transazione novativa con il datore di lavoro e effetti previdenziali

Gli effetti previdenziali di una transazione novativa tra lavoratore e datore di lavoro intervenuta dopo la sentenza di primo grado

 

La giurisprudenza di legittimità è sempre stata concorde e consolidata nel ritenere che al fine della costituzione del rapporto previdenziale il contratto di lavoro subordinato rappresenta soltanto un presupposto di fatto che può essere disconosciuto dall'ente previdenziale senza la necessità per quest'ultimo di impugnare il contratto stesso. Pertanto la transazione con cui le parti qualificano come lavoro subordinato il rapporto giuridico tra esse intercorso non spiega alcuna efficacia nei confronti dell'ente previdenziale, il quale ha il diritto-dovere di accertare autonomamente l'esistenza dei requisiti richiesti dalla legge per la costituzione del rapporto previdenziale (Cass. sez. lav., 28 gennaio 1985, n. 473).In maniera più specifica, si è ritenuto che la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro sia estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, giacché alla base del credito dell'ente previdenziale deve essere posta la retribuzione dovuta e non quella corrisposta, in quanto l'obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera, ovvero che questi abbia rinunziato ai suoi diritti. Pertanto, attesa l'autonomia tra i due rapporti, la transazione suddetta non spiega effetti riflessi nel giudizio con cui l'INPS fa valere il credito contributivo (Cass. sez. lav., 3 marzo 2003, n. 3122).

In tale quadro si inserisce la decisione della S.C. n. 19587 del 2017 che, in apparente contrasto con tale consolidato assetto giurisprudenziale, ha ritenuto che la transazione intervenuta tra il datore di lavoro ed il lavoratore a seguito di una pronuncia favorevole del giudice i prime cure che aveva ritenuto l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti e l'esistenza delle relative differenze retributive, dovesse, in definitiva, estinguere, inter partes e nei confronti del terzo Inps, gli effetti della sentenza di primo grado, cosicchè l'Inps non doveva ritenere l'esistenza del rapporto di lavoro accertato dalla snetenza di primo grado a fini pensionistici nè quella delle relative differenze retributive.

Più nel dettaglio, il caso oggetto di esame riguarda una lavoratrice che aveva intrapreso un giudizio nei confronti del proprio datore di lavoro chiedendone la condanna al pagamento delle differenze retributive e alla regolarizzazione della posizione previdenziale. Le indicate domande erano state accolte dal giudice di prime cure. Nel prosieguo del medesimo giudizio le parti avevano stipulato una transazione in forza della quale il datore di lavoro aveva corrisposto al lavoratore la somma di € 10.000,00 “per puro spirito di liberalità ed al solo fine di evitare un danno all’immagine ….. senza alcuna relazione con quanto dedotto e richiesto dal lavoratore.” Nelle more, l’INPS aveva iniziato la procedura di recupero coattivo dei contributi per il periodo indicato e la relativa cartella esattoriale non era stata opposta. Tuttavia, dopo l’intervenuta transazione tra datore e lavoratore, l’Istituto previdenziale aveva provveduto, in autotutela, ad annullare la cartella esattoriale ed a richiedere alla lavoratrice, ormai pensionata, la restituzione delle somme corrisposte in più sul trattamento di quiescenza. L’assicurata, pur avendo sottoscritto l’indicata transazione, ha proposto giudizio nei confronti dell’INPS chiedendo la condanna dello stesso Istituto all’accredito dei contributi maturati nel periodo oggetto di transazione nella misura effettivamente dovuta nonché alla conseguente ricostituzione della pensione di vecchiaia di cui era titolare ed al pagamento delle somme spettantile a titolo di differenze sui ratei della medesima pensione. 

 

Cassazione civile, sez. lav., 04/08/2017 n. 19587

In tema di obblighi previdenziali, qualora sia intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore una conciliazione giudiziale relativa alla definizione delle pendenze riconducibili alla cessazione ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato sottostante, il negozio transattivo stipulato tra le parti ha natura novativa, costituendo l'unica ed originaria fonte dei diritti e degli obblighi successivi alla risoluzione, con la conseguenza che le somme dovute al lavoratore, ancorché aventi natura retributiva, restano disancorate dal preesistente rapporto e il relativo importo non può essere computato per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale.

