La tutela dei soci lavoratori nelle cooperative

La tutela dei soci lavoratori in caso di delibere di esclusione dalle società cooperative di lavoro e gli effetti sul distinto rapporto di lavoro ai sensi della legge n 142 del 2001 
 

 

 
Con la legge n. 142/2001 è stata affermata la cd. "teoria dualistica": accanto al rapporto associativo del socio di cooperativa coesiste un ulteriore e distinto rapporto di lavoro (art. 1, comma 3).
 
La l. 14 febbraio 2003, n. 30 (art. 9) ha cancellato le parole "e distinto", per cui il rapporto di lavoro del socio è sì "ulteriore" rispetto al rapporto associativo, ma non si distingue più da quest'ultimo, rispetto al quale assume anzi una posizione ancillare. 
 
Infatti, la 1. n. 30 del 2003 ha altresì previsto che:
 
a) la risoluzione del rapporto associativo comporta l'automatica estinzione anche del rapporto di lavoro, in sintonia con l'art. 2533 c.c. nella versione novellata dal d.lgs. n. 6 del 2003;
 
b) l'esercizio dell'attività sindacale, di cui al titolo III dello st. lav., troverà applicazione soltanto se compatibile con il rapporto associativo, nei limiti definiti da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative;
 
c) la regolamentazione normativa del rapporto sia associativo che di lavoro trova la sua fonte primaria nel contratto sociale e nel regolamento, essendo la cooperativa tenuta unicamente a rispettare il trattamento economico risultante dai contratti collettivi nazionali di lavoro;
 
d) sempre a proposito di regolamentazione normativa del rapporto del socio-lavoratore, il ruolo primario della fonte interna, anche regolamentare, risulta confermato anche dal novellato art. 2533 c.c., a norma del quale l'esclusione dalla cooperativa è espressamente prevista per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico, mentre, in precedenza, l'art. 2527 c.c. si limitava a richiamare i casi stabiliti dall'atto costitutivo. 
 
Quanto poi all'esclusione-licenziamento del socio-lavoratore, unicamente si prevede, in negativo, l'inapplicabilità dell'art. 18 st. lav. (art. 2, comma 1°).
 
Il legislatore, dunque, prevedendo che "il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi ì rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali" (così l'art. 1, comma 3, come mod. dalla L. n. 30 del 2003, art. 9), ed incentrando su tale fondamentale norma di qualificazione gli ulteriori svolgimenti della posizione giuridica del socio lavoratore, ha definitivamente ratificato la possibilità di rendere compatibili, anche nelle cooperative di lavoro, mutualità e scambio, ridimensionando la portata di una concezione puramente associativa del fenomeno cooperativo.
 
I rapporti di lavoro che possono essere costituiti con le società cooperative debbono essere previsti dal regolamento che le società cooperative sono tenute ad emanare.
 
Peraltro, in caso di mancata adozione del regolamento, i rapporti che la cooperativa "intende attuare" con i soci (per richiamare l'espressione dell'art. 6, comma 1) saranno quelli corrispondenti al tipo contrattuale che l'attuazione del rapporto manifesta e che, in caso di contestazione, il socio prospetti in giudizio e chieda di provare, senza che si determini alcun vuoto di regolamentazione, alla luce della regola fondamentale, introdotta dal legislatore, della duplicità dei rapporti che qualificano il lavoro cooperativo e della applicabilità a tali rapporti di tutti i conseguenti effetti di disciplina (art. 1, comma 3).
 
 
Un tratto già evidenziato ma problematico è quello inerente i rapporti tra il contratto associativo ed il contratto di lavoro è quello delle ricadute, sul rapporto lavorativo, della cessazione del rapporto associativo.
 
Prevede la L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 2, nel testo modificato dalla L. n. 30 del 2003, art. 9, comma 1, lett. d, che "il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie ed in conformità con gli artt. 2526 e 2527 c.c.".
 
