L'individuazione della retribuzcione proporzionata e sufficiente ex art 36 cost ed il principio dell'assorbimento della maggior retribuzione ricevuta in relazione all'applicazione dei minimi previsti dai contratti collettivi
Con riferimento al tema dell'individuazione della retreibuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 cost laddove risulti acclarata giudizialmente la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a fronte di un lavoro differentemente qualificato ovvero non qualificato si pone, in via generale, il problema di individuare il parametro di calcolo di tale retribuzione.
Al riguardo, il Giudice, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, può ricorrere alle tabelle del contratto collettivo di categoria a prescindere dall'adesione delle parti alle associazioni sindacali stipulanti. Il giudice è altresì libero di utilizzare fonti collettive diverse da quelle richieste quali parametri di riferimento adeguatamente motivando la diversa scelta.
Ciò detto, un problema che si è posto sovente è quello relativo al caso in cui il lavoratore abbia percepito mensilmente somme superiori a quelle previste dalla contrattazione collettiva. In tal caso, ha precisato la giurisprudenza, opera il principio dell'assorbimento nel senso che la maggior somma mensilmente percepita dal lavoratore andrà a copertura delle mensilità aggiuntive e, ove residui un ulteriore importo, potrà essere trattenuta dal lavoratore a meno che il datore di lavoro non dimostri di essere incorso in un errore essenziale.
Diverso il discorso con riguardo al TFR che dovrà, invece, essere interamente corrisposto con riferimento alle somme effettivamente corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro in armonia con il disposto di cui all'art. 2120 c.c.
Cassazione civile sez. lav. 09/03/2011 n 5552
In tema di determinazione del trattamento retributivo spettante al lavoratore subordinato, una volta accertata in giudizio l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in contrasto con la qualificazione del rapporto come autonoma operata dalle parti, trova applicazione - salvo che per le indennità di fine rapporto che maturano al momento della cessazione del rapporto medesimo - il principio dell'assorbimento, per cui ove il trattamento economico complessivamente erogato in concreto dal datore di lavoro risulti superiore a quello minimo dipendente dalla qualificazione del rapporto, non debbono essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai compensi periodicamente corrisposti, dovendosi, peraltro, escludere che il lavoratore sia tenuto, sulla mera richiesta del datore di lavoro, a restituire tale eccedenza, atteso che i contratti collettivi stabiliscono le retribuzioni minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che ciò impedisca al datore di lavoro di erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse semplicemente offerte al lavoratore o determinate da una contrattazione ovvero conseguenti alla diversa e inesatta qualificazione del rapporto tra le parti, la quale può essere frutto di un errore delle parti ma anche della volontà di usufruire di una normativa specifica ovvero di eluderla. Ne consegue che il datore di lavoro, ove chieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva, ha l'onere di dimostrare che la maggior retribuzione è stata determinata da un errore essenziale avente i requisiti di cui agli art. 1429 e 1431 c.c.
La retribuzione spettante al lavoratore subordinato deve essere stabilita, dunque, sulla base del criterio dell'assorbimento, e non di quello del cumulo dei compensi pattuiti e dei minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva. Il principio non comporta, però, che, ove si accerti che il compenso pattuito dalle parti era superiore a quello minimo previsto dal contratto collettivo, il lavoratore debba necessariamente restituire tale eccedenza, ove ciò sia richiesto dal datore di lavoro, giacchè, secondo principi costantemente affermati da questa Corte, le retribuzioni fissate dai contratti collettivi costituiscono le retribuzioni minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che sia impedito al datore di lavoro erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse determinate a seguito di contrattazione tra le parti o semplicemente da lui offerte al lavoratore, con la conseguenza che, ove il datore richieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo, non può limitarsi a provare che il suddetto contratto prevede, per le prestazioni svolte, retribuzioni inferiori, ma deve dimostrare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dell'altro contraente, ossia di un errore che presenti i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c. (Cass. 4942/2000, Cass. 4499/87). E tale principio vale anche nella particolare ipotesi in cui venga accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro in luogo di quella autonoma formalmente prescelta dalle parti, poichè anche la diversa qualificazione del rapporto operata dalle parti, e risultata poi non esatta, può essere bensì frutto di un mero errore delle parti stesse, ma può derivare anche dalla loro volontà di usufruire di una normativa specifica, oppure di eluderla (cfr. Cass. 17455/2009, nonchè Cass. 20669/2004).
10.- Applicando i suddetti principi al caso in esame, deve osservarsi anzitutto che non è controverso, e costituisce anzi il presupposto di entrambi i due primi motivi del ricorso principale, il fatto che la G. abbia percepito nel periodo compreso tra il mese di dicembre 1991 e il mese di luglio 1994, oggetto dell'esame, un trattamento economico complessivamente superiore a quello previsto dal contratto collettivo applicabile alla fattispecie. Come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, deve pertanto ritenersi che non possano essere liquidati in favore della lavoratrice emolumenti aggiuntivi rispetto a quelli periodicamente erogati dal datore di lavoro. Il giudice d'appello ha dichiarato poi che "nulla è dovuto a G.E. a titolo di differenze retributive dal 2.12.91 al 21.7.94" e, dunque, essendo rimasta ferma la statuizione contenuta nella sentenza di primo grado di condanna al pagamento della somma dovuta a titolo di trattamento di fine rapporto - statuizione che era distinta da quella concernente la somma liquidata a titolo di differenze retributive - la ricorrente non ha interesse ad una pronuncia di accertamento del diritto alla corresponsione, in aggiunta a quanto già ricevuto, anche del trattamento di fine rapporto, trattandosi di un punto rispetto al quale essa è risultata completamente vittoriosa nelle precedenti fasi del giudizio. Quanto alle somme erogate in eccesso rispetto al trattamento minimo previsto dal contratto collettivo, non è stato neppure dedotto che tale corresponsione sia avvenuta per un errore che presenti i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c., sicchè, sulla base dei principi sopra indicati sub 9, il primo motivo del ricorso principale deve essere accolto, restando assorbito il secondo motivo.
Cassazione civile sez. lav. 23/01/2006 n 1261
La conseguenza dell'accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto di lavoro di un venditore retribuito a provvigioni non è la nullità parziale della pattuizione individuale relativa al solo compenso fisso, con la conservazione delle provvigioni, ma il riconoscimento del diritto del lavoratore alla retribuzione sufficiente e proporzionata in base alle previsioni del contratto collettivo per il livello riconosciuto. Il confronto fra il trattamento economico complessivamente fruito sulla base di un rapporto qualificato come contratto di agenzia, e quello spettante in virtù della riqualificazione del rapporto come contratto di lavoro subordinato deve essere globale, nel senso che il complesso dei compensi, variabili e fissi, corrisposti al lavoratore nel periodo considerato va detratto dal complesso dei compensi attribuiti ope iudicis in virtù del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro subordinato.
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