Ciò posto, il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell'intima connessione delle censure svolte, e sono infondati.

Va premesso che la Corte territoriale ha accertato in fatto che il Pretore di Vasto, accogliendo la domanda dell'odierno ricorrente, aveva condannato la sua datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive e alla regolarizzazione della posizione previdenziale e, dato atto che nel prosieguo del giudizio le parti erano addivenute ad una transazione, in esecuzione della quale il presunto datore di lavoro aveva corrisposto all'odierno ricorrente la somma di Euro 10.000,00 "per puro spirito di liberalità ed al solo fine di evitare un danno all'immagine (...) senza alcuna relazione con quanto dedotto e richiesto dal lavoratore", ha desunto che la somma fosse stata "erogata (...) senza alcun riferimento al preteso rapporto di lavoro" e, conseguentemente, "la natura novativa della transazione" (così la sentenza impugnata, pag. 2). Considerato che nei confronti di tale accertamento di fatto non sono state proposte censure di sorta, reputa il Collegio che del tutto correttamente la Corte territoriale abbia sussunto la vicenda concretamente occorsa inter partes nell'ambito delle transazioni novative, negando per conseguenza che le somme corrisposte in esecuzione di essa potessero essere assoggettate a contribuzione: questa Corte, infatti, ha già avuto modo di chiarire che, qualora sia intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore una conciliazione giudiziale relativa alla definizione delle pendenze riconducibili alla cessazione ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato sottostante, il negozio transattivo stipulato ha le parti ha natura novativa, costituendo l'unica ed originaria fonte dei diritti e degli obblighi successivi alla risoluzione, di talchè le somme dovute al lavoratore, ancorchè aventi natura retributiva, restano disancorate dal preesistente rapporto e il relativo importo non può essere computato per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale (Cass. n. 20146 del 2010).

Quanto sopra, ovviamente, non equivale a dire che la transazione potesse avere ad oggetto il rapporto previdenziale, che è giuridicamente distinto dal rapporto di lavoro e, facendo capo ad un soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro (e presentando per di più connotati pubblicistici), non è ovviamente disponibile per le parti del rapporto di lavoro medesimo: tanto è vero che, in altra fattispecie, questa Corte non ha mancato di precisare che la transazione intervenuta tra il datore di lavoro ed il lavoratore e relativa alle obbligazioni retributive gravanti sulla parte datoriale è inopponibile all'ente previdenziale, stante che la nozione di retribuzione imponibile di cui L. n. 153 del 1969. art. 12, deve correlarsi a tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere dal datore di lavoro, indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi siano concretamente adempiuti o che il lavoratore abbia rinunciato ai propri diritti (Cass. n. 2642 del 2014).

Il punto, tuttavia, è che, giusta l'accertamento compiuto dalla Corte di merito, la transazione sopraggiunta in specie inter partes ha eliminato dal mondo giuridico il pregresso accertamento giudiziale del rapporto di lavoro subordinato, che dell'obbligazione contributiva costituisce indefettibile presupposto. E se ciò rende l'odierna fattispecie strutturalmente differente rispetto a quella esaminata da Cass. n. 2642 del 2014, cit., dal momento che lì vi era stato un accertamento giudiziale dell'illegittimità del licenziamento e il lavoratore si era limitato a rinunciare agli effetti della pronuncia di reintegra nel posto di lavoro, vale la pena precisare che non potrebbe nella specie codesto accertamento giudiziale essere surrogato dalla mancata opposizione del datore di lavoro alla cartella esattoriale con cui l'INPS gli aveva richiesto il pagamento dei contributi in ipotesi dovuti, avendo questa Corte ormai chiarito che la scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo, ma non anche la formazione di alcun giudicato sul presupposto del credito medesimo, essendo la cartella mero atto amministrativo al quale non è applicabile il disposto di cui all'art. 2953 c.c., (Cass. S.U. n. 23397 del 2016).

Dovendo pertanto ritenersi che del tutto legittimamente l'INPS abbia esercitato la propria potestà di autotutela, non potendo ovviamente configurarsi nè obblighi contributivi nè prestazioni previdenziali senza previo accertamento di un rapporto di lavoro subordinato,

 

 

 

 

 

 

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