Si tratta di disposizione che trova corrispondenza nel nuovo testo dell'art. 2533 c.c., u.c., (che ha modificato l'originario art. 2527 c.c.), ai sensi del quale "quando l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti" e che, al suo primo comma, stabilisce che l'esclusione del socio possa avvenire "1) nei casi previsti dall'atto costitutivo; 2) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico...".
 
Ora, dalle norme riportate, sembrerebbe emergere l'automaticità della cessazione del rapporto lavorativo in rapporto all'esclusione del socio lavoratore.
 
Il legislatore ha, in particolare, previsto un rapporto di consequenzialità fra il recesso o l'esclusione del socio e l'estinzione del rapporto di lavoro, il che, secondo Cass n 14741/2011, esclude la necessità, in presenza di comportamenti che ledono il contratto sociale oltre che il rapporto di lavoro, di un distinto atto di licenziamento, così come l'applicabilità delle garanzie procedurali connesse all'irrogazione di quest'ultimo. 
 
Tuttavia, ha osservato nella medesima occasione la S.C., incidendo la delibera di esclusione pure sul concorrente rapporto di lavoro, il giudice, nello scrutinare la sussistenza dei relativi presupposti di legittimità, dovrà, comunque, valutare, attraverso un adeguato bilanciamento degli interessi, tanto l'interesse sociale ad un corretto svolgimento del rapporto associativo quanto la tutela e la promozione del lavoro in cui essenzialmente si rispecchia la "funzione sociale" di questa forma di mutualità. Il che implica, fra l'altro, che, rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro, indipendentemente dall'applicabilità dell'art. 18 dello Statuto.
 
Se tale approdo risultasse confermato, tuttavia, non si comprenderebbe, a ben guardare, il senso della previsione della mancata applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
 
Ed infatti, laddove la delibera di esclusione fosse ritenuta illegittima ne risulterebbe caducato il provvedimento consequenziale di recesso con la conseguente tutela reale. Ove, invece, la delibera di esclusione fosse legittima non vi sarebbero spazi applicativi dell'art. 18 in quanto il recesso risulterebbe atto dovuto.
 
Insomma, uno spazio applicativo dell'art. 2 appare potersi configurare solo laddove sia ipotizzabile una diversa valutazione dell'atto di recesso dal rapporto di lavoro e dell'atto di esclusione dalla compagine sociale.
 
Diversamente dovrebbe potersi ipotizzare una gamma di patologie dell'atto di esclusione con la conseguenza che solo la più grave di tali patologie potrebbe determinare il venir meno di tale atto, con il conseguente ripristino del rapporto di lavoro mentre, in ipotesi patologiche meno gravi, dovrebbe potersi ipotizzare un'illegittimità derivata dell'atto di recesso con l'applicazione della tutela risarcitoria di cui all'art. 8 della l. n. 604/1966.
 
La ricostruzione, tuttavia, appare, ictu oculi, fragile, in primo luogo, in quanto priva di agganci nella norma e, in secondo luogo, perchè, in presenza di un atto di esclusione, illegittimo ma esistente, il recesso dal rapporto associativo si configura, di per sè, come atto doveroso.
 
Dovrebbe, dunque, ipotizzarsi una distinta azione risarcitoria assumendo la consequenzialità dell'atto di recesso da una delibera di esclusione illegittima e parametrando il danno subito a quello stabilito dall'art. 8 della l. n. 604 del 1966 in via analogica.
 
 
Cassazione civile    sez. lav. 05/07/2011 n 14741
 
 
Posto che, ai sensi dell'art. 5, comma 2, l. n. 142 del 2001 (come modificato dall'art. 9, comma 1, lett. d, l. n. 30 del 2003), letto in combinato disposto con l'art. 2533 c.c., il rapporto di consequenzialità fra l'esclusione del socio - per comportamenti che ledono il contratto sociale oltre che il rapporto di lavoro - e l'estinzione del rapporto di lavoro esclude la necessità di un successivo e distinto atto di licenziamento, non sono da applicarsi le garanzie procedimentali dell'art. 7 statuto dei lavoratori, previste per il caso di licenziamento disciplinare.



