaminando alcuni profili della legge n. 104 del 1992 ne abbia già sottolineato l’ampia sfera di applicazione, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacenti, la tutela dei portatori di handicap, ha anche aggiunto che essa incide sul settore sanitario ed assistenziale, sula formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sulla integrazione scolastica, e che in generale dette misure hanno il fine di superare – o di contribuire a far superare – i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative e nell’esercizio dei diritti costituzionalmente protetti (cfr. sentenza n. 406 del 1992)”.
Il rilievo, anche costituzionale, dei diritti che l’art. 33, comma quinto, della legge n. 104 del 1992 è diretto a tutelare, rende evidente che la norma in questione costituisce norma imperativa, la cui violazione da parte di disposizioni contrattuali comporta la nullità di queste ultime, ai sensi dell’art. 1418, comma primo, c.p.c..
Al riguardo occorre richiamare l’evoluzione giurisprudenziale in materia. Statuisce questo tribunale (giudice dott. L. De Napoli, ord. 13.08.2013) “la clausola pattizia appena citata, nel limitare il diritto di scelta prioritaria del dipendente, che assista con continuità il genitore in stato di handicap grave, alla sola mobilità annuale, escludendolo invece nella mobilità definitiva, deve ritenersi nulla, a norma dell’art. 1418 c.c., per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 33 co. 5 l. 5.2.1992 n. 104, e conseguentemente deve essere disapplicata, dovendo accordarsi la precedenza ai dipendenti tutelati da detta norma rispetto agli altri dipendenti in ciascuna fase delle procedure di trasferimento, con il solo limite, derivante dall’inciso “ove possibile” contenuto nella citata norma, della vacanza in organico e della materiale disponibilità del posto rivendicato”.
Tale orientamento ha trovato conferma, in vicenda analoga, nell’ordinanza emessa dal Tribunale di Lecce in data 13.07.2008, confermata con sentenza del 10.07.2009, nonché nell’ordinanza resa da questo giudicante in data 15/9/2015 (Perrone Maria c. Miur n. 6161/2015 r.g.).
Non si giustifica dunque l’ulteriore disparità di trattamento tra docenti che partecipano alla mobilità provinciale e quelli che, come l’odierno ricorrente, partecipano alla mobilità interprovinciale, essendo tale distinguo estraneo alla disciplina normativa nazionale e comunitaria.