3. Infondato è anche il secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta, con riferimento alla disposta esclusione dalla cooperativa, la mancata applicazione dell'art. 7 dello Statuto.
Prevede la L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 2, nel testo modificato dalla L. n. 30 del 2003, art. 9, comma 1, lett. d, che "il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie ed in conformità con gli artt. 2526 e 2527 c.c.".
Si tratta di disposizione che trova corrispondenza nel nuovo testo dell'art. 2533 c.c., u.c., (che ha modificato l'originario art. 2527 c.c.), ai sensi del quale "quando l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti" e che, al suo primo comma, stabilisce che l'esclusione del socio possa avvenire "1) nei casi previsti dall'atto costitutivo; 2) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico...".
Tali norme hanno sostituito le scarne indicazioni che, con riferimento al recesso e all'esclusione del socio, si rinvenivano nella L. n. 142 del 2001, e che si risolvevano nella disposizione (art. 2) che escludeva l'applicazione dell'art. 18 Statuto "ogni volta che viene a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo".
Al riguardo, non si può mancare di considerare che la disciplina dell'esclusione del socio, per come risultante dalle modifiche introdotte nel 2003, è stata considerata come la più significativa emersione dell'intento del legislatore di riconfermare la preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro, recuperando alla dimensione societaria le protezioni lavoristiche introdotte ex novo con la legge quadro del 2001, in evidente collegamento con la soppressione, nell'art. 1 del testo originario della legge di riforma, del riferimento ad un rapporto di lavoro non solo "ulteriore", ma anche "distinto" da quello associativo.
Si tratta, tuttavia, di opinione che, nella sua versione più rigida (e di cui si ha traccia nella sentenza impugnata, laddove si afferma che il rapporto di lavoro viene sostanzialmente "assorbito" in quello associativo), finisce col non considerare che il legislatore del 2003, pur evidenziando la necessità di un più stretto collegamento genetico e funzionale del rapporto di scambio mutualistico con quello associativo, ha confermato il tratto essenziale della riforma, e cioè la sicura coesistenza, nella cooperazione di lavoro, di una pluralità di rapporti contrattuali e la conseguente irriducibilità del lavoro cooperativo ad una dimensione puramente societaria, con la connessa coesistenza di una pluralità di tutele, coerenti con la pluralità di cause contrattuali che descrivono, solo nel loro insieme, la posizione giuridica del socio lavoratore.
In tal contesto, il legislatore ha, in particolare, previsto un rapporto di consequenzialità fra il recesso o l'esclusione del socio e l'estinzione del rapporto di lavoro, che esclude la necessità, in presenza di comportamenti che ledono il contratto sociale oltre che il rapporto di lavoro, di un distinto atto di licenziamento, così come l'applicabilità delle garanzie procedurali connesse all'irrogazione di quest'ultimo. 11 che basta per escludere la fondatezza della censura avanzata dal ricorrente. Non senza che, tuttavia, si osservi che, incidendo la delibera di esclusione pure sul concorrente rapporto di lavoro, il giudice, nello scrutinare la sussistenza dei relativi presupposti di legittimità, dovrà, comunque, valutare, attraverso un adeguato bilanciamento degli interessi, tanto l'interesse sociale ad un corretto svolgimento del rapporto associativo quanto la tutela e la promozione del lavoro in cui essenzialmente si rispecchia la "funzione sociale" di questa forma di mutualità. Il che implica, fra l'altro, che, rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro, indipendentemente dall'applicabilità dell'art. 18 dello Statuto, laddove, anteriormente alla riforma del 2003, la delibera di esclusione non determinava l'automatica estinzione del rapporto di lavoro, dal momento che, secondo l'opinione prevalente, quest'ultimo effetto presupponeva un autonomo atto del datore di lavoro inteso alla dismissione del rapporto di lavoro, fermo restando l'impossibilità di far discendere dall'annullamento dello stesso l'applicazione dell'art. 18, "ogni volta che viene a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo" (così il testo, oggi abrogato, della L. n. 142, art. 2,).
 
 

 

 
 
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